Se analizzato in chiave etimologica, Il termine ‘crisi’ rivela una sfumatura lontana dall’idea di ineluttabilità che ne connota l’accezione odierna, ma che rimanda bensì al concetto di ‘scelta’. In quest’ottica la città di Malmö vive una metamorfosi due volte figlia di una crisi, identificabile da un lato nel generale declino dei sistemi produttivi occidentali, dall’altro nella decisione di aprirsi a un futuro di terziario avanzato e sostenibilità. La storica vocazione produttiva di Malmö era specificamente connessa all’industria navale, ma i cantieri Kockums, una delle principali fonti di impiego della città, iniziarono ad accusare un forte decremento del volume d’affari a partire da metà degli anni settanta. La stagnazione, aggravata dalla crisi petrolifera, si abbatté su un’impresa che aveva appena effettuato un importante investimento, dotandosi per le operazioni di cantiere di una colossale gru a cavalletto, visibile da chilometri di distanza. La Kockumskranen divenne da subito un landmark carico di un forte valore identitario, ma non venne mai utilizzata a regime, diventando anche il simbolo malinconico di un lento declino. Essa riuscì tuttavia ad avere un ruolo metaforicamente significativo nel processo di rigenerazione della città: poco prima di essere smantellata, le fu affidato il compito di sollevare la fondazioni delle pile centrali del ponte sull’Øresund. La costruzione del ponte accorciò enormemente le distanze fra Malmö e l’Europa, favorendo l’apertura ad un mercato nuovo, attraverso il pendolarismo per e da Copenaghen. Altro fattore del rilancio di Malmö fu la fondazione dell’Università che emancipò la città dalla secolare subordinazione culturale alla vicina Lund, storica sede arcivescovile e universitaria. Il primo nucleo della nuova istituzione fu stabilito proprio nell’ex area Kockums, in un edificio simbolo a firma degli studi Diener & Diener e Fojab: un grande contenitore che reinterpreta la scala e il tipo delle grandi navate industriali, declinandoli secondo criteri di permeabilità e apertura, adeguati ad una grande istituzione culturale pubblica.

L’Università fu il primo passo della riconversione di Västra Hamnen, il porto ovest della città che pochi anni dopo avrebbe ospitato Bo01, una pionieristica, in termini di sostenibilità ambientale, esposizione di architettura residenziale. Un piano semplice, ma articolato, ne definiva i rapporti misurati fra edifici, spazi interni semi-privati e il vasto lungomare pubblico. Le residenze modello sono oggi parte integrante di un più ampio progetto urbano, ancora in corso di realizzazione, che assegna alla torre disegnata da Santiago Calatrava il ruolo di landmark, affidandole il carico di volontà espressiva dell’intero insediamento. Seppure la convenzionale soluzione tipologica spettacolarizzata in una torsione autoreferenziale la esponga a comprensibili critiche, la Turning Torso è dotata di una straordinaria forza designativa dello spazio: determina il fulcro di tensioni spaziali multiscalari e rimanda chiaramente, nell’immaginario collettivo, alla memoria della Kockumskranen.

La riconversione di Västra Hamnen rappresenta la volontà di affermazione di un’identità culturale nuova, a cui aspirano sia gl abitanti storici, sia i numerosi immigrati di prima e seconda generazione. Del resto il carattere multietnico di Malmö ha generato negli anni forti tensioni sociali, in particolare nei quartieri periferici edificati sulla base del Miljonprogrammet, l’imponente piano residenziale attuato a partire dal 1965 dai governi socialdemocratici. Tale piano, se da un lato dotò il paese di un milione di nuovi alloggi, dall’altro ebbe il limite di affrontare la questione della necessità abitativa in termini meramente quantitativi, generando insediamenti monofunzionali, che oggi presentano notevoli problemi di integrazione. In questo processo, l’uso massivo di tipologie a stecca ha conformato periferie dal fascino sinistro vicino a quello di alcune città dell’ex blocco socialista, in cui sequenze di oggetti architettonici autonomi si stagliano entro uno spazio indefinito e privo di specifiche qualità.

Questi abitati reclamano oggi un riscatto che si potrà ottenere solo se si riusciranno a coniugare integrazione sociale e valorizzazione delle loro intrinseche qualità estetiche, attraverso puntuali interventi di disegno dello spazio pubblico e di restauro urbano. L’estetizzazione di questa singolare forma di ‘archeologia della residenza’ è un passo fondamentale nella generazione di un’identità nuova, compresa e condivisa dalla popolazione residente, in comunione e non più in opposizione al resto della città.


Save pagePDF pageEmail pagePrint page
SE HAI APPREZZATO QUESTO ARTICOLO CONDIVIDILO CON LA TUA RETE DI CONTATTI