Amedeo Fago è uomo di cinema.
Ma l’amico Scabia, lo nomina con l’appellativo di Ulisse, polutecknes, dalle molte capacità. Identificandolo con il politecnico cui dette vita.
Uomo di cinema. Industria, cultura, spettacolo, comunicazione. Ma essendo architetto scenografo, ed in seguito sceneggiatore e regista, espresse al meglio il suo pensiero nel teatro. Inventò, una drammaturgia originale la cui modernità nel senso di “aderenza all’irripetibilità del presente” non nella nullificazione che estingue, facendo di ciò che tocca tabula rasa, ma nel dramma dell’essere originario/irripetibile, come tale “mandato oltre”, replica della nascita, il momento archetipo.
Una originarietà senza mediazione.
Intuizione propria delle idee dell’amico Fagioli che frequentò a lungo. Comunicazione politica nel comportamento, sociale, quantunque atto individuale. Non nella norma istituzionale.
Infatti, il teatro si annuncia con un titolo che è un manifesto: autoritrattazione. Auto-Ritratt- Azione. Esposizione in un “atto privato” di una scelta politica, il rifiuto della violenza che i quegli anni si manifestava come assassinio, bensì di persone, ma negate come tali – nemiche irriducibili da distruggere. Ridotte a puri simboli di nemici sociali e politici ai quali si doveva negare il diritto primario alla vita. Non bastava neppure la damnatio memoriae di antica tradizione italica. E fu ucciso Aldo Moro. Come ricorda Scabia un anno dopo.
La forza di quell’atto penso sia esposto al meglio dalla testimonianza del figlio Matteo che presenziò allo spettacolo.

…Un evento indimenticabile è stata la performance che fece mio padre nel 1978. Avveniva in una piccola sala. La famosa “sala B” che poi, nel corso del tempo divenne lo studio di mio padre. C’era tantissima gente. Molti stavano in piedi…Nel mio ricordo tutti stavano in piedi tanta era la ressa di persone che affollava la sala…Ho ben presente mio padre che si aggirava per quel piccolo spazio davanti ad uno specchio. C’era la sua voce registrata che raccontava episodi della sua vita e, ad un certo punto, lui cominciò a tagliarsi la barba…Io rimasi malissimo perché non ce lo aveva detto che avrebbe fatto questa cosa. Mi addormentai (o feci finta di addormentarmi) per non vedere. Era una sorpresa per tutti e quindi anche per me e per mia sorella Alessandra. Ma io lo vissi quasi come un tradimento. Fu una cosa abbastanza scioccante…

Il bambino, nel memorizzare, avverte la estraneità del gesto alla normalità quotidianità della sua vita, al modo di sentire il padre. Il gesto, infatti, appartiene ad un significato altro. Ad un registro pubblico e sociale. In questo registro, politico per eccellenza, sia pure al di fuori dell’istituzione, vale la forza espressiva del simbolo. La “folla” che si accalcava lo sapeva.
Si mescolano i registri della cultura alta e della cultura bassa, s’intrecciano, quotidiano, simbolico e politico in una esposizione teatrale che “parla” a tutti.
Dunque il registro letterario degli automatismi d’avanguardia applicati alla lettura dell’agenda personale, registrata e riprodotta mentre sulla scena si svolge l’evento “scioccante” è il motore della drammaturgia.
Nella sua immediatezza l’atto irrevocabile sulla scena e la voce registrata che nel contempo recita di una quotidianità vissuta, agitano il sentimento ed illuminano le ragioni della speranza che apre il futuro nell’autoritrattazione, qui vale fino in fondo la parola. Rifiuto di ciò che avveniva nella piazza.
È il 1977, 12 marzo.
Verso le due il corteo del Movimento parte da Termini, sono centomila.
Dalla radio arriva il racconto degli scontri, il rumore degli spari, delle sirene…. Quasi tutti sono in trance di violenza, hanno le sacche piene di molotov…. La mattina dopo andiamo ad ascoltare Paolo VI – si affaccia al balcone, apre le braccia e dice: Guardo questi tetti di Roma, non si capisce più niente…
Passa appena un anno e c’è l’assassinio di Moro.
A questo reagisce ciò che avviene al Flaminio, nel cuore “industriale del quartiere divenuto laboratorio d’arte e meta quotidiana di spettacolo, musicale, cinematografico, teatrale, espositivo, nel più intimo “centro” di un quartiere romano.
L’indignazione espressa in un moto di rifiuto dice la resistenza alla coazione violenta. E senza futuro.
Questo sentimento anima una diversa mira della negazione, che investe più in profondità i costumi e comportamenti che sopravvivono alla inattualità della replica.
Dunque, può essere una manifestazione gioiosa ad esaltare nella “esplosione” internazionale dell’Estate romana un sentimento di resistenza che volge altrove le sue energie. Perciò è il Politecnico il cuore segreto e locale della manifestazione internazionale cui presta i motori del suo club cinematografico. Non il momento censorio di Roma interrotta pur “manifesto” del postmoderno.


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