Il ruolo della manualistica nella storia coloniale e postcoloniale.

Durante i suoi cinquant’anni di carriera, Edwin Maxwell Fry ebbe l’opportunità di lavorare insieme a molti esponenti del movimento moderno, due su tutti: Walter Gropius e Le Corbusier. Maxwell Fry, ospitò Gropius durante la sua fuga dalla Germania del regime nazista, e fu il principale progettista di Chandigarh insieme a Le Corbu. E’ paradossale notare, come, se per Gropius l’apice della carriera sia rappresentato dalla fondazione di un’eroica scuola creativa e per Le Corbusier risieda nell’istituzione della propria figura a capo del movimento moderno, il lascito di Fry non sia né un edificio, né un piano urbanistico, bensì il manuale di progettazione Tropical Architecture in the Dry and Humid Zones (Architettura Tropicale nelle Regioni Secche e Umide) pubblicato nel 1964, insieme alla moglie Jane Drew. Il manuale in parte si oppone alla visione generalizzante del movimento moderno basato su un linguaggio globale portato avanti da un ristretto gruppo radicale, e introduce il concetto di modernità come uno strumento per contrastare il sottosviluppo di molte regioni del mondo. Il manuale può rappresentare un mezzo per diffondere delle conoscenze specifiche, acquisite da un gruppo di esperti globali, ad un più vasto ed eterogeneo pubblico, nonché uno strumento di partecipazione per applicare una serie di regole in specifiche condizioni.
La posizione espressa nel manuale influenzerà ampiamente i progetti dei cooperatori allo sviluppo che possono essere inseriti in un quadro ideologico più ampio fautore di un uso appropriato della tecnologia, già inaugurato dal movimento Swadeshi di Gandhi, e più propriamente definito “appropriate technology” da Ernst “Fritz” Schumacher nel suo libro del 1973 Small is Beautiful. Il movimento sosteneva l’uso di tecnologie edilizie conformi alle condizioni socio-economiche dell’area geografica in cui dovevano essere applicate promuovendone nel contempo l’autosufficienza. Il movimento sebbene marginale nel dibattito Europa, risultò fondativo per la crescita di Africa e Asia. L’uso di volte o archi così come l’impiego della terra cruda o di materiali riciclati divenne uno strumento di integrazione con le culture locali, una sorta di architettura regionalista che si oppose completamente alla visione cosmopolita dei tropici. I progetti “tecnologicamente appropriati” erano spesso estremamente partecipativi nel loro processo costruttivo, ma manchevoli di capacità esemplificativa e dell’approccio culturale progressista dell’Architettura Tropicale.
Oggi, 50 anni dopo la pubblicazione di Tropical Architecture e nel pieno del momento delle archistar, l’approccio del manuale continua a perseguitarci. L’idea che l’obiettivo principale di un architetto non sia tanto costruire una Torre di Babele quanto fornire un sistema organico di restrizioni che consentano la partecipazione è oggi più importante che mai. Il cambiamento climatico e il processo di crescita demografica hanno dimostrato in molte parti del mondo quanto, i sistemi abitativi ispirati ai progetti di grandi maestri del modernismo, così come l’approccio induttivo dell’appropriate technology, siano semplicemente impossibili. L’ architettura può ancora avere un valore solo se capace di proporre sistemi flessibili guidati da un forte approccio culturale sostenendo la partecipazione di differenti figure professionali al dibattito progettuale e al processo costruttivo. La tesi sostenuta dal manuale è ancora attuale e può ancora essere orientativa per il futuro, l’idea che degli esperti transnazionali possano diffondere idee cosmopolite applicabili in differenti condizioni è rafforzata dai nuovi mezzi di comunicazione. Internet più nello specifico ha favorito un maggior accesso a conoscenze manualistiche, e il movimento open-source da l’affascinante e altresì pericolosa possibilità a ciascuno di trasformarsi in un esperto mondiale così come in un possibile partecipante alla sperimentazione progettuale. Il manuale, con i necessari aggiornamenti, può ancora rappresentare uno strumento in grado di fornire una possibile visione di modernità. Modernità che individua nel Terzo Mondo un terreno fertile per la sperimentazione istituendo nuove modalità e forme esportabili su scala globale.
