La scienza dell’urbanistica è giovane. La sua applicazione alle realtà dei paesi sottosviluppati lo è ancora di più. L’esperienza dell’India del primo dopoguerra ha mostrato la necessità di nuovi metodi di approccio e che effetti e ripercussioni possono essere differenti da quelli ottenuti in Europa.
Alcune importanti strategie sono emerse dai primi anni di sperimentazione in condizioni tropicali
1)I problemi progettuali dei territori sottosviluppati sono problemi di numero.
2)È necessario mobilitare le persone stesse per la loro risoluzione. Villaggi-modello e progetti pilota portano scarsi risultati in assenza di una sufficiente disponibilità economica che possa moltiplicare la loro diffusione su ampia scala nazionale.
3)I beneficiari dei progetti sono persone povere che producono poco. Pensare in termini di servizi e benessere sociale è inutile se la produzione globale del paese non è sufficiente per poterselo permettere. Bisogna focalizzarsi innanzitutto sull’ aumento della produzione e su una bilanciata distribuzione occupazionale. Migliorare le condizioni di vita, benessere sociale e i servizi deve andare di pari passo con l’incremento della produttività, ma non può precederlo.
4)Tradizioni e abitudini della vita all’aperto nei territori tropicali forniscono consistenti opportunità
per soluzioni convenienti ed efficaci.
5)Agglomerati e concatenazioni di paesi rappresentano probabilmente una soluzione più efficace per
le aree sottosviluppate piuttosto che per le più concentrate città dell’Ovest.
Le pagine seguenti tentano di spiegare l’emergenza e l’importanza di questi principi e di esemplificare la loro applicazione al fenomeno delle “new towns” dell’India.
Il concetto delle new towns non è nuovo alla popolazione indiana. Sono abituati a pensare in termini di lavori pubblici che implicano un ingente impiego della comunità, senza il quale sarebbe pressoché impossibile sopravvivere sotto il sole spietato di un paese fatto di giungle e deserti inoltre vessato da monsoniche piogge torrenziali. Per l’India la costruzione di nuovi villaggi e cittadine non è che un altro elemento di pubblico impiego, esattamente come l’rrigazione, i bacini di detenzione per le riserve idriche, strade, ponti, etc. Se ne fa menzione nei Veda, con strategie di assetto; spesso nel passato, capi, principi, imperatori, ordinarono la costruzione di nuovi insediamenti dove soldati privilegiati, veterani di guerra e fedeli funzionari civili venivano ricompensati con terre e proprietà. La città di Jaipur costruita dal maharaja Jay Singh II ne è un tipico esempio. La tradizione è stata ripresa durante il diciannovesimo secolo con l’istituzione dei così detti Acquartieramenti come insediamenti semi-indipendenti per gli eserciti europei, gli ufficiali civili e i loro sostenitori in campo. È culminata nel decennio 20-30 del secolo scorso con il completamento con il super-acquartieramento di New Delhi.
Ciò che risulta rivoluzionario per l’India di oggi è il fatto che le new towns non siano più progettate per piccole minoranze di privilegiati, che non siano destinate a preservare esclusivamente propositi militari o a dimostrare il potere e la forza della classe dirigente, che per la prima volta viene fatto un tentativo, uno sforzo, per creare comunità equilibrate e autonome. In altre parole il significato delle new towns risiede nel fatto che in India siano il primo tentativo, un prototipo di pianificazione sociale (folk-planning) come già postulato da Patrick Geddes.

Gli Anni tra le due guerre
Durante i dieci anni tra 1931 e il 1941 la popolazione dell’India è cresciuta del 15 percento. Nello stesso periodo la popolazione delle sue piccole e grandi città è cresciuta più del 40 percento. Le persone si sono spostate costantemente dalle zone rurali a quelle urbane. Come in tutti gli altri paesi l’edilizia residenziale non è riuscita a stare al passo con l’afflusso di popolazione nelle città.
Tentativi da parte del governo per rimediare alla situazione costruendo abitazioni per la classe operaia furono effettuati subito dopo il primo conflitto mondiale. Bombay (Mumbai) potrebbe servire da esempio: il governo provinciale lanciò un concorso di progettazione residenziale popolare costruendo circa 16.500 monolocali. La municipalità altri 19.175 strutture simili , incluse 2.800 capannoni semi-permanenti. La società portuale costruì circa 500 villette a due piani nelle quali erano previsti 180 metri quadrati di zona giorno per famiglia; l’opificio tessile di Bombay costruì 3.354 monolocali, 939 bilocali, e 8 case con tre o più stanze. Gli edifici costruiti dalla Provincia e dalle imprese locali si identificano con il nome di Chawls. Sono di tre o quattro piani, ciascuna con un corridoio principale collegato a dei monolocali 3×3, per una o due famiglie. Gabinetti e lavandini sono comuni alle famiglie per ogni piano.
Nonostante gli sforzi delle autorità nel primo dopoguerra il numero di abitazione per la classe operaia, a Bombay come in altre città, rimase totalmente inadeguato. Prima della guerra, il numero medio di abitanti di un mono locale era di 5 adulti (calcolando 2 bambini come un adulto). Durante la guerra la media salì a 10 adulti per stanza e sembrerebbe essere rimasto a questa cifra incerta.
