Brooklyn Navy Yrad è un’area portuale, cantiere navale, ex militare, situata a Brooklyn, New York, lungo il corso del fiume East River e precisamente corrisponde al bacino Wallabout, area concava semicircolare di composizione paludosa compresa tra il ponte Williamsburg e il ponte Manhattan. E’ elemento sistematico della storia della nazione americana, in quanto fu sede del più importante cantiere della marina militare statunitense. E’ ora in stato di abbandono ma soggetta ad interessi economici rilevanti data la sua posizione strategica all’interno della metropoli.

La genesi di questo progetto nasce dalla critica al concorso One Prize bandito dall’ente Terreform ONE , un organizzazione no profit per la promozione della sostenibilità ambientale all’interno dell’urbano, per la trasformazione parziale di un edificio, il 128, all’interno dell’area. La proposta verte quindi nella trasformazione di uno spazio industriale enorme con infrastrutture per l’industria pesante, in un centro per l’innovazione con spazi per il lavoro condiviso, al fine di creare un luogo sinergico per lo sviluppo economico e sociale.

Dopo aver studiato le richieste dell’ente banditore si è deciso di porsi criticamente circa gli obiettivi proposti. Infatti la trasformazione di un unico corpo di fabbrica come incipit per tutta l’area, senza una pianificazione complessiva ci sembrava lacunoso. Ci si è quindi posto come obiettivo una strategia inclusiva in cui il progetto potesse legare tutti gli elementi in un unico discorso formale.

 

1. Fotoinserimento e stratigrafia

 

La prima fase è stata finalizzata nell’inquadramento storico-geografico del sito con una particolare attenzione agli elementi infrastrutturali e morfologici giungendo alla formulazione di una nuova proposta. Infatti dopo aver compreso le dinamiche che condizionano e vincolano il sito si è deciso, come accennato precedentemente, di non limitarsi alla progettazione parziale dell’edificio 128 ma di porsi davvero l’obiettivo di riqualificazione e trasformazione dell’area attraverso un progetto complessivo che permetta di distruggere le barriere di isolamento dovute alla sua pregressa funzione militare, senza però perdere l’identità di laboratorio navale.

L’idea generatrice del progetto si basa sulla restituzione dell’identità pregressa del luogo, cioè riconferire a Brooklyn Navy Yard la sua centralità attraverso la riconversione degli spazi industriali dismessi o parzialmente in uso come parte di sistema che si collega, come in una rete, alle centralità limitrofe sia a scala urbana che territoriale. Perno del sistema è quindi la riattualizzazione dell’identità aereo-navale-militare del luogo e il suo rapporto con la città di New York.

Attraverso lo studio delle mappe storiche si è analizzato come l’area sia stata una parte fondamentale della storia americana e di come proprio l’uomo abbia con gli anni modificato la sua forma a causa dei mutamenti di funzione e delle necessità antropologiche che si sono susseguite. Infatti si può notare come l’area abbia avuto diverse stratificazioni nel tempo dovute alle diverse fasi storiche che si sono susseguite. Infatti è storicamente riconosciuta come porto sin dalla mappa della Compagnia delle Indie Olandesi risalente al 1639 che la scelsero come luogo dello sbarco per il primo insediamento su Long Island da parte degli Olandesi da cui infatti prende il nome: walloon, valloni, gli olandesi francofoni . Abbiamo riscontrato tre date principali come apici di queste mutazioni il 1855, il 1918 e 1945: le quali corrispondono alle principali guerre del primo novecento americano e sono state messe sistema con il primo piano regolatore di Brooklyn datato 1848.

Geograficamente l’area è limitata sulla terra ferma da due anelli stradali che la racchiudono come circonvallazioni: la prima composta dalle strade Navy Street, Flushing Avenue e Kent Avenue, la seconda a una quota di circa +5 metri rispetto la precedente la “Brooklyn Queens expressway” (BQE) segmento della “Interstate 278”, una delle principali tangenziali di New York; la quale partendo dal Bronx collega, passando per il Queens e Brooklyn, i borough di New York fino al limitrofo New Jersey.

Questa ha da sempre svolto la duplice funzione di collegamento veloce tra il cantiere navale e le merci e soprattutto di margine, recinto, tra l’area e la restante conformazione urbana: infatti l’area in quanto militare è sempre rimasta, anzi, voluta rimanere isolata e protetta e la strada ha giocato il ruolo strategico di separazione.

