Redazione. Il Tractatus rivela il superamento del paradigma greco da parte del paradigma romano post-adrianeo. Si concentra sul paradigma dello schema polare che struttura la domus-acropoli che diviene modello di città, o paradigma di composizione urbana. Il tracciamento di questo schema, porta a compimento una concezione dell’architettura assai complessa, prodotta dall’esercizio -il più arduo concepito dall’antichità- di quella competenzadi costruire/abitare che Francoise Choay ha detectato nella semiologia urbana.
Si tratta di una strutturazione dell’insieme urbano che non procede all’unificazione per vie e strade, ma per sequenza di recinti unificati da soglie. Una sequenza gestita da punti, origine e concentrazione di linee assiali, angoli e misure, che motiva il nome di tecnigrafo postalessandrino che gli ha dato Pier Federico Caliari.
Esso si mostra nel tracciamento. Ma si scopre una volta fatto il rilievo ed il disegno, cioè i restauri nell’accezione antica di ricomposizione nel disegno della forma finita dell’insieme. Al fine di analizzare la restituzione della mappa. Quindi, il lavorio di concezione della mappa mentale nel suo rapporto con la circospezione e la percezione. Tale istruzione, infatti, è quell’esercizio della competenza di edificare legato all’abitare attraverso il circosnspicere e il percepire. Ma altresì slegato dall’abitare, dopo che l’edificio stesso va in rovina perché l’economia della sua sussistenza collassa. In tal caso l’edificio non espone più le abitudini del’abitare, ma il paradigma della sua composizione, ab imis fundamentis, fino al paradigma dell’insieme “urbano” dei suoi tipi edilizi. L’esercizio di tale competenza, è necessario oggi, più che mai, per tenere in azione ciò che ci consente di tener testa nei confronti dell’intelligenza artificiale, che non potrà, per definizione avere un futuro se non per effetto di quella stessa competenza di abitare.
Questo compito archeologico del disegno di rilievo come “restauro” nell’accezione antica, indice del prodotto del pensiero che innesca l’esercizio mentale di studio della concezione costruttivo-distibutivo-dispositiva e della strutturazione urbana deve convivere con quella esclusivamente archeologica . Non dico, come dovrei da architetto, in quanto finalità privilegiata dell’archeologia, perché ne so l’apertura ad altri fini del pensiero esistenziale.
Perciò, è di estremo interesse, oggi, che Pier Federico Caliari ci esponga il percorso della sua ricerca.