La situazione in altre città indiane differisce da Bombay esclusivamente in merito alla tipologia edilizia e non per quanto concerne la densità abitativa. La carenza di terreni edificabili sulla penisola di Bombay ha costretto le persone a vivere in edifici su più piani. In altre città, dove non esistono tali restrizioni, sono nettamente preferite abitazioni mono-piano, dove lo schema abitativo del villaggio può essere mantenuto più facilmente.
Come risultato i quartieri operai si sono espansi occupando vaste aree. Questo facilita la vita all’aperto alla quale i loro abitanti sono più propensi e abituati, ma rende più difficili e dispendiose la fornitura di acqua, il mantenimento delle prevenzioni igienico-sanitarie e la costruzione di impianti di drenaggio e smaltimento. Questi insediamenti costituiti da abitazioni mono-piano di questo tipo prendono il nome di Bustee (slum). I proprietari dei Bustee sono per regola, commercianti, usurai o piccoli proprietari terrieri, in molti casi datori di lavoro, raramente il governo o il municipio.
Tra le due guerre l’opificio di iuta di Calcutta ha costruito 21.000 case popolari per i suoi operai. Ciascuna di queste è di meno di 10 metri quadrati e 17.000 sono di 9.
L’opificio tessile di Calcutta dichiarò di aver sistemato in un’abitazione il 45 percento dei propri operai in Bustee munite di mulino. La situazione a Cawnpore, Ahmedabad e in altri centri industriali era simile se non peggiore.

La Posizione nel 1947 e i Rifugiati
Nel corso dello scorso decennio, il “regolare” incremento della popolazione proseguì, ma nel contempo la già inadeguata costruzione di edifici residenziali degli anni trenta cessò definitivamente subito dopo lo scoppio della guerra. La situazione raggiunse l’apice con l’arrivo di circa dieci milioni di rifugiati dal Pakistan. Se si sommano la penuria di materiali edili e di attrezzature per il trasporto, la mancanza di artigiani e tecnici esperti e l’estrema povertà della maggior parte delle famiglie sfollate, ci si può fare un’idea della situazione che dovette affrontare il primo governo indipendente indiano quando nel 1947 prese il comando.
Quelli che tra i rifugiati erano contadini potevano essere sistemati nei campi. Artigiani esperti e molti dei commercianti più intraprendenti trovarono lavoro e in qualche modo rifugio nelle grandi città. Alcuni si strinsero in sovraffollate abitazioni, altri costruirono i propri rifugi temporanei con alluminio di scarto, stuoie e tele come pavimentazioni, in parchi e luoghi pubblici. Questi “occupanti abusivi” come venivano generalmente chiamati, presto occuparono tutti gli spazi aperti all’interno e nei dintorni delle città, causando all’amministrazione locale problemi di sicurezza e pubblica sanità senza precedenti.
L’occupazione abusiva, ritenuta ovunque sgradita, fu una forma di auto preservazione, che rimase confinata ad un’intraprendente minoranza tra gli sfollati. La maggioranza della popolazione di rifugiati pakistani, era composta, tuttavia, da ex negozianti, piccoli commercianti, usurai, piccoli bancari e proprietari di fondi incolti che non potevano essere assorbiti dall’economia delle città esistenti. Dovettero vivere col sussidio di disoccupazione in accampamenti, sotto il sole cocente delle estati indiane e le piogge torrenziali dei monsoni dell’India del nord finché qualcuno non provvedesse alla loro sistemazione.
I piani di edilizia residenziale periferica per l’espansione urbana furono portati avanti con l’obiettivo di dare immediato soccorso nella massima sollecitudine permessa dalla disponibilità di uomini e mezzi. Nella sola Delhi, la realizzazione di nuove abitazioni per gli sfollati nell’anno finanziario 1949-50 raggiunse la consistente cifra di 16.000, ma è stato riconosciuto che servisse qualcosa in più per richiamare l’attenzione (fare appello all’immaginazione) dei rifugiati stessi, e garantire la loro attiva collaborazione nel processo di reinsediamento. La disponibilità di rifugi, acqua e misure sanitarie – per quanto importanti fossero – non era sufficiente. Un reinsediamento nel vero senso della parola implicava la ri-formazione delle persone provenienti dai campi profughi in attività produttive ed il loro assorbimento in nuove entità economiche, specialmente nelle regioni finora sottosviluppate del Paese. In questo modo il problema della riabilitazione si legò al concetto di new town, ed entrambe divennero parte del programma di ampio sviluppo nazionale.
La connessione delle nuove città indiane all’apertura delle regioni più arretrate addusse un importante aspetto pionieristico al movimento, che lo portò oltre le idee di disposizione e ridistribuzione della popolazione che erano predominati all’avvio del programma urbanistico britannico.

Il Ritmo dello Sviluppo
La mancanza di alloggi nel pre-guerra era stata una patologia cronica, pazientemente sopportata dalla classe operaia indiana e dal ceto medio. Il problema dell’alloggiamento dei rifugiati fu una malattia acuta, e i malati furono, comprensibilmente, tutto fuorché pazienti. Chiesero un intervento, e non ci fu il tempo per volontà dei progettisti di fare studi comparati dei siti, condurre indagini analitiche, elaborare sofisticati piani regolatori, progetti di sviluppo economico, diagrammi sulla viabilità e progetti per gli spazi aperti, e stampare tutto ciò per discuterne pubblicamente. I lavori di costruzione iniziarono non appena furono individuate le aree e furono predisposte le riserve idriche. Piccoli gruppi di progettisti dovettero improvvisare sulla base della loro familiarità con il Paese e la loro conoscenza sulle idee progettuali sviluppate in Occidente. In molti casi non fu facile mantenere il processo progettuale quei due indispensabili passi avanti ai lavori di costruzione nel sito.