Nel campo dell’edilizia i manuali di progettazione appartengono idealmente ad un’epoca passata, ma la comparsa di fenomeni globali quali l’imperialismo e il commercio globale, da nuova vita a questa categoria letteraria. La manualistica non si limita al settore edile: prontuari di botanica, manuali di istruzioni per la raccolta di testimonianze etnografiche, testi introduttivi all’agricoltura e all’allevamento, guide di economia domestica coloniale erano tutti strumenti per la corretta annessione, occupazione e gestione delle colonie. Il dibattito manualistico fu innanzitutto portato avanti da medici ed esperti di igiene e in seguito dagli ingegneri militari che standardizzarono le prescrizioni in una serie di regole fisse in relazione a parametri climatici. È difficile tracciare una linea netta nella produzione manualistica per quanto riguarda le costruzioni poiché le opere spaziano da The Art of Travel di Francis Galton, un manuale per avventurieri ed esploratori in condizioni estreme, al Jeypore Portfolio di Samuel Swinton Jacob’s, una riproduzione precisa dei raffinati elementi architettonici della regione indiana di Jaipur.
Il metodo di standardizzazione fu scartato dolo negli anni del dopoguerra quando le potenze coloniali realizzarono l’incombente indipendenza delle colonie e implementarono le strategie di decolonizzazione pianificata. Gli europei si arresero alla previsione che negli anni successivi l’entità e il ritmo del cambiamento in Africa ed Asia non avrebbero permesso loro di controllarne pienamente le trasformazioni e tentarono di fornire dei mezzi che garantissero il diretto intervento degli abitanti. Nel 1947 Mxwell Fry pubblicò insieme alla moglie il tascabile Village Housing in the Tropics, che conteneva piante schematiche per case, scuole e centri comunitari dal design relativamente semplice con tetti a falde e finestre a nastro. L’approccio architettonico era aperto alla partecipazione, la modernità poteva essere esportata attraverso un’ottica più realista che forniva semplici strumenti tecnici ad una popolazione poco qualificata nell’intento di ottimizzarne l’auto sostentamento edilizio.
Con la pubblicazione dell’edizione definitiva di Tropical Architecture in the Dry and Humid Zones nel 1964 il discorso passò ad un pubblico completamente diverso, il libro può essere interpretato non soltanto come mero manuale ma una cassetta degli attrezzi. È una lista di strumenti che l’autore propone ai futuri progettisti, non regole fisse ma dispositivi qualitativi che possono essere modificati di conseguenza alle condizioni climatiche e alla creatività dell’architetto. Fry&Drew capirono che la modernità non potesse semplicemente conquistare le regioni tropicali induttivamente senza la costituzione di una classe sociale istruita, che fosse in grado di comprendere e applicare qualcosa che da mera questione tecnica si era evoluto in movimento culturale. Nell’introduzione del libro scrivevano: “Scriviamo […] per il numero crescente di coloro che abitano queste regioni […]. Su questi architetti e progettisti grava l’onere fondamentale di creare un ambiente nel quale le persone delle regioni tropicali possano prosperare. […] Quindi, gli architetti del futuro, che costruiranno per la propria popolazione, apporteranno alle loro attività, suggestioni e un senso collettivo di partecipazione, e forniranno, a noi che veniamo da fuori, nuove celate conoscenze.” Questa frase definisce chiaramente il pubblico del manuale: una neonata elite culturale, nell’ottica di un mondo progressista, che sia in grado di guidare le realtà tropicali verso un futuro moderno preservando e rafforzando nel contempo millenni di tradizioni culturali.
