La trasparenza come ‘carattere’ dello spazio, qualificante l’accezione di ‘spazio moderno’.

Distinzione tra trasparenza letterale e fenomenica.

Proponiamo lo studio nella forma del dialogo tra l’architetto Annalisa Di Carlo [Annalisa.] – traduttrice del testo e autrice degli interrogativi che provoca – e il direttore della rivista che ne ha promosso la traduzione e lo studio [Ernesto].

Annalisa.

All’interno del testo evidenzio la critica segnalata da Oechslin: Sosteneva Hoesli che gli autori di “Trasparenza” si fossero ingannati sostenendo l’esistenza – basata sulla loro personale concezione di trasparenza – di una trasparenza fenomenica [ndr che considera metafora] opposta ad una accezione letterale del termine quale come sinonimo di ‘moderno’.

Aggiungo, a chiarimento, la nota (3) di Oechslin: L’articolo “Trasparenza” è costruito attorno all’ambiguità del concetto, che gli autori definiscono in termini di ‘letterale’ e ‘fenomenica’ – partendo dalla distinzione operata da Georgy Kepes –  cercando di chiarire il significato figurativo della trasparenza attraverso un ordine spaziale, in contrapposizione alla condizione che indica la mera non_opacità di una parete. Parecchi critici anno avuto fermamente criticato questa teoria. Si veda la recensione di Stanislaus von Moos in “Zeitschrift fur Schweizerische Archaologie und Kunstgeschichte 27” (1970), pp. 237 – 8; Von Moos parla di un “feticismo quasi compulsivo nei confronti della parola ‘trasparenza’, e contrappone all’interpretazione di Rowe e Slutzky il concetto – ordinario e letterale – di trasparenza, poiché « viene utilizzato in tutto il mondo da molto tempo». Un’ulteriore discussione sulla ‘trasparenza’ si trova nello scritto di Rosemarie Haag-Bletter (“Trasparenza opaca”, in Oppositions 13, 1970, pp.121ff.) ; l’obiettivo era di definire il concetto di trasparenza e le sue possibili applicazioni.
Le parole di Hoesli, insieme alla nota di Oechslin, si riferiscono a qualcosa di cui abbiamo parlato altrove, Vi è un richiamo ad una ‘ortodossia del moderno’ – che risale a Scheerbart – da parte di chi non avvertiva la necessità di una svolta imminente nella ‘natura’ stessa delle modernità. Non capivano che, attraverso l’aggettivo ‘fenomenica’,  la trasparenza – qualificazione di una proprietà dello spazio – offriva un cambiamento di prospettiva, ripeto, alla svolta della ‘modernità’ sulla ‘natura’ di questa proprietà [ndr ‘seconda modernità’ si riferisce alla seconda fase del Movimento Moderno, dopo il 1945]. È chiaro che il cambio di prospettiva non possa essere soggettivo, né interpretativo ma deve cogliere la realtà di questa qualità occultata. Evidentemente questa scoperta non può essere frutto di una  “concezione personale” o di un “feticismo” di Rowe e Slutzky. Del resto sono citate, a testimonianza di questa intuizione, opere contemporanee studiate secondo le più moderne ‘scienze’ della percezione, Moholy-Nagi e Kepes. La trasparenza fenomenica è la qualifica di un fenomeno esemplificato da Kepes in un quadro. Mi sono domandata allora:

Si può, oggi, superare questa critica? In altre parole – consci dell’evidenza della trasparenza letterale – si può trovare una definizione della trasparenza fenomenica altrettanto inconfutabile?

 

Ernesto.

1. Che la modernità abbia visto nell’uso del vetro – simbolo della trasparenza letterale – l’espressione più autentica dell’architettura moderna è – fin da Scheerbart – un dato di fatto. Potremmo considerare Scheerbart (fig. 1) un sostenitore della ‘trasparenza letterale’ – nella sua coincidenza con la modernità – e Kepes (fig. 2) come il promulgatore della ‘trasparenza fenomenica’, riferimento per la seconda modernità.