 

2. Masterplan e composizione formale

 

Dopo aver compreso le dinamiche che condizionano e vincolano il sito si è deciso, come accennato precedentemente, di non limitarsi alla progettazione parziale dell’edificio 128 ma di porsi davvero l’obiettivo di riqualificazione e trasformazione dell’area attraverso un progetto complessivo che permetta di distruggere quelle barriere di isolamento senza perdere l’identità di laboratorio navale militare.

Abbiamo identificato due elementi principali su cui intervenire per raggiungere questo scopo: l’infrastruttura e il parco tecnologico. Infatti attraverso questi due elementi si è legato l’intervento alla rete di New York intesa nel suo concetto metropolitano territoriale riuscendo a valorizzare la sua identità a scala locale urbana. E’ quindi questa identità di cantiere navale alla base della strategia progettuale e tema su cui il progetto si fonda attraverso la realizzazione di un progetto di masterplan culminante nella progettazione di un ibrido urbano. L’obiettivo è quindi di rendere Brooklyn Navy Yard il punto di partenza per la trasformazione di tutta l’area circostante: fulcro di una nuova visione di Brooklyn ma anche della resistenza nel Queens.

La strategia progettuale è stata considerata come un sistema di operazioni definibili come delle espressioni che messe a sistema permetteranno questa nuova concezione garantendo alla stessa di uscire dal suo isolamento e immobilismo che l’hanno caratterizzata negli ultimi 30 anni, e permettendo inoltre per la prima volta di essere parte dell’urbano e quindi uno dei centri nevralgici della metropoli newyorchese.

Esse sono: Waterfront, landmark, Museo tecnologico, Isole/Parco tecnologico, Muro/Metropolitana, Ponte/ Ferrovia, Galleria.

L’infrastruttura, come anticipato, ha un ruolo di fondamentale all’interno del progetto ed è elemento conduttore tra le varie operazione. Viene declinata alla scala metropolitana attraverso un elemento, un ponte, che permetta di mettere a sistema l’area con il sistema di trasporti esistente ponendosi come elemento di giunzione tra l’hub del World Trade Center e le stazioni di Atlantic Terminal e Long Island City. Inoltre possiamo vedere come l’intenzione di legare infrastrutturalmente l’area è perseguita mantenendo l’identità di cantiere navale attraverso la riqualifica dei pontili e l’instaurazione di un porto che si leghi al sistema di trasporto dei battelli esistente.

L’altro elemento cardine per la trasformazione è il parco tecnologico il quale, insieme all’infrastruttura, è legante tra tutte le identità dell’area diventando elemento espositivo in sè, rappresentando l’identità tecnologico/ industriale dell’area e permettendo al visitatore di immergersi in questa realtà. Infatti funge da collegamento con l’urbano consolidato attraverso il Waterfront, il quale permette l’unione con la Brooklyn Green Way, un parco che si articola lungo tutta la costa di Brooklyn ma che proprio in questo luogo, a causa dei suoi limiti fisici, è ad oggi interrotto e portato al di là della tangenziale con una piccola pista ciclabile che costeggia il muro di cinta militare.

L’ edificio oggetto del concorso il 128, da cui prende il nome la tesi, viene definito come il nuovo polo direzionale di tutto l’intervento, perno per la trasformazione di tutta l’area. Questo si lega all’infrastruttura attraverso la giunzione con la linea metropolitana esistente aggiungendo una fermata intermedia tra le stazione di York St. e Jay St. sulla F line o costruendo una collegamento tra York st. e High St cioè tra la A line e la F line. L’elemento che genera questa connessione è un muro, che funge da spina dorsale dell’intervento e su cui si staglia- no diversi padiglioni come elementi stereometrici che scandiscono lo spazio. Questo nuovo polo direzionale è concepito come il Landmark dell’intera operazione e si è quindi scelto di utilizzare l’elemento morfologico principe del panorama newyorchese ed espressione del manhattanismo koolhaassiano per eccellenza, la torre. Si è però scelto come modello il grattacielo americano per antonomasia degli anni 60’ del quale il Seagram Building di Mies Van Der Rohe è l’esemplare più rappresentativo. Questo però è tradotto in base alle esigenze del contemporaneo e si è quindi interpretato il modello come un ibrido urbano, cioè la rappresentazione in un unico contenitore della complessità funzionale dell’urbano.

“Negli Stati Uniti siamo liberi dalla tradizione artistica. La nostra libertà è fondata sul ‘permesso’ (license: libertà di fare ciò che si vuole), è vero. Facciamo cose scioccanti, produciamo opere di Architettura incorreggibilmente brutte; mettiamo in atto esperimenti crudi con risultati disastrosi. Ciononostante, in questa massa di energie ingovernabili sta il principio della vita.”