P.F.C. Il Tractatus Logico Sintattico. La forma trasparente di Villa Adriana, è un saggio sulla composizione architettonica di Villa Adriana, una delle più straordinarie declinazioni dell’architettura romana imperiale, realizzata dall’Imperatore Elio Adriano tra il 118 e il 138 d.C. L’interesse per la Villa è dovuto principalmente a due ragioni: da una parte, al fatto che a partire dal primo Rinascimento fino ad oggi ha costituito (e tutt’ora costituisce) un passaggio fondamentale per la formazione e la conoscenza degli architetti del mondo occidentale, e dall’altra, per il suo impianto planimetrico unico in tutto il mondo antico e mai replicato nelle epoche successive fino a Novecento.
Il Tractatus si concentra su questo secondo aspetto e, partendo da una rigorosa metodologia di ricerca in una prospettiva di esclusiva percezione architettonica, giunge a descrivere le relazioni geometriche nascoste, o meglio “trasparenti”, che originano i tracciati regolatori del progetto della Villa. I risultati sono inediti e sono stati approfonditi all’interno di un quadro narrativo definito successivamente come “tecnigrafo post alessandrino”. L’autore, grazie al supporto, semplice ma fondamentale dell’applicazione di disegno digitale Autocad, riesce a risalire alla matrice policentrica della Villa ed alla composizione polare radiale ipotattica che la organizza in un sistema di mutue relazioni tra loro gerarchizzate, in modo geometricamente semplice ed esplicito, quindi oggettivo e uguale al vero, come sottolinea in più occasioni l’autore.
La riduzione metodologica alle sole relzioni geometriche sottende infatti l’obbiettivo principale del Tractatus, quello cioè di esprimere enunciati verificabili sulla base di regole semplici teoricamente accessibili ad una community molto ampia e operativa direttamente sul file che è messo a disposizione di tutti.
L’autore vuole eliminare in partenza ogni margine di ambiguità, di elaborazione ermeneutica o di supposizione (propria della cultura archeologica) riducendo tutto alla sola lettura sintattica e al senso gerarchico della posizione degli elementi nello scacchiere progettuale. La Villa viene così analizzata esclusivamente sotto l’aspetto del progetto in un Delta T sospeso tra ideazione e disegno, descrivendone lo sviluppo a partire dalle azioni attivate sul tavolo dell’architetto, quel tecnigrafo post alessandrino di cui si è accennato poc’anzi. Gli esiti della ricerca portano ad alcuni enunciati inediti rispetto alla letteratura artistica, archeologica e architettonica aventi per oggetto la Villa:
-La composizione della Villa ha una natura polare, radiale e ipotattica (gerarchicamente organizzata)
-I poli gerarchici che gestiscono la composizione sono 7, allo stato attuale delle conoscenze. Tra questi, i principali sono riferiti ai padiglioni del Tempio di Venere Cnidia, della Piazza d’Oro e dell’Edificio con Tre Esedre. La Piazza d’Oro da sola gestisce le relazioni di tutta la Villa.
-L’orientamento e la figura dei padiglioni sono coassiali. Gli assi tra di loro relazionano tre trilaterazioni principali che riuniscono in un numero estremamente limitato le azioni progettuali (le tre trilaterazioni e due tenaglie marginali) che partono da un modello esoterico di composizione polare radiale (praticamente ignota nel mondo antico) per richiudersi in un modello romano di gestione territoriale (trilaterazioni o “grandi mosse”).
-I modelli progettuali della Villa sono L’Acropoli di Pergamo e il Santuario di Iside a Phylae, entrambi luoghi adrianei d’eccellenza. Esistono inoltre relazioni con l’Acropoli d’Atene e la Domus Aurea neroniana, di cui Villa Adriana è una “replica” sotto il profilo ri-fondativo.
L’aspetto delle azioni progettuali – ossia le mosse sullo scacchiere progettuale della topografia della Villa riportata sul tavolo da disegno (il cosiddetto “tecnigrafo post alessandrino”) è stato approfondito e sviluppato in un articolo pubblicato sul numero speciale della rivista Ananke, in occasione della campagna di studi su Villa Adriana promossa dall’Accademia Adrianea di Architettura e Archeologia per le celebrazioni del XIX Centenario A Villa Condita (biennio adrianeo 2017-2018).

Redazione. Ci sembra sia entrato nella trattazione teorica di Villa Adriana, che riguarda la concezione della struttura d’insieme. Quella che ci pare essere il più importante approdo dell’architettura romana. Ed indica la svolta intenzionale nell’operazione mentale.

P.F.C. L’obbiettivo principale del Tractatus è stato quello di scrivere un saggio di ARCHITETTURA su Villa Adriana, incredibilmente assente nel quadro di quell’ambito di sapere da me denominato Adrianologia. L’unico testo in circolazione avente oggetto la Villa intesa a partire da una prospettiva compositiva, infatti, non godeva affatto di considerazione scientifica presso il milieu degli studiosi, tutti archeologi o storici dell’arte. Il piccolo volume, scritto da Massimiliano Falsitta e intitolato Villa Adriana. Una questione di composizione architettonica, Skirà, 2000, aveva come unico elemento di vera considerazione il fatto che si trattava della riscrittura di una tesi di dottorato IUAV con relatore Aldo Rossi. Per il resto il saggio non possedeva rigore scientifico, era di fatto costituito da una sorta di metanarrazione filosofica incentrata su Nietzsche (dialettica tra apollineo e dionisiaco) e non era corroborato dall’esperienza in situ. L’autore, candidamente, ammette di non essere mai stato a Villa Adriana. In definitiva, nonostante l’autorevolezza del pater dottorale e della casa editrice, il saggio era considerato nullo.
D’altra parte, l’autentico Biblos adrianologico era ed è ancora oggi il volume di William Mc Donald e John Pinto Villa Adriana. La costruzione e il mito da Adriano a Luis Kahn (Electa, 1997), la cui autorevolezza resta di valore assoluto (anche se l’angolo visuale dell’architettura sotto il profilo del progetto risulta insufficiente anche in questa pubblicazione) per la qualità referenziale che sottende, soprattutto dal punto di vista della storia dell’arte.
Si trattava quindi da una parte, di entrare in competizione con quest’opera certamente di alto livello e dall’altra, era necessario coprire l’aporia dal punto di vista dell’essenza stessa dell’architettura, e cioè a partire dalla sua composizione architettonica e dal suo progetto. Si trattava quindi di dichiarare che prima di essere un fatto archeologico, Villa Adriana era soprattutto e profondamente un fatto di architettura. Ma questa esigenza, va detto, non era sentita a trecento sessanta gradi da tutti gli architetti. Una parte di loro, infatti, collocati nelle aree storiche, conservative e del rilevamento, per ragioni di opportunismo scientifico si erano al tempo alleati con gli archeologi assumendo una posizione velatamente critica nei confronti della visione progettuale.

