Introduzione

 

Frances A. Yates (1) ci ricorda come i retori classici – per memorizzare le diverse parti del discorso e i collegamenti tra esse – costruissero nella loro mente immensi castelli formati da più stanze. In ogni stanza convivevano un concetto (cioè una parte del discorso) e un oggetto notevole, ad esempio la Nike di Samotracia. In questo modo era possibile per gli antichi retori, in mancanza di testi scritti, ripercorrere più e più volte il discorso, riportando alla mente la stanza – caratterizzata dall’oggetto – e con essa la parte di discorso associata, quindi spostarsi da quella stanza ad una stanza vicina, incontrare un secondo oggetto e quindi un ulteriore parte del discorso e così via. Era così possibile anche creare ogni volta associazioni nuove o inserire nuovi concetti/stanze all’interno di discorsi più lunghi e già consolidati.

Inoltre ovviamente ogni castello immaginario narra della biografia e delle passioni di chi lo costruisce, grazie alle opere che vengono selezionate e alla disposizione che viene data all’insieme. Un esempio recente è l’opera di Philippe Daverio (2) che con lo spirito di un Adriano contemporaneo raccoglie una serie di capolavori della pittura sognando appunto di poter costruire un suo museo immaginario, capace di raccogliere opere lontane nel tempo e nello spazio.

Forti di questa duplice premessa oggi iniziamo a proporre una carrellata di architetture contemporanee significative rispetto al tema eterotopie e regioni urbane, raccontate come all’interno di un museo che ci permetterà di affrontare alcuni concetti chiave della composizione contemporanea.

Descriveremo qui quindi delle eterotopie, cioè delle “enclaves specializzate” secondo la definizione di David Grahame Shane (3). Ricordandoci che il tema “eterotopia” nasce da un articolo pionieristico, ma poco sistematico, di Michel Foucault (4) del 1967 e viene applicato in modo più sistematico all’architettura da Kevin Heterington nel 1997 (5). In questo testo viene analizzato il Palais Royal a Parigi e questa analisi è per noi punto di partenza per la nostra serie di articoli. Il Palais Royal, infatti, con le sue coffe-house, i giardini, le gallerie e I teatri, è l’epitome del tema eterotopia. Esso non fu nè uno spazio panoptico di controllo totale nè uno spazio marginale di totale libertà, come sono invece tutte le eterotopie descritte da Foucault nel suo testo. E’ uno spazio centrale nella metropoli parigina ai tempi della Rivoluzione Francese, dove il ceto emergente – la borghesia – trova lo spazio necessario a chiarire la sua identità.

Nella città contemporanea ci sono numerose enclaves, anche complesse. E’ possibile distinguere le enclaves non eterotopiche perchè esse tendono a ospitare un unica funzione predominante (per esempio residenza o uffici). Le eterotopie assomigliano alle enclave perchè hanno un confine ben definito con degli accessi, delle regole interne e dei guardiani che vigilano affinchè tali regole vengano rispettate. Le eterotopie si distinguono dalle enclaves perchè al loro interno si trovano sia delle enclaves che delle armature.

Inoltre le tre caratterisitche cruciali dell’eterotopia sono:
• Mirror function_specchiare cioè invertire i codici del modello urbano dominante all’esterno
• Multiple pockets_cioè essere in grado di ospitare contemporaneamente diverse norme in contraddizione tra loro così da creare la situazione adatta alla mixture e ai cambiamenti (DNA)
• Miniaturization_miniaturizzazione: riflette in piccolo il codice dominante della città esterna, invertendone i codici.

Utilizzeremo parallelamente al concetto di eterotopia, anche quello di morfotipo. Un morfotipoo è un nuovo oggetto urbano – nato nel XX secolo – che modifica, simultaneamente, sia la TIPOlogia architettonica che la MORFOlogia urbana.

Caratteri del morfotipo:

• essere un landmark;
• contenere molteplici funzioni urbane;
• machina a layer;
• paesaggi interni.

L’eterotopia dunque necessita al suo esterno di un tessuto urbano e sociale col quale confrontarsi. E’ la regione urbana nella quale siamo immersi e che descriviamo – grazie a Peter Bosselman (6) – non tanto rispetto a limiti amministrativi o a quantità di popolazione residente, quanto analizzandone la dimensione rispetto alla rete di città del mondo di cui fa parte. Regione urbana nella quale – come nella rete di città del mondo – il singolo si sposta rapidamente guidato da una complessa rete di interconnessioni tra “isole”.