Caso emblematico è la storia della neonata città di Gandhidam sulla costa occidentale dell’India. Il progetto di Gandhidam trova le sue origini nell’iniziativa di un gruppo di rifugiati provenienti da Sindh (principalmente cittadini di Karachi) che decisero di mettere insieme quel poco che avevano salvato del loro vecchio patrimonio e di utilizzarlo per la costituzione di una Nuova Karachi. La realizzazione, da parte del governo indiano, di un nuovo porto nel Golfo di Kutch offrì le basi economiche per la proposta. I terreni furono acquisiti il più vicino possibile alle zone portuali e i lavori iniziarono con a costruzione di una fabbrica per la produzione di mattoni forati di cemento, in un punto in cui l’accesso su strada e le riserve idriche potessero essere raggiunte.
La società che riforniva lo stabilimento fabbrica-mattoni si unì a questo cosa che sarebbe dovuta essere una strategia per una città per 5-600.000 su una semplice conformazione geometrica. Non avvenne finché il progetto non fu presentato al governo a Delhi per un contributo finanziario che uno studio approfondito della questione e la preparazione di un programma di sviluppo fossero presi in mano. A quel punto, gli entusiastici impresari, a Gandhidam avevano già costruito qualche centinaio di alloggi attorno alla loro impresa di mattoni, avevano organizzato e riunito una considerevole forza lavoro, e non erano disposti a concedere capitale e manodopera che stesse con le mani in mano mentre i progettisti facevano le dovute riflessioni. Furono sufficientemente ottimistici da iniziare a costruire in due posti distanti quattro miglia e mazza l’uno dall’altro, nella solida convinzione che le loro città sarebbero cresciute abbastanza velocemente da colmare i vuoti entro pochi anni. Anche se un programma più realistico fu alla fine redatto e approvato, il piccolo ufficio frettolosamente costituito per curare i dettagli, ebbe difficoltà a tenere il passo con l’impazienza dei costruttori nel sito.
Gandhidam fu un caso estremo, ma fu emblematico di una situazione nella quale ogni riparo coperto era meglio che non averne nessuno, e dove veramente pochi – ultimi tra tutti i legislatori che avevano scelto i finanziamenti – avevano il tempo o l’attitudine per occuparsi dei “perfezionamenti”. I pericoli e gli svantaggi di tali modalità nell’istituzione di nuove città sono fin troppo ovvi da richiedere un approfondimento. Ma, per quanto negativa fosse la situazione, c’era l’aspetto compensante che le idee progettuali potessero essere rapidamente messe in atto – spesso nella loro forma più essenziale e su suolo incontaminato – e che i risultati potessero essere osservati in un tempo relativamente breve.
Le esperienze dei tre anni passati sono ancora troppo giovani per essere cristallizzate in una “scuola” o in una “teoria” della progettazione in zone tropicali, ma sicuramente sono emerse procedure e riflessioni di entità più generale che dimostrano come possano esserci differenti problematiche e soluzioni progettuali sotto un cielo orientale. Come sempre la progettazione deve iniziare con una perizia sulle esigenze umane, le soluzioni variano al variare delle necessità della vita di tutti i giorni. Le persone vogliono nutrirsi, dormire, lavorare e godersi il proprio tempo libero. Le modalità con cui fanno tutto ciò dipendono da fattori economici, sociali e geografici. Bisogna comprendere questo aspetto prima che il programma possa essere approvato e i lavori di progettazione intrapresi.

Aspetti Economici
L’economia indiana è principalmente agricola, il Paese è sottosviluppato e il suo tenore di vita è basso. Questi aspetti sono ormai fin troppo conosciuti per essere ripetuti, ma hanno acquisito nuova rilevanza nel contesto di realizzazione delle nuove città. Manuali sull’economia dell’India riportano il reddito pro capite a 5 sterline all’anno, contro le 76 dell’Inghilterra e le 89 degli Stati Uniti. Queste cifre riguardano il 1931. Il rapporto di aprile 1951, del Comitato del Reddito Nazionale, riporta indicazioni sul fatto che la cifra del reddito pro capite si è da allora duplicata. Indubbiamente, confronti in termini del valore monetario dei soli introiti sono fuorvianti se si considerano nazioni con abitudini e condizioni tanto differenti come l’India e l’Inghilterra, ma sono sufficienti ad illustrare l’entità del contrasto in termini di benessere.
Siccome la maggior parte dei redditi è troppo bassa per poter raggiungere il livello di tassazione, i guadagni dalla tassazione sono minimi. In India, la proposta di governo sul reddito personale attraverso la diretta e indiretta tassazione e tramite tutti gli altri costi e le altre spese, rimane al di sotto dell’8 per cento del reddito totale nazionale. Questa povertà, non solo del cittadino medio, ma anche del pubblico ministero, pregiudica la costruzione di nuove città in quanto limita l’intervento dei proventi pubblici al minimo indispensabile.