Redazione. Una ricerca innovativa, nella sua mira originale va controcorrente, quali sono stati i principali ostacoli?

P.F.C. La ricerca ha avuto un suo clima psicologico e una ideologia architettonica.
Premesso quanto sopra, raccontare i retroscena di una ricerca è qualcosa di non propriamente semplice, perché paradossalmente non si ha memoria precisa dei passaggi evolutivi in quanto questi avvengono “da sé” nel momento in cui la ricerca ha trovato il suo equilibrio dinamico, ovvero in modo praticamente inconscio, in uno stato di perdita dell’autoconsapevolezza e di totale concentrazione. Questo stato psicologico, in cui tutto riesce con semplicità – o meglio con una semplicità senza precedenti – è riconducibile a quello che gli psicologi definiscono “stato di grazia”. Si può quindi solo ricostruire a posteriori e basandosi sulle tracce presenti nel testo oppure laddove i passaggi logici sono dichiarati.
Una costante psicologica nella ricerca però è enunciabile: la competizione scientifica con gli archeologi e con l’area dell’architettura con essi alleata. Essa è stata forse il vero propellente unito alle ideologie che hanno accompagnato il percorso. Per ideologie intendo costruzioni discorsive basate su convinzioni personali derivanti dalla propria storia teoretica e non necessariamente condivise dalla comunità scientifica. Tra queste, la più importante è riferita allo slogan “i romani non facevano le cose storte, ma soprattutto non facevano le cose a caso” che sottende l’idea che la forma di Villa Adriana per la sua misteriosa articolazione era (è) dovuta a fattori esogeni non romani e quindi ad un modello che non era ancora stato disvelato. Inoltre, se tale è l’articolazione, a monte deve esserci una cabina di controllo e regia che si esprime attraverso un principio ordinatore. E, se di modelli interpretativi si vuole intendere, l’unico credibile per autorevolezza – ancorché inesatto secondo il mio modo di vedere – era quello di Mc Donald e Pinto e riferito ad un’ideologia della rovina e del giardino romantico che all’epoca di Adriano non era provato esistesse. Quello invece delle cosiddette regge ellenistiche, l’ho sempre considerato oltreché errato anche un po’ risibile: che un Imperatore (re dei re) faccia disegnare la sua grande villa-rappresentazione-del-mondo imitando le residenze dei suoi sottoposti sconfitti, appare non solo improbabile, ma anche un po’ sciocco, soprattutto se si parla di Adriano, salito al trono nel momento di maggiore potenza e influenza di Roma nel mondo, dalle Colonne d’Ercole alla Cina. Alla fine, l’ideologia, sorta di religiosa posizione di partenza, sì è dimostrata lungimirante e dimostrabile discorsivamente.
Una seconda ideologia invece, foriera di errori, è stata quella che ha inteso il Teatro Marittimo come centro compositivo della Villa, o meglio, come unico centro di riferimento e la Villa stessa come una entità chiusa all’interno di una matrice euclidea regolare. Questa l’ideologia è stata declinata negli studi e negli scritti per diversi anni, dal 2004 al 2010. Operando in questo paradigma sono stati commessi errori di valutazione che hanno originato postulati rivelatisi scazonti e che continuavano a suscitare disinteresse e scarsa convinzione da parte dei competitors, che continuavano a dormire tra due guanciali. Gli archeologi soprattutto diffidavano della forma della rappresentazione degli esiti della ricerca, basati sulle relazioni sintattiche assiali tra gli elementi compositivi della villa. La riassumo in ciò che un mio collega archeologo ha denominato “Sindrome di Meogrossi”.

Redazione. Cosa intende?