John Wellborn Root

Il tipo ibrido è stata: “la risposta sulla pressione imposta dalla metropoli coll’aumento del valore della terra e la costrizione della maglia urbana” , la cui conseguenza è stata la ricerca di verticalità: infatti con un ampliamento orizzontale limitato, si è cercato una risposta formale verso un’altezza e una grandezza del tutto nuove in cui data l’impossibilità di un unica funzione a riempire l’interezza di questi nuovi volumi, si è giunti a una associazione tra diverse identità funzionali.

3. Fotoinserimento e schemi assonometrici

 

Dati questi presupposti si è quindi deciso di disporre verticalmente all’interno di un unico edificio contenitore le diverse funzioni che lo compongono perchè l’ibrido come elemento genetico si basa sull’interdipendenza funzionale come elemento capace di creare flusso di persone. Ma non è solo la vicinanza a creare flusso ma è lo spazio pubblico. Si è deciso quindi di realizzare delle vere e proprie piazze urbane all’interno dell’edifico a diverse quote e di collegarle tra loro.

E’ la mobilità interna che crea paesaggio e quindi complessità urbana. Il layout non è solo mera sovrapposizione funzionale ma è dato dal paesaggio interno, che attraverso l’elemento temporale della mobilità cambia plasticamente l’involucro. Si è ricorsi a una gerarchia di elementi di mobilità ognuno in base alla sua specificità e velocità di percorrenza: ascensori, scale (di rappresentanza, tecniche e di fuga) ma soprattutto scale mobili. Questo sistema gerarchico che permette la distribuzione con diverse priorità culmina in un collega- mento come una vera e propria promenade architectural, le scale mobili. Questi percorsi genera all’interno del contenitore un paesaggio interno collegando tutti gli atri delle funzioni; le quali sono concepite, come anticipato, come delle vere e proprie piazze urbane.

Il tema della mobilità è trasversale in tutto il progetto: infatti si è ideato un sistema di 3 gallerie, due longitudinali, uno trasversale, che a diverse altezze, come dei passage ottocenteschi, collegano tutti i vari edifici del polo direzionale, inoltre fungendo da misura per l’intero intervento.

 

4. Vista assonometrica, sezione e attacco a terra

 

Dal punto di vista formale l’edificio è costituito da degli elementi proporzionati volumetricamente su 3 misure, 21 m, 42m, 63m, in quanto si è voluto mantenere le proporzioni del modello di Mies Van der Rohe: man- tenendo infatti le dimensioni di ogni finestratura del curtain wall. Tuttavia il movimento plastico differenzia il progetto dal modello, in quanto ogni differenziazione formale dell’involucro corrisponde a un cambiamento di paesaggio interno e quindi del rapporto tra la temporalità della mobilità e l’uso.

La sezione è stata fondamentale per la composizione dell’edificio: infatti Il progetto è stato soprattutto concepito in sezione in quanto la pianta non è stata sufficiente per comprendere la complessità spaziale e volumetrica. In Sezione si può quindi notare più evidentemente come l’involucro dell’edificio subisca dei cambia- menti estetico formali dovuti all’accesso alle funzioni.

L’edificio è classificabile in quanto ibrido come grafth ma si contraddistingue in quanto unitario, infatti la volontà progettuale è stata quella di evidenziare i tagli tra gli elementi come frutto del cambiamento del paesaggio interno dovuta al percorso, non come espressione della funzione. Infatti è il percorso che dà quella varietà e complessità tipica dell’urbano.

Il leitmotiv dell’intervento è quindi la riproposizione dell’urbano all’interno di un unico contenitore, in cui le funzioni sono interdipendenti; le quali generano, data la vicinanza, un flusso di individui che ha ragione di esistere solo attraverso la presenza del pubblico. Infatti è opportuno inquadrare l’ibrido non solo dal punto di vista puramente genetico ma in quanto architettura cioè manufatto.

La sovrapposizione o giustapposizione funzionale di per sè non garantisce il rafforzamento tra le funzioni è quindi su questo principio che ci si deve interrogare aprendo una parentesi sullo spazio pubblico come luogo relazionale accentratore del sociale.

Lo spazio pubblico viene quindi estratto dalla città come elemento di aggregazione sociale e posto all’interno dell’edificio come giunzione tra le parti interdipendenti.

 

5. Fotomontaggio e Linked Hybrid

 

 

Note:

1. www.oneprize.org

2.  brooklynnavyyard.org

3. Joseph Fenton , “Pamphlet Architecture 11: Hybrid Buildings”, pag 6, Princeton Architectural Books, 1985, Princeton, N.J.


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