Ci proponiamo quindi di analizzare i poli emergenti delle diverse regioni urbane come eterotopie: per comprenderne lo specifico architettonico e l’interconnessione con la grande scala.
Figura 1 – Proliferazione di eterotopie nella regione urbana: dentro e fuori dai tessuti consolidati, ancorate o meno ad armature di trasporto lineari, sempre connesse ad una rete informativa globale.

Nel 1780 Luigi Filippo II di Borbone-Orléans (detto anche Philippe Égalité) compie una operazione immobiliare e fa realizzare attorno ai giardini delle gallerie: al piano terra caffè, ristoranti, sale da gioco che diventano punto di riferimento di una società parigina elegante e libertina fino al 1836, al piano superiore degli appartamenti da affittare. Il Palais Royal diviene così una eterotopia ante litteram, nella quale è possibile ravisare tutti i caratteri architettonici e urbani dell’eterotopia.

Eterotopia_ Ambasciata olandese di rem Koolhaas. Regione Urbana_Berlino.

 

Museo immaginario

Al centro della prima stanza, epitome del tema in chiave contemporanea, si trova il modellino dell’ambasciata olandese di Rem Koolhaas a Berlino (2003). Questo edificio infatti è capace di affrontare simultaneamente molti dei temi che ci proproniamo di affrontare in questi articoli.

 

Eterotopia

L’ambasciata si configura come un’eterotopia in quanto è capace di:

Avere un confine ben definito con degli accessi, delle regole interne e dei guardiani: l’edificio dell’ambasciata si configura come un solido primario – cubo – che si isola rispetto agli altri edifici del lotto (edifici a corte) grazie ad una cortina a forma di “L” che opera da sfondo ed elemento divisorio. Rispetto a questo sfondo l’edificio vero e proprio si staglia nitidamente, mostrandosi in prima battuta inaccessibile, anche per la presenza, sulla facciata verso la Sprea, di un basamento. L’ingresso avviene attraverso una fenditura tra il cubo e la cortina che si configura come una vera e propria “porta”. Questo vuoto è un vuoto “dinamico”, che inizia il tema spiraliforme della traiettoria interna, regola primaria di composizione dell’edificio stesso;

Avere all’interno sia enclaves che armature: l’ambasciata ha un’armatura principale che è la traiettoria e diverse enclaves che sono il consolato, gli appartamenti, la palestra, la mensa, la sala multifunzionale, gli archivi, gli uffici, le diverse sale riunioni – tra le quali la skybox.

Miniature_Miniaturizzare la città esterna: il percorso o “traiettoria” si configura a tutti gli effetti come una strada urbana che dapprima entra nel lotto e quindi si avviluppa nel cuore dell’edificio. E’ un armatura orizzontale che si avviluppa tridimensionalmente all’interno del solido, lunga quasi 200 metri, dalla reception fino al tetto. Anche la relazione che si instaura tra la traiettoria e i landmark urbani – prima tra tutti la torre della televisione in Alexanderplatz – simula la relazione tra un percorso urbano e i suoi landmark.

Mirror function_Specchiare: la relazione pubblico-privato si specchia all’interno dell’edificio creando un nuovo codice nel quale ciò che è pubblico – e normalmente nella città si trova al piano terreno e sul perimetro dell’edificio – si trova nel cuore dell’edificio. Ciò che è più privato – e normalmente nella città si trova all’interno – è ciò che nell’ambasciata è più vicino alla pelle esterna dell’edificio.

Multiple pockets_la compresenza di diverse regole contemporaneamente: nell’edificio dell’ambasciata convivono diverse regole compositive. Tanto che lo stesso Koolhaas lo chiama un edificio simultaneamente obbediente e disobbediente. In primo luogo c’è la convivenza tra la regola del lotto e la disobbedienza alla regola stessa. Inoltre c’è la duplicità tra la vivacità interna della traiettoria e la rigidità del cubo.

 

Morfotipo

L’ambasciata si configura come un morfotipo in quanto si propone di modificare profondamente l’approccio alla scala urbana richiesto dagli strumenti della pianificazione berlinese per quest’area (7). Infatti l’approccio della ricostruzione critica di Berlino capitale (Kritische Rekonstruktion) prevedeva per quest’area un’edificazione per piccole corti quadrate, di poco meno di venti metri di lato, con la facciata alta 22 metri in gronda e non superiore a 27 metri al colmo. L’edificio di Koolhaas invece inverte il codice rendendo “pieno” lo spazio tradizionalmente libero della corte e tenendo vuoto l’intorno.