Né le vecchie né le nuove città potevano aspettarsi ingenti donazioni e sovvenzioni al di fuori dei fondi del governo, anche per quei servizi che il portavoce del governo promuoveva come auspicabili. Potevano finanziare le loro esigenze attraverso prestiti (spesso a condizioni vantaggiose), ma i prestiti dovrebbero essere revisionati e ripagati oltre le possibilità di guadagno dei cittadini e sono pertanto limitati esclusivamente dalle proprie ricchezze e capacità produttive.
Dato che gran parte delle nuove città indiane sono destinate principalmente ai rifugiati indigenti non avvezzi al lavoro produttivo, la difficoltà di garantire migliori standard di vita nelle loro nuove città divenne evidente. Dall’altra parte, la vita nelle nuove città doveva essere sufficientemente attraente da impedire una stasi nella crescita e una involuzione per gli abitanti all’assetto delle sovraffollate vecchie città. In questo dilemma, la rieducazione professionale per incrementare la produttività divenne parte vitale del progetto per una nuova città indiana, come la zonizzazione o la progettazione infrastrutturale lo è per una città occidentale.
Mentre le nuove città attorno a Londra erano state promosse per una redistribuzione della popolazione, cioè con l’intenzione di trapiantare gruppi pienamente produttivi di lavoratori salariati in zone migliori e più salubri, la maggior parte delle nuove città indiane erano nate con l’intenzione di formare i “nuovi arrivati” al lavoro produttivo che gli avrebbe garantito una città migliore. Questa differenza è meno evidente nei progetti che nei programmi di sviluppo progressivo. I progetti sono incentrati su uno sviluppo futuro, e i progettisti indiani sono sufficientemente ottimisti da presuppore che gli assai elevati standard di vita e produttività ai quali mirano, saranno raggiunti, e dispongono proporzionalmente spazi per i servizi urbani. I programmi di lavoro per le prime fasi e le realtà ora visibili sul territorio mostra più chiaramente le divergenze di priorità.
In contrasto con quelle che potrebbero essere definite le “Città del Benessere” dell’Occidente, i nuovi insediamenti indiani sono “Città in Evoluzione”, ed in molti casi, fino ad ora, nulla più se non campi di formazione professionale. Questo aspetto è maggiormente evidente nelle città in riabilitazione, quali Nilokheri e Faridabad, che nacquero come accampamenti per la formazione degli artigiani, e adottarono il processo fisico di costruzione delle nuove città come dimostrazione pratica di produttività e cooperazione. E’ meno evidente in città progettate come centri amministrativi, quali Chandigarh e Bhubaneswar, ma non per questo assente.
Il bisogno di elaborare i progetti con l’idea della “Città in Evoluzione” appartiene forse ad altri paesi sottosviluppati. Il professore W. Arthur Lewis fa riferimento a 1.000.000 di Sterline come cifra approssimativa dell’introito nazionale delle colonie britanniche in Africa. Come i valori demografici alle regioni corrispondenti ammontano alla cifra di circa 56 milioni, i finanziamenti per i servi e le infrastrutture sono verosimilmente limitati quanto lo sono in India. I governi nazionali, le potenze Mandatarie o Protettrici, Gli Stati Uniti o le Nazioni Unite potrebbero trovare i fondi per progetti pilota o piccole unità modello con tutti i servizi, collegate con le nuove città dell’Europa o degli Stati Uniti, ma progetti pilota e città modello difficilmente hanno impatto in ampie regioni sottosviluppate. [pg.101…114]

La progettazione del quartiere
Le condizioni economiche, climatiche e sociali discusse nelle precedenti pagine hanno un effetto comune: contrastano tutte fortemente soluzioni progettuali compatte con terrazzamenti di edifici multi piano della tipologia alla quale siamo abituati associare le città storiche sia occidentali sia orientali: spingono le nuove città a distribuirsi coprendo aree molto estese. Quando Le Corbusier arrivò a Chandigarh, la nuova città indiana per cui è uno dei progettisti, sottolineò con stupore come il primo piano per questa città da mezzo milione di persone coprisse una area superiore a quella di Parigi. Analoghi raffronti possono essere applicati alla maggior parte degli insediamenti indiani più recenti.
È esperienza consolidata che i programmi per una città aperta e una bassa densità residenziale creino problematiche, specialmente per quanto riguarda mobilità e servizi. Finché il progettista non affronta queste criticità, costi delle strade, servizi di trasporto, fognature, fornitura idrica, illuminazione, smaltimento delle acque reflue, etc. andrà rapidamente fuori dalla portata delle persone per le quali è concepita la sua città. La maggior parte delle città indiane provano a risolvere questo problema con un sistema quartieri ideato appositamente per far fronte alle difficoltà intrinseche nella progettazione a bassa densità. Questo è un fattore positivo, perché l’idea della comunità autosufficiente ha un certo appiglio sulle persone dei paesi sottosviluppati. Solo il 20 percento circa della popolazione indiana vive in città, e l’amministrazione democratica comunale è comparabilmente sottosviluppato. Sopravvive ancora, tuttavia, una tradizione di autogoverno rurale (il cosiddetto “panchayat” consiglio del villaggio) e le persone sono abituate a pensare in termini di comunità. Per loro, l’unità del quartiere delle nuove città rappresenta il rapporto più prossimo al tipo di vita comunitaria che conoscono dai loro villaggi. Un quartiere con una struttura a villaggio rende loro più semplice l’apprendimento delle proprie responsabilità civiche piuttosto che l’amorfismo di una grande città. I quartieri delle nuove città sono concepiti per essere autosufficienti per tutte le esigenze della vita urbana tranne che per il lavoro, le università e altre forme di istruzione più specifiche. Sono pensati come unità pedonali con scuole, mercati, centri sanitari, locali, sale di lettura e luoghi di ritrovo a distanza tale da poter essere raggiunti comodamente a piedi da tutte le case, con strade principalmente ciclo-pedonali, solo occasionalmente per carri trainati da buoi, ambulanze motorizzate o mezzi antincendio. Questo rende possibile una riduzione delle spese delle strade e di avere tuttavia una bassa densità. Per molti anni a venire, sarà sbagliato aspettarsi strade di asfalto o cemento a due o più corsie all’interno di un quartiere. Ci saranno percorsi pedonali fiancheggiati da canali di raccolta dell’acqua piovana, costruiti di qualsiasi materiale reperibile localmente. Finché tali percorsi sono costruiti sufficientemente bene da garantire un accesso sicuro alle abitazioni durante tutte le stagioni, basteranno a soddisfare le frugali esigenze di una comunità bucolica, e nel contempo, hanno l’ulteriore vantaggio di proteggere i bambini dai pericoli di un indesiderato traffico interno.