Per Sindrome di Meogrossi si intende l’idiosincrasia degli archeologi nei confronti delle teorie archeo-astronomiche formulate da Piero Meogrossi, colto architetto ed ex funzionario della Soprintendenza Archeologica Di Roma. Meogrossi è uno studioso raffinato ed esperto di topografia antica, autore della teoria dell’Axis Urbis, secondo la quale l’origine mitologica di Roma del 21 Aprile 753 a.C si porta dietro una rappresentazione assiale della posizione dei pianeti allora conosciuti nel sistema solare. I suoi studi sono stati di mio interesse tra il 1993 e il 2002 e ho sempre considerato il suo un lavoro serio e appassionato (seppur inquieto) non privo di testimonianze scientifiche come i tabulati sull’allineamento dei pianeti nella data del Natale di Roma. Il terrore ideologico (l’horror Mei) nei confronti delle sue teorie da parte degli archeologi puristi, che lo hanno sempre considerato un visionario, ha in qualche modo – e suo/nostro malgrado – collocato i nostri studi in un campo ritenuto aprioristicamente avverso. Sicchè, nessuno di loro ha mai voluto leggere il Tractatus, che è stato rifiutato in toto. Il Tractatus destava preoccupazione perché si trattava della prima ed unica teoria della forma di Villa Adriana dimostrata discorsivamente e graficamente, spostata su un piano differente rispetto a quello degli studi degli archeologi e dei loro alleati architetti, in particolare quelli delle discipline del disegno. Noi eravamo impegnati a scoprire le “mosse progettuali” con descrizioni organizzate sul piano della sintassi logica e loro erano impegnati ad approfondimenti puntuali con ipotesi basate sullo scavo e il laser scanner. Si era creato una sorta di vallo tra le due discipline che in generale mantenevano buoni frapporti a patto che non si parlasse di composizione. Come se la Villa non fosse mai stata progettata e fosse apparsa sulla terra solo come epifania archeologica. La scoperta del principio ordinatore presente nel progetto della Villa individuato al di fuori dell’alveo di consenso di cui sopra, aveva creato quindi non poche apprensioni, rispetto a tutta una letteratura consolidata in una specifica direzione. Estranea a posizioni manifeste è stata invece sempre la Direttrice della Villa, forse più per cortesia e amicizia nei miei confronti che per convinzione scientifica. Recentemente ho avuto modo di spiegarglielo mediante un nuovo modello dimostrativo, che mi sembra sia stato meglio compreso e forse in qualche modo accettato.. Ma, a parte questi ultimi sviluppi, il Tractatus non ha fatto breccia nel cuore degli archeologi, come del resto era normale e lecito aspettarsi (e lo dico senza alcuna polemica). Chimiche diverse.

Redazione. Qual è stato il procedimento della ricerca? Cioè le scelte preliminari e le regole di procedimento?

Le “regole del gioco”sono state assunte all’inzio della ricerca e sono le seguenti:
-Rimessa in totale discussione e progressivo abbandono degli esiti della ricerca precedente (2003_2010).
-Ferrea circoscrizione del campo mono-target riferito agli architetti.
-Esclusivo uso discorsivo del modo indicativo presente (la forma è…, l’asse congiunge…, il rapporto è paratattico…) secondo il principio di ontologica oggettività.
-Utilizzo esclusivo delle relazioni geometriche e dei valori che queste assumono in architettura (assialità, trilaterazioni, centralità). Le relazioni geometriche sono oggettive, quindi, ciò che si vede è vero.
-Utilizzo esclusivo del logos fondante della forma intesa come sistema di relazioni astratte (trasparenti).
-I tracciati ordinatori come obbiettivo della ricerca e dell’individuazione delle relazioni geometriche.
-Utilizzo esclusivo dell’applicazione Autocad.
Dati questi obbiettivi e questo “apparecchiamento” di un sistema autoregolantesi, l’obbiettivo dipanato è stato quello di utilizzare una strumentazione esclusivamente da architetti e per architetti partendo dal minimo essenziale che costituisce il fondamento del pensiero progettante: la tracciatura di una linea in un disegno di progetto. Questo il principio primo applicato, in quanto atto fondativo di un processo di gestione della forma, comune a tutte le attività progettanti regolate graficamente.
Questo tipo di astrazione, nonostante la sua ovvia semplicità, durante le fasi di lavoro e quelle successive di divulgazione non veniva compreso come cifra specifica dello studio sulla forma di Villa Adriana. Forse perché “troppo” semplice e quindi ritenuto scientificamente inadeguato. Invece è la cartina tornasole del progetto adrianeo. Per ottenere l’attenzione dell’interlocutore era quindi necessario metterlo al computer, affidargli il mouse, guidandogli la mano, e tracciare il “pendolo” principale (quello che è gestito dalla Piazza d’Oro e orienta i vari quartieri. Fatta questa prima esperienza, gli si affidava il tecnigrafo elettronico offrendogli di continuare dandogli l’incipit, cioè avviando il comando DRAW > LINE > FROM: CENTER > TO: CENTER con tutti gli osnap attivi.

