“La condizione della coerenza, la quale richiede che le nuove ipotesi siano in accordo con teorie accettate, è irragionevole, in quanto preserva la teoria anteriore, non la teoria migliore. Le ipotesi in contraddizione con teorie ben affermate ci forniscono materiale di prova che non possono essere ottenuti in alcuna altro modo. La proliferazione delle teorie è benefica per la scienza, mentre l’uniformità ne menoma il potere critico. L’uniformità danneggia anche il libero sviluppo dell’individuo”. (Feyerabend)

Nel solco di questo ragionamento, le ipotesi qui avanzate, si articoleranno a partire dall’analisi critica delle fasi procedurali caratteristiche dei processi creativi di generazione della forma; consapevoli che lo sforzo diretto alla comprensione dei fenomeni, è per sua natura sempre teso alla scoperta, e di conseguenza alla invenzione creativa.
Fatta questa premessa, la sezione Virtual Design di Arc2Città, prova a prende una posizione netta nel dibattito disciplinare, assegnando alla Virtualità un valore di Necessità per la comprensione, e conseguentemente per il Progetto del Reale. Introdurremo il tema ricorrendo al più potente mezzo di osservazione, comprensione e scoperta di cui è a disposizione la disciplina architettonica: il disegno.“Il disegno è un mezzo per osservare nonché per scoprire”così scriveva Le Corbusier nel breve testo autobiografico “New World of space” del 1948, dunque l’atto del rappresentare assume in se un valore selettivo, sintetico, si fa ipotesi di sguardo trasmissibile, aperta a riformulazioni inedite.
Un breve passo tratto dal carteggio Goethe- Schiller ci aiuterà forse a chiarire il concetto, scrive Goethe: “…Con la mia facilità di assimilare gli oggetti, sono diventato più ricco, senza essere saturo; la materia non mi imbarazza, perché so ordinarla e rielaborarla nello stesso tempo e mi sento più che mai libero di scegliere tra le forme più diverse e di rappresentare per me e per gli altri il materiale rielaborato”. Anche Aldo Rossi nella sua Biografia Scientifica nel raccontarci la sua esperienza scriveva: “l’osservazione delle cose è stata la mia più importante educazione formale; poi l’osservazione si è tramutata in una memoria di queste cose. Ora mi sembra di vederle tutte disposte come utensili in bella fila(…). Ma questo elenco tra immaginazione e memoria non è neutrale; esso ritorna sempre su alcuni oggetti e ne costituisce anche la deformazione o in qualche modo l’evoluzione.” In quest’ottica, la forma diventa patrimonio disponibile, materia prima plasmabile secondo la volontà e l’interpretazione di cui siamo capaci. In questo processo, è essenziale sottolineare la non neutralità dell’architetto nello svolgersi del fenomeno architettonico, egli si pone Tra e Per, cogliendo attraverso il Sé. In questa partecipazione vitale tra invenzione e rilievo, ogni tecnica è possibile, purché acquisti un significato e collabori a significare. Il disegno, allora, assume il compito di simbolo dell’idea, la traduce in immagini che si evolvono, elaborando nuovi e più
precisi contenuti. Il processo di rappresentazione non è dunque lineare, ma discontinuo, instabile, in esso possiamo ritrovare il luogo di coincidenza tra spazio fisico e razionale, contemporaneamente cognitivo e oggetto di cognizione.
In quei momenti, le rappresentazioni, da semplici supporti, si trasformano in estensioni della mente, spazi sintetizzabili attraverso il mito della caverna platonica, posti tra conoscenza del sensibile e sintesi intellettiva, sospesi proprio nel momento in cui è necessario passare dalle ombre alla materia per ampliare l’universo della conoscenza. In questa prospettiva, la rappresentazione dell’architettura si impone come possibilità di pensiero, non più riducibile allo status di una rappresentazione del pensiero. Allora, l’atto di vedere (inteso come discernimento), risulta essere intimamente legato al modo di pensare, agisce sulla realtà come un filtro, che lascia passare alcuni elementi, bloccandone contestualmente altri. In sintesi, potremmo sostenere che il modo di vedere, orienterà il modo di rappresentare,
allo stesso maniera in cui il modo di rappresentare orienterà il quello del dar forma. Secondo questo principio, a partire dall’analisi critica delle fasi procedurali caratteristiche dei processi creativi e generativi, enunceremo 4 operatori paradigmatici definendo l’atto creativo secondo la relazione: Pensare : Vedere = Rappresentare : dar Forma tale per cui al variare di un termine varia l’intera quaterna proporzionale. L’obiettivo di questa sezione tematica, sarà
allora quello di approfondire criticamente le metodologie e le strumentazioni di rappresentazione
disciplinari, mettendole in stretta relazione con l’agire progettuale, in modo tale da verificare di volta in volta, quanto e come la variabile Rappresentativa riesca a orientare, consciamente o inconsciamente, la variabile Conformativa.


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