Il problema dei servizi è più difficile da risolvere. La maggior parte dei moderni sistemi di fornitura dell’acqua, impianti fognari, etc. sono sviluppati sulla base di assetti urbani relativamente densificati. Un buon compromesso da parte della futura ricerca tecnologica sarà quindi necessario per sviluppare sistemi semplici per piccole comunità cosa che consentirà ad ogni quartiere di essere trattato indipendentemente. Se tali sistemi vengono sviluppati, sarà possibile evitare le gravose spese iniziali di un sistema di servizi che ampio abbastanza da coprire infine l’intera città. Questo faciliterebbe considerevolmente la crescita delle nuove città.
Le soluzioni si dovranno nuovamente trovare in ciascun caso con riferimento alle condizioni locali. Un esempio di un tentativo con le giuste intenzione è il sistema adottato nella città per rifugiati di Faridabad, vicino Delhi, dove l’acqua è fornita da pozzi dai 250 ai 300 piedi di profondità circa, ognuno dei quali è sufficiente alle esigenze di uno o due quartieri. Le acque grigie vengono usate per il giardinaggio, le acque reflue smaltite tramite latrine. Raramente è possibile garantire alle nuove città “il lusso” di un sistema di acqua filtrata, ma dove l’acqua è abbondante, l’uso delle acque di scarico per uso irriguo, può essere considerato nella speranza di recuperare una parte degli ingenti costi di un sistema di smaltimento delle acque dai guadagni di una coltivazione intensiva presso un’azienda agricola che pratica la fertilizzazione tramite i liquami. L’analisi accurata della capacità di assorbimento del terreno, lo sviluppo di pozzi neri normalizzati di dimensioni minime, la raccolta delle acque piovane in cisterne sui tetti, sono alcuni dei numerosi metodi che richiedono studi specifici in quest’ambito.
In molte città, i bambini devono percorre a piedi lunghe distanze per raggiungere le loro scuole, e i loro genitori coprono distanze perfino superiori per andare al lavoro e per soddisfare i propri bisogni giornalieri. Non c’è alcun dubbio che tali distanze siano da ricercarsi tra i motivi di un basso reddito, e di un diffuso analfabetismo, e che il loro annullamento sarà una delle attrazioni principali dei quartieri delle nuove città. Nel caldo tropicale, le distanze a piedi dovrebbero essere decisamente meno che in zone climaticamente temperate, ma il fattore temporale è più importante rispetto alle considerazioni sul confort, la differenza è lieve.
I bambini in età da materna o elementari non dovrebbero camminare più di un quarto di miglio e dovrebbero essere in grado di raggiungere le proprie destinazioni senza attraversare le principali strade trafficate. Gli studenti delle scuole medie ci si aspetta che camminino fino a mezzo miglio, mentre quelli delle scuole superiori spesso percorrono in bicicletta oltre il miglio e mezzo.
Piccoli alimentari per le esigenze giornaliere di un quartiere dovrebbero stare entro il mezzo miglio dalle residenze a condizione che il raggruppamento e la concentrazione di negozi è spesso considerata tanto desiderabile quanto più vicina. Lo stesso va applicato ad altre istituzioni urbane, in particolare gli ambulatori, che devono essere posizionati in modo tale che i pazienti possano visitarli quasi quotidianamente. Questo è necessario dato che i pazienti ambulatoriali analfabeti non sono ritenuti attendibili oltre la loro dose giornaliera di medicine. Gli ambulatori di quartiere possono servire da mense per gli ospedali, che funzionano meglio economicamente come unità più vaste.
Le considerazioni in merito alle distanze raggiungibili a piedi e il bisogno di introdurre un buon numero di famiglie per giustificare le istituzioni pubbliche e rendere il commercio locale proficuo regolamentano le dimensioni del quartiere.
Le soluzioni variano in base alle condizioni locali, ma gravitano solitamente attorno alla fascia tra le 800 e le 1200 famiglie distribuite in un’area tra i 150 e i 200 acri, che è approssimativamente una zolla lunga mezzo miglio e larga mezzo miglio. Sperimentazioni con unità maggiori sono state adottate per rispondere ad esigenze più specifiche – soprattutto a Chandigarh, Faridabad e Jamshedpur – e i progettisti hanno inoltre provato ad accorpare numerosi quartieri in più ampie unità organizzative (distretti) con centri distrettuali per negozi più grandi, scuole, cinema etc.