Redazione. Per comprendere, bisogna fare un passo indietro e risalire ai momenti d’illuminazione che l’hanno portata a questo approdo.

Quattro sono i “ricordi” puntuali che introducono alcune problematiche a livello metodologico. Si tratta di autentiche folgorazioni:
-La pianta di Villa Adriana vista da studente (tra il 1983 e il 1986 e poi sempre presente nelle referenzialità soprattutto progettuali (dal 1993 ad oggi).
-La pianta dell’Acropoli di Pergamo vista nello stesso periodo, su un libro di Leonardo Benevolo (intitolato mi pare Corso di Disegno) ma rimasta in qualche modo sottotraccia con alcune cuspidi di percezione sparse nel tempo.
-La pianta del Santuario di Phylae, vista sulla pubblicazione napoleonica Description de l’Egypte, acquistata nel 1998.
-La pianta della Domus Aurea Neroniana, studiata nel periodo compreso tra 1998 e il 2003 nel quadro di una ricerca sull’atto fondativo della cultura occidentale e identificato nell’impianto della residenza neroniana nel pieno del settimo decennio del primo secolo d.C.
Folgorazioni che vivono in quel magazzino delle memorie in cui avviene un vero e proprio approvvigionamento nei processi di formulazione teorica. Possiamo forse dire che nell’impianto artistico della teoresi, il compito della metodologia scientifica è quello di ricollocare le “casse mnemoniche” in un quadro concettuale e mentale che possiamo chiamare “sublime ricapitolazione”. Questa agisce ritornando più volte nella storia teoretica di un artista/architetto/scienziato. Ad un certo punto trova la sua collocazione finale che normalmente coincide con una tra le due, tre rappresentazioni più significative della sua produzione scientifica.
Da sottolineare credo sia il fatto che si tratti di tre planimetrie e non, per esempio, di altre forme di rappresentazione come prospettive, assonometrie, rendering e quant’altro. Il caso, per esempio, di Phylae è emblematico in quanto la Description è strutturata secondo una compresenza di rappresentazioni in proiezione ortogonale unite a viste prospettiche, anche a colori. In questo senso la “folgorazione da planimetria” si può spiegare in una innata esigenza di “misura” e di “proporzione”.

Redazione. Le folgorazioni di cui parla, sono i momenti selettivi nei quali si confrontò con quello che lei chiama una “famiglia” di monumenti cui appartiene Villa Adriana. Esse consentono nell’affrontare il rapporto tra il progetto adriane e i modelli che lo istruirono?

C’è una famiglia di opere che istruirono il progetto adrianeo. Esse ne furono in un certo senso “genitrici”. C’è infatti tuttauna questione sui modelli.
Villa Adriana ha due genitori ed una sorella maggiore: Il Genitore 1 è l’Acropoli di Pergamo, il Genitore 2 è il santuario dell’Isola di Phylae e la sorella maggiore è la Domus Aurea neroniana. Rispetto ai Genitori 1 e 2 è importante sottolineare che le folgorazioni hanno giocato un ruolo importantissimo, ma che inizialmente è stato soprattutto un ruolo subliminale nel senso che sono sempre rimaste sottotraccia e non hanno mai guidato le mosse sul tecnigrafo tiburtino.

Redazione. Cosa intende per tecnigrafo tiburtino?