Anche dal punto di vista della morfologia edilizia l’edificio ha alcune peculiarità, che è possibile evidenziare grazie ai termini:

Megaform/ urban-scaled landmark: l’edificio di Koolhaas si inserisce all’interno della skyline berlinese mettendosi in relazione con l’Altes Stadthaus e con la torre della televisione (1966) in Alexanderplatz. Anche dall’interno dell’edificio alcuni elementi urbani chiaramente riconoscibili sono visibili e permettono di collocarsi rispetto alla mappa urbana.

Macchina a layer: l’ambasciata ha una struttura interna complessa dovuta al fatto che nell’avvilupparsi all’interno del cubo la traiettoria porta con sè i diversi uffici. Questi si collocano quindi non su piani occupanti tutta la superficie interna dell’edificio ma su porzioni di essi, affacciandosi così gli uni sugli altri e ovviamente sulla traiettoria centrale.

Paesaggio interno: la percezione attraversando l’edificio è da un lato portata a seguire lo snodarsi della traiettoria all’interno del cubo, dall’altro ha dei momenti di grande respiro.

Urban capacitor: al piano terreno la parte più pubblica – il consolato, gli appartamenti, la palestra, la mensa, la sala multifunzionale, gli archivi, gli uffici, le diverse sale riunioni – tra le quali la skybox.

 

Regione urbana

La regione urbana berlinese è ralativamente poco densa e molto rarefatta sia per la sua peculiare storia sia per la presenza di grandi spazi verdi e spazi di parata di impronta sovietica. E’ una regione urbana di 4.100.000 di abitanti.

 

Biografia urbana. Punti di appoggio geografico

L’edificio si colloca nell’ambito storico di Mitte, vicino all Fischerinsel che fu il cuore dell’agglomerato del 1600. un ambito urbano caratterizzato da ampi spazi aperti pubblici con edifici di carattere storico e di rappresentanza. E’ possibile riconoscere sia elementi della città antica – per quanto recentemente ricostruiti o pesantemente restaurati – come ad esempio Nikolaikirche (1230-) e il circostante Nikolaiviertel, sia luoghi del potere istituzionale come il Palast der Republik (1976-ora demolito) e il Rotes Rathaus (sede del municipio di Berlino – 1861). L’edificio che riveste principale ruolo di landmark nell’immediato intorno è sicuramente la torre della televisione (1966) in Alexanderplatz. L’area è fortemente caratterizzata anche dalla presenza geografica della Sprea che attraversando la città di Berlino passa proprio di fronte all’edificio di Koolhaas.

 

Connessione infrastrutture

L’ambasciata si offre come approdo sia per chi vi giunge con S-bahn e U-bahn (Jannowitzbrucke/Klosterstrasse), sia per chi percorre l’asse principale Hauptstrasse-Leipzigerstrasse- Berliner Allee o la via lungo la Spree Spandauer strasse – Holtzmarktstrasse. Un approdo quindi per coloro che vi si avvicinano in auto o a piedi. E per questi due avvicinamenti è stato progettato l’edificio, che comprende infatti due piazze sovrastanti, una per accogliere il traffico automobilistico, l’altra esclusivamente per i pedoni.

 

 

Bibliografia:

Hans Stimmann Berlino : 1940-1953-1989-2000-2010 : fisionomia di una grande citta Milano : Skira, 2000
The dutch embassy in Berlin by OMA/Rem Koolhaas with a text by François Chaslin

 

 

Note:

(1) Frances Amelia Yates The Art of Memory (1966), trad. di Albano Biondi, L’arte della memoria, con uno scritto di Ernst H. Gombrich, Einaudi, Torino 1972.
(2) Philippe Daverio Il Museo immaginato (2011) Edizioni Rizzoli, Milano.
(3) David Grahame Shane Urban Design Since 1945: A Global Perspective (2011) Wiley, London.
(4) Des espaces autres del marzo (1967), trad. in Archivio Foucault, Feltrinelli Milano 1998.
(5) In The badlands of modernity. Heterotopia and social ordering.
(6) Peter C. Bosselmann Urban Transformation: Understanding City Form and Design
(7) The Gesamtberliner Flächennutzungplan vigente sino al 1994 e il Planwerk Innenstadt adottato per la pianificazione del centro dal 1996.



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