Sono in scena solo due attori. Due amici, Amedeo Fago e Fabrizio Beggiato. L’uno architetto, l’altro professore di filologia romanza . Narrano della loro amicizia dall’infanzia, mentre preparano la cena. Sono però in scena. Perciò raccontano in un’opera drammaturgica qualcosa del loro vissuto l’uno vicino all’altro.
Per dirlo fuor di retorica, se lo si può fare, oggi bisogna dare un distacco nello stesso tempo in cui si reclama l’irripetibilità dell’ora in cui si prepara il risotto per cena.
La tecnica drammaturgica di Amedeo, ha trovato un modo. È in scena l’ora dei due amici. La distanza sta nel fatto che non parlano tra loro. Nel fare ciò che fanno, l’uno preparare il risotto, l’altro aspettare seduto al tavolo, una voce registrata fuoricampo recita ricordando i momenti vissuti insieme a tavola, nelle ricorrenze festive. E la voce, nel raccontare ha il tono freddo dell’elenco di eventi cui si aggiunge il tono aspro dell’idiosincrasia che invece di confliggere con l’amicizia, le conferisce l’intenzionalità.
E il pubblico è chiamato a verificarlo guardando in sè.
D’altra parte ciò che conta è “fare un risotto buono”. Lo replica più volte Beggiato.
Ed a questo compito è dedicato l’intero secondo atto del dramma.
L’intero primo atto, però è puntualizzato da questa frase. Ciò che conta è fare un risotto buono. Che ricorre come punto e a capo, nei momenti topici della narrazione, che raconta dell’identificazione dei due nella scelta di comportamenti identici che formano legame tra i due celebrato nelle occasioni conviviali o nelle feste in cui si gusta il risotto, tutte le volte diverso. S’insinuano qui le note idiosincratiche cementatrici dell’amicizia.
È la freddezza nell’elencare i momenti vissuti contro la naturalità dei comportamenti che accadono sulla scena ciò che penetra nel rapporto tra i due personaggi. Esaltato da ciò che avviene attorno ad un atto intimo esposto al pubblico chiamato a partecipare: la preparazione del risotto, cena di entrambi. Infatti, mentre l’uno cucina, e l’altro aspetta, o mentre il secondo riempie l’attesa con i gesti suggeriti dal tavolo apparecchiato davanti al quale siede ascoltando l’altro vantare le qualità della propria cucina, chi assiste, partecipa al racconto del cuoco indifferente alla noia del compagno seduto alla mensa.
Perciò, all’acme dell’azione drammatica, quando il risotto cucinato è porto all’amico addormentato che si sveglia di soprassalto, l’insulto che succede appare inopinato ma drammaticamente pregnate. Conferma l’amicizia nel litigio ed offre il motivo del riscatto. L’atto di gettare il riso in pattumiera, non conclude. Apre invece. Ad un gesto simbolico, ma del tutto concreto e pregno di significati “indicibili” e non detti, ma ben chiari a chiunque. Il cuoco del risotto ne fa un altro piatto, scende dal palcoscenico e lo offre allo spettatore. Risotto è proprio ciò che è stato cucinato da mangiare. Ma si carica dell’amicizia partecipata al pubblico chiamato alla festa comune.
È il genio drammaturgico che scopre l’apertura nell’insulto del litigio. Cui consegue l’atto simbolico che gratifica il pubblico, mentre lo appella a partecipare all’amicizia di cui ha narrato la scena.
Questa tecnica drammaturgica appare manifesto dell’intenzione che ha scoperto il politecnico delle arti.
Alla ricerca di orientare la rabbia contro il mondo che non si lascia adattare, naturale o sociale che sia, oltre la disperazione
Trovo qui un filo conduttore che trama il nesso tra il politecnico delle arti e la drammaturgia del teatro di Fago.
Tale filo conduttore si compie nel dramma Pouilles, titolo francese perché scritto per un pubblico francese.
Per ritrovare la novità di Pouilles, occorre aver capito il dramma Polaroid. Il quale introduce un pensiero “filosofico” che viene dalla psicanalisi.
La tecnica drammaturgica è sempre la stessa. Si mette in scena la cosa stessa, in questo caso la formulazione letteraria del’idea psicanalitica di Fagioli, lo psicanlista italiano amico di Amedeo che ne condivide il concetto. In questo dramma però, ciò che conta è l’incontro virtuale tra padre e figlio nel quale l’uno nei confronti dell’altro si riconosce ‘‘passato’’ a sua volta riconoscendolo futuro. E’ un’evidenza. Spesso obliata.

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