La ricostruzione della genealogia è arrivata in un secondo momento, al termine della elaborazione geometrica quando i tracciati regolatori della Villa erano consolidati. La genealogia, quindi, è stata individuata nel procedimento di falsificazione, per comprendere cioè se l’unicità della Villa reggeva in autonomia oppure se, come tutte le cose in architettura, poteva vantare dei modelli più o meno conclamati. L’assioma da falsificare era quello dei modelli consolidati nell’Adrianologia, ovvero le mai individuate regge ellenistiche. Quindi si trattava di dimostrare se il sistema di riferimento – cioè la celebrata architettura ellenistica – costituiva davvero l’origine e il modello della Villa. Il risultato della ricerca ha dato un doppio risultato: a) le decantate regge ellenistiche non costituiscono il modello di Villa Adriana, b) i modelli ellenistici esistono, ma sono riferibili a complessi sacri, progettati secondo una modalità esoterica (cioè non nota, non divulgata). Qui giocano un ruolo importante le folgorazioni di Phylae e di Pergamo anche se nel Tractatus sono rappresentate in modo insufficiente ed è stato necessario un secondo saggio scritto per Ananke a descrivere in modo ampio ed esaustivo il concetto di “tecnigrafo post-alessandrino”.

Redazione. Prendo da Ananke, un disegno esemplare per chiarire la novità. Il termine tecnigrafo, riferisce di un abbandono. Quello della giustapposizione ortogonale di assi ordinatori-dispositori. A tale principio ordinativo assiale si sostituisce la concentrazione polare di assi di relazione. Gli autori della Domus aurea, conoscevano questo principio ordinatore?

Non è dato sapere invece se il tecnigrafo post alessandrino fosse pienamente nella disponibilità degli architetti della Domus Aurea, la sorella maggiore di Villa Adriana. Certamente, tuttavia, gli architetti Severo e Celere dovevano possedere un’arte speciale e molto poco riferibile al mos maiorum italico. Ma queste sono pure congetture. L’impianto della Domus Aurea non è ricostruibile sulla base delle evidenze archeologiche se non in parte (Tempio del Divo Claudio, Padiglione del Colle Oppio, le porticus sulla Via Sacra e altri lacerti) poiché molte delle strutture neroniane costituiscono il sostrato ipogeo di un palinsesto la cui evidenza principale sono quei monumenti costruiti proprio a valle della damnatio memoriae neroniana, il Colosseo, Il Tempio di Venere e Roma, le Terme di Traiano, la Domus Flavia e successivamente, la Basilica di Massenzio. La realizzazione ottocentesca del Quartiere Esquilino e di quello di San Giovanni ha poi fatto tutto il resto. Tuttavia, la “somiglianza” con la dimensione paratattica (non con quella ipotattica) di Villa Adriana sembra essere chiara. Il tema, quindi, è la Domus Aurea come modello per la villa tiburtina di un imperatore apparentemente molto diverso dall’ultimo dei Giulio Claudii.
Figure molto diverse per cursus honorum – praticamente inesistente quello di Nerone che non ha mai ricoperto le magistrature classiche della carriera politico-militare e, al contrario, molto strutturato e graduale quello di Adriano – e certamente per carattere, i due imperatori hanno invece mostrato di avere alcune inclinazioni per certi versi sovrapponibili. Prima fra tutte l’educazione e l’impostazione culturale filellenica o meglio ancora, “filellenistica”. Nerone si forma culturalmente nel quadro dello stoicismo greco alessandrino impartito da Cheremone d’Alessandria e, contestualmente, dell’aristotelismo peripatetico impartito a sua volta da Alessandro di Aegeda, mostrando attenzione e rispetto per la cultura ellenistica e per le realtà orientali in cui questa si dispiegava, non ultimo l’Impero Partico. Attenzione che porterà all’incoronazione di Tiridate I, fratello del re dei Parti Vologese I, a Roma nel 66 d.C). Un’attenzione che Adriano invece maturerà a seguito di una celebre campagna militare condotta al seguito di Traiano e che successivamente intensificherà dopo il Dies Imperii. L’attenzione per la Grecia è certamente il maggiore elemento di comune interesse. Il viaggio di Nerone in Grecia nel 67 d.C e la conseguente eliminazione dello status di provincia senatoria liberata così dai tributi imperiali, fu certamente un atto d’amore per le antiche poleis, ma anche una decisione imprudente che gli costò l’alienazione dell’alleanza con il Senato originando la fine del suo principato. Adriano, da parte sua, non ha mai dissimulato la sua attenzione per la Grecia e per il mondo ellenistico ed orientale. I suoi interventi ad Atene ne sono la massima dimostrazione, oltre a quelli nei siti post alessandrini come Antiochia, Pergamo, Phylae e Alessandria stessa.
Un altro elemento comune è la passione per l’architettura che ha portato entrambi ad una vera e propria ricerca in seno ad una disciplina, quella della costruzione, che ha offerto alla storia dell’architettura casi studio di notevole importanza soprattutto nell’architettura degli interni – una vera e propria arte dei recinti e degli spazi cupolati – e nell’architettura del paesaggio. Quest’ultima fa la differenza rispetto a tutto ciò che costituiva l’ars tettonica prima che i due imperatori-architetti compissero il loro passaggio sulla terra. L’origine campagnola di Nerone, allevato extra moenia dalla zia Domizia Lepida e non sul Palatino come gli altri principi giulio claudi, e quella di Adriano proveniente dalla provincia abruzzese essendo nato ad Hatria nel Piceno (e non in Spagna) hanno forse giocato un ruolo primigenio nelle inclinazioni dei due imperatori.