È presumibile che il governo locale e l’amministrazione municipale delle nuove città si istituiranno infine sulla base di un sistema di rappresentazione circoscrizionale.

La città lineare
Sarebbe l’ideale se i quartieri potessero essere autonomi, anche, per quanto concerne il lavoro. Purtroppo questo risulta possibile solo per pochi artigiani, per i dipendenti impiegati nelle villette o nel settore dei servizi, o per quelli connessi al commercio locale, nell’educazione elementare e nell’amministrazione del quartiere. Nella migliore delle ipotesi questi costituiranno il 40 percento del totale. La restante parte sarà costretta a trovare impiego nel centro cittadino (distinto da centro del quartiere) o negli stabilimenti industriali o in istituzioni che rilevano manodopera da tutte le parti della città. Pochi raggiungeranno in bicicletta i loro posti di lavoro. La maggior parte dipenderà dal trasporto meccanico.
Nelle città commerciali fondate sulla piccola e la grande distribuzione, il centro commerciale sarà il principale “datore di lavoro” al di fuori del quartiere. In questo tipo di città, i quartieri saranno disposti attorno al centro commerciale cercando di mantenere più case possibili ad una distanza raggiungibile in bicicletta. Le città puramente commerciali sono rare tra le città dell’India. La maggior parte sono eterogenee ed un gran numero sono prevalentemente industriali. In queste ultime, la necessaria separazione delle zone industriali da quelle residenziali contribuisce alla formazione di quartieri industriali connessi tramite bus e ferrovie suburbane ai quartieri abitati.
La maggior parte delle città storiche ad est e ad ovest sono cresciute concentricamente attorno al nucleo originario. I progettisti hanno famigliarità con le difficoltà del garantire un sistema di trasporti pubblici efficiente in città di questo tipo. Nei nuovi insediamenti industriali indiani i vantaggi di una configurazione concentrica sarebbero trascurabili in rapporto alla complessità interconnessa alla convergenza delle strade al centro della ragnatela. Una volta che il progettista si riconcilia con il fatto che la sua città di quartieri mono-livello distribuiti in ampiezza richiederà un trasporto meccanizzato, la città lineare fondata su un’unica arteria di trasporto motorizzato offre fisiologicamente la soluzione più semplice. E’ interessante vedere quante varianti del concetto della città lineare si siano reiterate più e più volte in tutte quelle new towns indiane basate principalmente sull’occupazione industriale. Bhadravati, Jamshedpur e per certi aspetti, Gandhidam e Faridabad, sono tipici esempi. Sulla base del fatto che un quartiere non è più profondo di mezzo miglio, tutti i suoi abitanti saranno entro una ragionevole distanza a piedi dall’arteria carrabile della città lineare. I quartieri stessi possono rimanere unità pedonali, mentre le spese possono concentrarsi sull’arteria principale, che sarà una strada riservata esclusivamente alla mobilità veloce.
Oltre alla convenienza per le soluzioni rispetto al traffico, il sistema lineare presenta un altro vantaggio emblematico per le soluzioni climatiche tropicali. Riduce la necessità di spazi aperti e polmoni all’interno del quartiere. Se un progettista in Inghilterra garantisce uno spazio aperto in un progetto, può fare affidamento sulla sua rigogliosità e gradevolezza, e sulla sua capacità di rispondere alle proprie funzioni di polmone e spazio ricreativo, anche se non ci sono soldi a sufficienza da investire nella manutenzione di prati e aiuole. Nella maggior parte delle regioni dell’India, gli spazi aperti incustoditi diventano velocemente chiazze marroni di polveroso deserto. Le precipitazioni sono insufficienti o comunque non abbastanza ben distribuite da mantenere questi spazi verdi, e l’acqua è troppo preziosa da consentire numerosi giardini pubblici. Dato che i servizi sanitari e le misure di raccolta dei rifiuti sono spesso inadeguati, gli spazi aperti tendono a ad essere usati come latrine pubbliche e discariche, è quello che originariamente dovrebbe essere una risorsa per la comunità degrada in una zona appestata fonte di infezioni. Gli amministratori delle nuove città sono sempre preoccupati di restare senza tanti spazi aperti e di non avere alcun riscontro con i pittoreschi giardini e prati tra i gruppi di case che appaiono così suggestivi nei nostri disegni. Sono consapevoli di non avere né i fondi né l’acqua per trasformare il colore della mappa in verdi chiazze nelle loro città.
L’assetto lineare offre una soluzione a questa problematica riducendo il bisogno partico di spazi aperti. In una città che si configura come un’unica fila di quartieri profondi non più di mezzo miglio, nessuno vive a più di un quarto, o al massimo un terzo di miglio dall’aperta campagna, dove può trovare tutto lo spazio aperto che desidera. Oltre agli spazi ricreativi delle scuole, e i luoghi d’incontro pubblici, i quartieri delle città lineari non necessitano di numerosi spazi aperti, e questo aumenta considerevolmente la portata economica del sistema. E’ plausibile, che in futuro, l’India avrà numerose città composte da una catena di quartieri, messi insieme da una strada arteriale, come perle in una collana. Che questi insediamenti meritino il titolo di città rimane una questione irrilevante. È difficile immaginare come la forma estrema della città lineare con i suoi villaggi autonomi disposti singolarmente lungo una strada o una ferrovia possa creare l’atmosfera urbana, l’interesse per i problemi comunitari e la consapevolezza di un destino comune, essenziali nella nostra concezione di città.
