Il tempo, questo pare essere il problema esclusivo dell’architettura oggi. Il suo unico metro. Zeitgeist, il presente. Come se lo spazio non contasse più.
E come se la sua stessa resistenza nel durare in esso divenisse ostacolo alla “vita” delle società. O come se di essa il valore esclusivo, bisogno e consumo, non potesse lasciare che rifiuti.
Consumato il divorzio tra attualità e passato, e l’ora stessa denaturata di qualunque “spirito”, è come se l’architettura noiosa, annichilita, implodesse  e non potesse partecipare all’evento inauguratore di ciò che Focillon chiamava presente esteso.

E’ davvero questo che l’era globale reclama?
Non penso.
Piuttosto, credo che il problema del tempo, Zeitgeist, sia quello dello stile, che non si accontenta della moda, ma non dimentica il gusto. E, proprio per questo, l’utile con modo nel piacere che si condivide con gli altri e che riscatta ciò di cui abbiamo bisogno – il puro consumo che lascia solo “rifiuti” – esige che qualcosa si mantenga come essere che nel divenire del tempo lo accoglie e ne ha co-scienza; non come l’ora che divora le ore, né come Crono che divora i suoi figli; ma, oltre il divenire del presente, come nell’assenza di ciò che è stato, se ne replica in mente per segni di “presenza simbolica” l’essere stato come monumento di ore non ora. L’invarianza del tempo nel tempo. Lo spazio interiore del tempo.
Persino la filosofia ha scoperto l’irrinunciabilità di questa determinazione che chiama spaziatura in cui si stratificano i segni del senso e del significato scoperti in quel logos immanente e signitivo che è la manifestazione di ciò che chiamiamo con gli antichi vero del mondo. Quello che coabitiamo con altri nella nostra esistenza somatica prima che intersoggettiva. Non nasciamo, infatti, nel nowhere, né da noi stessi, ma in “case”, tra altri che ci introducono in tale logos somatico nel modo pre-fatico e a-fasico del co-abitare.

Riprendo dunque, altrimenti, la domanda iniziale: poteva davvero la modernità fare tabula rasa?

Non voglio rispondere in modo semplificato e troppo povero. Se si consuma, e non poteva essere diversamente, il divorzio tra valore di contemporaneità e valore di vecchiaia (nei termini di Riegl) ciò si rese necessario nel secolo cosmopolita per mettere tra parentesi gli abiti locali troppo legati ad abitudini ancestrali, soprattutto non “scambiabili”, anzi motivo di conflitto. Non per annichilire il rapporto tra le generazioni trapassate e le presenti.

La storia, una nuova nozione di storia che sorge a valle dei processi di annichilimento archeologico, è divenuta il luogo universale di questa relazione necessaria di presenza simbolica, ampliando esponenzialmente le sue funzioni di presentificazione e di simbolizzazione. Contemporaneamente creando altrettanto grandi problemi e conflitti.
Sorge una “storia” che ha nella cura dei segni architettonici, non solo monumentali, cura di ciò che conferisce senso al divenire del tempo i cui eventi “creativi”, originari, ivi trovano mezzi di divenire monumenti del logos immanente della spaziatura somatica, segni del loro culto e picchetti del tempo umano: storia del rapporto con l’archeologia. La quale non può essere sprovvista di una teleologia dell’intenzione forse non più direttamente nominabile come nel medioevo dantesco o nel rinascimento Schakespeariano e, tuttavia, immancabile ancorché in forme provvisorie, almeno oggi.
Si guardi alla diacronia del MM che si svolge in due momenti ed in due luoghi distinti, con il passaggio del testimone tra le civiltà dei continenti in base alla ricerca di una attualità (alterità dal passato) in un primo momento basato sulla tecnica e sulla produzione, in un secondo momento sulla società e sull’economia dentro un disegno politico apparentemente unitario che oggi è divenuto inattuale.
In questa crisi della politica o in questa condizione di riscatto della politica emerge di nuovo il tema radicale dell’ospitalità nel doppio senso dell’ospitare ed essere ospitati. Nell’editoriale della volta scorsa abbiamo posto l’attenzione su quattro parole chiave, che appunto ruotavano attorno al tema dell’ospite nel riguardare una città che cresce in base a due spinte conflittuali, di cui una è piuttosto ineliminabile che desiderata. È occultata o emarginata.

Riprendiamo oggi il tema con la domanda: per chi, cosa? Che mette in gioco l’oggi impegnato in un’importante sfida la cui posta in gioco è la democrazia. MORE


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