Il manuale Tropical Architecture mostra il suo debito nei confronti di esperienze pregresse nella sua struttura ma nel contempo propone un approccio radicalmente innovativo. Il manuale cessa di essere un mero strumento tecnico e diventa una guida culturale al contributo partecipativo comunitario, pensata più nello specifico per architetti e progettisti. Questo approccio non può essere così lontano dall’immaginario ambientale dei dai maestri della modernità, una nuova territorializzazione architettonica non basata su un singolo genio ma su un approccio sperimentale e scientifico dove il clima diventa il principale modellatore della forma architettonica. Come affermerà anni dopo Nicholas Negroponte, in Soft Architecture Machine, il design architettonico “ non sarebbe un caso di avventata autocrazia, quanto piuttosto un insieme pervasivo ed evasivo di restrizioni risultato di un’intenzione di ecumenicità, metodica ed empiricamente corretta.
Il manuale stabilisce un insieme chiaro di restrizioni tecniche e culturali, che individua nei dati climatici un punto di partenza definito e un’apertura suggestiva a possibilità per quel progettista disposto a comprenderne l’approccio e ad utilizzare gli strumenti forniti. Con il manuale Fry&Drew dimostrarono la loro visione progressista e cosmopolita dei tropici: il mondo sottosviluppato poteva essere aiutato da mezzi tecnologici e scientifici aperti alla partecipazione. Il successo del libro spinse altri professionisti a redigere i propri manuali. Molti di questi autori erano studenti o professori presso il Dipartimento di Architettura Tropicale che aprì a Londra nel 1954 presso l’Associazione Architettonica. Il corso fu il primo tentativo di stabilire un’istituzione in cui lo spirito manualistico potesse trovare una dimensione accademica. Architetti distanti geograficamente potevano incontrarsi in un ambiente neutrale nel quale poter assorbire, comprendere, modificare e disseminare un’attitudine culturale comune: lo sviluppo di un mondo cosmopolita era possibile!
L’evoluzione più rilevante dell’approccio introdotta dal manuale fu rappresentata dall’opera monumentale di Otto Königsberger, Manual of Tropical Housing and Building pubblicato nel 1947 dopo più di 20 anni di ricerca sui materiali e le tecniche di costruzione. Il manuale diverge considerevolmente dalla struttura, piena di immagini ed esempi, del Tropical Architecture di Fry&Drew, il manuale di Königsberger è un ordinato catalogo di sistemi di computazione con un approccio tecnico: la versione tropicale dell’Architects’ Data di Ernst Naufert. Königsberger identifica nelle soluzioni tecniche un mezzo attraverso cui poter esportare la modernità in contesti non occidentali. Lo spirito di partecipazione culturale che permea dal libro di Fry&Drew è stato trasferito a tecniche costruttive adatte a condizioni climatiche tropicali, perdendo qull’idea che la modernità non fosse esclusivamente un problema tecnologico ma invece un approccio culturale che potesse essere mischiato alle tradizioni locali.
Negli stessi anni un altro protagonista emerse nella scena africana come in quella asiatica: le organizzazioni internazionali immaginavano lo sviluppo attraverso aiuti economici e professionali. Le Nazioni Unite e l’ UNESCO, affrontarono a lungo la questione e con diversi mezzi senza tuttavia riuscire ad istituire un approccio cultural e tecnico replicabile in diverse condizioni. Il principale campo sperimentale per lo sviluppo era l’educazione, i programmi scolastici edili iniziati alla fine del periodo coloniale furono acquisiti dalle nuove nazioni indipendenti al fianco di cooperatori europei. Lo spirito dei manuali di progettazione fu rinnovato in relazione alle nuove condizioni sociali e alla minor quantità di fondi pubblici. L’UNESCO in particolare redasse delle linee guida e costruì prototipi mettendo in luce l’indigenizzazione di entrambi i metodi di insegnamento e dei processi di progettazione.
Cosa resta oggi di quest’esperienza su più livelli? La tradizione manualistica può trovare nuova vita attraverso nuovi dispositivi tecnologici e sistemi di comunicazione? Il percorso è ancora lungo ma il passato ci dà un solido approccio culturale: la capacità di comprendere l’architettura attraverso gli strumenti per lo sviluppo e la partecipazione. Una partecipazione utile solo se guidata da idee forti, un insieme di restrizioni da intendersi non come limita ma piuttosto come possibilità.


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