E’ significativo il fatto che il picco della civilizzazione urbana sia da ricercarsi in città che – per questioni difensive o d’altro tipo – dovevano essere concentrate e compatte. È un’interessante materia di speculazione riflettere su quanto questa compattezza sia necessaria una la vera civilizzazione urbana e in quale misura sia necessario che il centro economico e culturale di una città coincida col suo centro geometrico. Il progettista pragmatico in India, che ha poco tempo per meditare su tali questioni, trova forse conforto nel fatto che alcune città abbiano effettivamente un solo obiettivo. Come mostrano gli esempi delle seguenti pagine, c’è solitamente una differenza di interessi – industrie combinate al commercio per i paesi circostanti etc. – che fornisce un’opportunità per soluzioni di compromesso.
ESEMPI:
1. Città Industriali che affondano le loro origini nello stabilimento di un gruppo di nuove fabbriche in un territorio vergine dove generalmente si parte con dei campi di lavoro con alcune case riservate ai funzionari, limitrofe alla fabbrica. Queste sono esemplificate dai progetti per Bhadravati nel Mysore e Jamshedpur nel Bihar.
2. Città Amministative costruite per garantire nuovi posti dei governi federali, e provvedere all’alloggiamento principalmente dei dipendenti statali. Generalmente sono svincolate dall’industria pesante, ma provvedono ad altre fonti di occupazione, come un centro di pellegrinaggio nel caso di Bhubaneswar, la nuova capitale dello stato dell’Orissa, e la grande distribuzione del commercio tessile nel caso di Chandigarh, la nuova capitale del Punjab indiano.
3. Città per i Rifugiati fondate per ridistribuire e rieducare gli sfollati provenienti dal Pakistan. Il fattore educativo e i rapporti economici la circostante area agricola hanno avuto maggior riscontro a Nilokheri nel Punjab e a Rajpura nel Patiala. Faridabad vicino Delhi e Kalyani nei pressi di Calcutta sono più assimilabili alle città per sfollati attorno a Londra e possono descritte come satelliti di Delhi e Calcutta. Gandhidam nel Cutch è una città per rifugiati che trova la sua ragione d’esistenza nella costruzione di un nuovo porto nella costa ovest dell’India.
Questi esempi sono emblematici, ma non coprono rappresentativamente tutte le new towns dell’India.
Una lista più esaustive includerebbe Ulhasnagar presso Bombay, Fulia nel Bengala e alcuni insediamenti per rifugiati di minori dimensioni, comuni suburbani come Kalkaji o Sheikh Serai vicino Delhi, le nuove città di provincia nell’ Hyderabad – Deccan e altre città industriali come Sindri (Progetto della Valle del Damodar), Chitaranjanghar, Mithapur, Harihar e altre.

Bhubaneswar (Orissa)
Il sito per la nuova capitale dello stato federato di Orissa, è stato selezionato a febbraio, 1948. Il disboscamento della porzione di giungla che lo ricopriva e la predisposizione del progetto furono impugnate simultaneamente. Il 13 aprile 1948, il primo ministro indiano ha posato la prima pietra e i lavori di costruzione sono iniziati. Il primo giugno 1949, il primo dipartimento ministeriale (composta da circa 800 funzionari con le loro famiglie) si è trasferito in abitazioni permanenti ed uffici temporanei nella nuova città. Elementi importanti del sito erano, l’aeroporto costruito dagli alleati durante la guerra, la ferrovia (fondamentale il collegamento della costa est tra Chennai e Calcutta) e soprattutto la città antica di Bhubaneswar, con il suo lago sacro e un magnifico gruppo di templi medioevali. La strada principale della nuova città si ricollega all’autostrada nazionale in previsione da Chennai a Calcutta che aggirerà la città a nord. Bhubaneswar ha dei collegamenti stradali indipendenti con Cuttack, il vecchio centro commerciale e industriale dell’ Orissa e con la località di mare e centro di pellegrinaggio di Puri.
La sede del congresso di stato con la sala riunioni dell’assemblea e i segretariati dei ministeri statali sorge su un’altura che sovrasta i quartieri residenziali dei versanti sud e est, progettati per intercettare direttamente la mitigante aria marina che attraversa i più bassi territori del delta. La rete stradale della città nuova segue una semplice configurazione a T, in cui la barra trasversale d’incrocio della T costituisce una connessione per due schiere di quartieri residenziali, mentre il tronco della T con l’aspetto di un grande viale con alberi e aiuole spartitraffico connette il centro amministrativo della capitale con il centro finanziario di fronte alla stazione ferroviaria. Bhubaneswar non è concepita per diventare una città industriale, la sua principale “industria” è il servizio governativo ma ha un piccolo distretto riservato alla luce e al settore dei servizi, come fabbriche del ghiaccio impianti frigoriferi, officine elettroniche e meccaniche etc.
Ogni quartiere residenziale è raggruppato attorno ad un centro educativo e ricreativo con spazi aperti per giochi, assemblee e eventi sociali. Per migliorare le prospettive economiche i centri commerciali locali sono stati accorpati ogni due quartieri. Una zona centrale a scopo commerciale per l’intera città è progettata attorno alla grande piazza della stazione. Per prevenire l’emergenza di un “ghetto per funzionari statali” ogni secondo alloggio è stato riservato all’affitto di non-funzionari.