Redazione. Forse si dovrebbe cercare un rapporto tra Domus Aurea e Villa Adriana, sulla strategia del progetto, tenendo conto del diverso tempo e della diversa personalità dei due imperatori, Nerone ed Adriano.

La Domus Aurea è il prodotto di un’inedita e innovativa performance progettuale riferita alla Città Ideale e allo stesso tempo restituisce un’idea di città legata a doppio filo con una altrettanto inedita idea di campagna urbana (rus in urbe). Portare la campagna dentro la città è uno spostamento di paradigma che consiste nella disponibilità della ricchezza della terra e dell’acqua. L’acqua come fondamento e come origo imperii costituisce la struttura portante dell’ideologia insediativa che accomuna la Domus Aurea con la Villa Adriana. Ma se a Tivoli l’urbs in rure è un atto fondativo altro rispetto al potere originario; a Roma rus in urbe è un atto rifondativo simile ad una hybris generata da ath, cioè una rimessa in discussione del potere originario senza il consenso del mos maiorum, ma soprattutto attuata da un uomo che si mette sul piano della divinità.
Formalmente il tema del rapporto dialettico tra urbs e rus, e quindi tra domus e villa, è risolto attraverso la principale giunzione architettonica con l’assetto monumentale del Foro Romano. La Domus resta tale finché è agganciata alla Via Sacra. Il giunto con il Foro è formato dalle grandi e simmetriche porticus a gradoni che contengono la parte terminale della Via Sacra e immettono prospetticamente verso il primo recinto della Domus costituito dal Vestibolo con il Colosso neroniano. Fino a qui è Domus. Il secondo recinto, gigantesco, contiene lo Stagnum, una distesa d’acqua catturata dalla geometria rettangolare del peristilio (aqua captiva origo imperii). Qui in forma ibrida convivono Domus e Villa. Usciti dallo Stagnum si apre un orizzonte sulla natura a perdita d’occhio, segnata da grandi padiglioni monumentali (sul colle Oppio e sul colle Celio). Da qui in poi è Villa, ma pur sempre Villa urbana. Ecco il nuovo paradigma dove il termine Villa contiene allo stesso tempo l’essenza del rus e quella dell’urbs.

Redazione. Adriano non poteva ignorare la Domus Aurea . Forse era già stata parzialmente demolita per far posto alle opere della dinastia successiva.

Cosa ha visto Adriano della Domus Aurea? Ha visto con buona certezza quasi tutto il costruito: le porticus della Via Sacra, il vestibolo con il Colosso, il Tempio del Divo Claudio e il Padiglione sul Colle oppio con le terme (ribattezzate poi da Tito). Del Padiglione deve aver anche assistito in diretta alla demolizione e al suo inglobamento nella fondazione delle Terme di Traiano. Certamente non ha assistito a quella dello Stagnum occupato già dall’Anfiteatro Flavio nel giorno in cui vide la luce (24 Gennaio 76). Se era presente a Roma tra l’82 e il 96 ha certamente assistito alla trasformazione del Palatino ad opera di Rabirio per conto di Flavio Domiziano che di fatto procedette ad una autentica e totale rifondazione al di sopra della neroniana Domus Transitoria. Difficile invece dire del magnifico ed esotico parco di ottanta ettari (come quello della futura Villa Adriana), cioè difficile è sapere se questo fosse già stato lottizzato o mantenuto ad usum dei cittadini romani. Se è buona questa seconda ipotesi, Adriano ha avuto una percezione molto ampia della Domus-Villa Aurea la quale, mentre si disgregava a Roma per l’onda lunga della damnatio memoriae, era in via di risurrezione a a Tivoli. Entrambi gli imperatori curiosamente subirono post mortem la damnatio memoriae.


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