La tesi di Rowe e Slutzky – che sostituisce alla ‘trasparenza letterale’ la ‘trasparenza fenomenica’ – deve, invece, essere dimostrata.
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fig. 1 – “Glass Architecture”, Paul Scheerbart, 1914


 

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fig. 2 – “Language of Vision”, Georgy Kepes, 1944

 

2. La seconda modernità [ndr successiva al 1945, non post-1960] non è scandita dalla caduta dei C.I.A.M, ma dagli studi sull’architettura di Rogers [ndr corso di ‘Caratteri stilistici e costruttivi dei monumenti’] e dall’autorevolezza che questi assume sia come progettista della Velasca sia come teorico divulgatore della modernità [ndr durante i C.I.A.M. degli ultimi anni]

 

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fig. 3 – “The Mathematics of the Ideal Villa and Other Essays”, Colin Rowe, 1947


Questo avviene in concomitanza con l’avvio degli studi di Rowe sulla trasparenza – successivi a “La Matematica della Villa Ideale(fig. 3) – che annunciano la svolta dell’Architettura Moderna che si orienta verso una teoria dell’insegnamento architettonico non più esclusivamente Beaux Arts, ma altresì fondata sui paradigmi meta_storici della composizione [ndr grammatica e sintassi della composizione architettonica nel disegno].

Torna al centro la ricerca sullo spazio del ‘quadro’. Con esso diviene fondamentale  il diverbio tra spazio della finestra aperta, del vetro del velo, della tela; quindi il problema delle similitudini, delle differenze, delle analogie. Si riflette sull’esperienza di Austin – citata da Caragonne come ‘impresa dei Texas Rangers’ – di cui Colin Rowe è il più dotato teorico. In questo contesto, si concepisce come – andando ‘oltre’ la “Matematica della Villa Ideale” –  i temi di “Trasparenza” sostengano una tesi per cui, all’interno della ricerca architettonica, la trasparenza fenomenica è più importante di quella letterale.

3. Il termine ‘trasparenza’ espone la qualità peculiare dello spazio visivo come invisibile. Per effetto della trasparenza naturale, per cui lo spazio in mezzo non si vede, si vede il paesaggio come skyline – orlo della terra – aldilà del quale c’è un ‘invisibile’ che si mostra come colore nel quale ad occhio nudo, di giorno  compare soprattutto la luna. E di notte astri, stelle e pianeti.

Quando l’attenzione si sposta sull’invisibilità di ciò che contiene gli astri – cioè sull’invisibilità dello spazio privo della strutturazione delle cose, il suolo e le cose che si erigono su di esso con il suo orlo_skyline – il fenomeno naturale “spazio” [ndr l’invisibilità della sua trasparenza] diventa analisi logico_fattuale del fenomeno che reclama un’invenzione – la prospettiva – per dimostrare che si detiene il controllo della misura nella deformazione incessante delle figure. È l’invenzione di Brunelleschi – le tavolette di cui parla Manetti – che Piero della Francesca, o chi per lui, imita traducendola nella sua  figura ideale di piazza – duplicato delle prime a verifica del valore dello spazio ideale ‘prospettico’.

Sono tornato a Brunelleschi – ed al seguito di studiosi della prima età artistica, in cui operano intellettuali esperti del disegno prospettico – perché con loro si deve misurare l’architettura moderna nell’andare oltre la loro concezione dello spazio. Oggi lo spazio non può, albertianamente, essere mentale_ideale, perché le apparecchiature della fotografia hanno mostrato una efficienza della loro ‘realtà virtuale’, nell’operare sulla realtà, incomparabilmente superiore rispetto alle concettualizzazione delle tecniche di rappresentazione antica. Inoltre, vetro e ferro – poi calcestruzzo armato – sono divenuti concretizzazioni di  ‘figure’ astratte, esposte tridimensionalmente sullo schermo dei computer conferendo alle stampanti digitali la capacità di produrre ‘cardboard architecture‘ in plastica. Facendo di fatto dell’architettura costruita un ‘plastico in scala al vero’.

4. Benché la trasparenza fenomenica parta dalle esperienze artistiche sullo spazio formulate dal cubismo neoplastico, essa pone il problema della trasparenza a partire dalle figure su una tela, al di là della quale non vi è alcuno spazio se non il muro. Ciò che vale allora, per tali figure sulla tela, non è più una matematica cui occorrono le coordinate originate in un punto zero effettivamente posizionato in un irripetibile sito del mondo. Bensì è necessaria un’operazione a posteriori di scostamento ipotetico e possibile – virtuale – derivante dal fatto che ogni elemento della figura può essere pensata su di un layer trasparente sottile di plastica, virtualmente scostato di una quantità. Allora – stante la coesistenza dei tratti sulla superficie – l’integrale è un’interazione degli elementi e delle configurazioni che la virtualità [ndr ipoteticità, possibilità] rende infinite. Tale è l’accezione che penso conferisca alla trasparenza fenomenica la sua veridicità ipotetica, possibile.

 


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