È previsto che, nonostante le differenti caratteristiche e i differenti contesti, la vecchia e la nuova città diventino una unità amministrativa e che abbiano standard di servizi urbani comparabili. I lavori di valorizzazione radicali (incluso l’abbattimento di numerose capanne, negozi, e l’estinzione dell’usurpazione di strade e piazze) sono stati avviati con quest’obbiettivo nella città vecchia, ed un nuovo quartiere si è formato tra le due città con lo scopo di canalizzare una rivendicazione in parte speculativa di siti in quest’area. Questa parte del programma di sviluppo è incappata in diversi ostacoli di cui la maggior parte a causa degli insufficienti poteri legislativi e dell’inerzia amministrativa nel controllo delle azioni immobiliari speculative.

Chandigarh (Punjab, India), I versione.
La divisione del Punjab tra India e Pakistan ha reso necessaria la disposizione di una nuova capitale per il Punjab indiano. Dopo un’accesa controversia in merito alla sua locazione, un sito suggestivo è stato scelto presso un terreno gentilmente in declivio ai piedi dell’Himalaya.
Su due lati, la futura città sarà costeggiata da due ampi letti di fiume che portano acqua solo per alcune settimane e sono asciutte distese di sabbia e ciottoli per il resto dell’anno. Il terzo confine del sito è formato da pendii bruscamente scoscesi, e sul quarto, si apre sulla vasta pianura alluvionale del Punjab.
Era previsto inizialmente di regolare e arginare i due fiumi con l’obbiettivo di conservare acqua nel corso dell’anno. Questo ha determinato l’dea di collocare il centro amministrativo (il così detto Campidoglio) su una penisola formata nel punto di confluenza dei due rami di fiume così da separarla dal resto della città da una linea d’acqua.
La città doveva fondarsi su un sistema di gruppi (o “macro blocchi” come li ha definiti Mayer) di quattro quartieri, tre per i ceti medio-bassi ed il quarto per persone più benestanti. Questi gruppi sono circondati e connessi da un reticolo di strade carrabili. Un gruppo di queste strade, lievemente curvate per seguire i profili territoriali, si connette con la zona industriale ed il capolinea della ferrovia nella periferia più ad est, mentre l’altro gruppo converge verso il Campidoglio, la Corte Suprema e l’università al confine nord della città.
Due bacini naturali prosciugati che attraversano il sito, vengono usati per andare a costituire nastri verdi che connettono i quartieri residenziali agli edifici pubblici e alla zona commerciale, e rappresentano una benvenuta interruzione dell’ampia zona residenziale.

Chandigarh (Punjab, India), II versione.
Ricerche portate avanti dopo l’ultimazione del progetto di Mayer mostrarono che il progetto per la regolazione idrica del fiume non produsse i risultati sperati. Sebbene potesse essere conservata acqua a sufficienza per supplementare le condutture per l’irrigazione della città, non c’erano possibilità di immagazzinarne a sufficienza per riempire i letti dei fiume intorno alla città come previsto dal progetto di Mayer. Inoltre, ulteriori rilievi dei livelli rivelarono che il terreno in mezzo ai due fiumi era più basso rispetto alle principali parti attigue della città. Questo ha reso necessario riesaminare l’ubicazione del campidoglio. Non avrebbe avuto senso, separarlo dal resto della città tramite un letto di sabbia e detriti. In accordo, la sede del governo, fu trasferita a nord est, in un punto che aveva il vantaggio di una maggior elevazione e permetteva il mantenimento dell’idea architettonica del progetto originale di esporre il gruppo di edifici più importanti a contrasto con il magnifico sfondo dell’Himalaya. Il sistema stradale fu ampliato e il disegno dei quartieri ripensato nell’ottica di rendere la città più compatta. L’idea di Mayer di usare le valli naturali come fasce di verde rimase, ma uno di questi acquisì maggior rilevanza vendo affiancato da un lato da un lungo ed esteso distretto commerciale e indirizzandosi direttamente verso il campidoglio. Diramazioni della zona commerciale si ricollegano alla stazione ferroviaria e con l’area industriale ridotta di volume. Questo è in linea con la decisione politica che la capitale sia un centro amministrativo e commerciale, ma non un posto di industria pesante.
La nuova configurazione del quartiere abbandona l’idea di un centro di commercio locale disposto attorno ad una piazza aperta in favore di un una strada commerciale (riservata esclusivamente ad una mobilità lenta) che corre proprio lungo il quartiere in modo da integrare nella nuova città una consacrata tradizione orientale. Perpendicolarmente alla strada-mercato corre una fascia di spazi aperti che contenente, scuole, parchi e strutture ricreative previste per il quartiere. Dato che i progettisti erano in disaccordo rispetto a quale delle due tipologie di quartiere fosse preferibile e maggiormente apprezzabile, si decise di includere due delle tipologie originali di Mayer e numerose del nuovo progetto nel programma del primo anno e di stabilire la configurazione principale dopo aver acquisito maggior esperienza. Questa decisione va apprezzata, perché una città delle dimensioni di Chandigarh offre margine per svariate soluzioni, e la comparazione tra i diversi assetti di quartiere sarà utile per i progetti futuri, non solo in India.

 


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