1. Non potrei parlare di semiologia architettonica se non fossi stato allievo e assistente di Dino Formaggio nel corso di Metodologia della visione, alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano. Né avrei potuto , se De Carli non avesse chiamato Dino in Facoltà. E propostomi di collaborare con lui.
Allora l’artista filosofo che era Dino, introdusse nella facoltà gli studi di linguistica a partire da De Saussurre che era più che linguista, studioso di semiologia generale. E sapeva la differenza tra parola e “fatto” d’arte. Occorreva imparare a pensare l’architettura in un modo nuovo. Come comunicazione. Non con gli altri uomini, ma con la realtà stessa. Con ciò che chiamiamo natura, ma è qualcosa d’ignoto. Attraverso la metodologia della visione (titolo del corso di allora), il filosofo ci iniziò allo studio dell’arte, del fare segni che illuminano la mente sull’essere della natura. Segni indicanti sé stessi, nella propria posizione tra cose sul suolo, la disposizione obbligatoria rispetto a ciascuna cosa e tutte. E soprattutto interattivi con il corpo circospezionante. Il quale nel prendere posizione , in un certo qual modo prende atto del modo in cui ritiene, la posizione/disposizione delle cose con le quali “interagisce” o risponde col corpo, somaticamente reagendo rispetto a lui. Ho parlato di qualcosa che si verifica indispensabile ogniqualvolta ci si trovi implicati nella caccia e nella raccolta.
Imparammo dal filosofo a portare la debita attenzione a tale comunicazione somatica facendone esempio di percezione nella circospezione.
2. D’altra parte il filosofo artista nell’introdurci a tale comunicazione somatica apriva alla Fenomenologia della percezione di Merlau – Ponty ed alla Filosofia delle forme simboliche di Cassirer. Che studiammo allora come “scienza della comunicazione somatica” e Della produzione di segni capaci di indicare il lavoro del pensiero su tale comunicazione primitiva.
Giacchè il primo era husserliano ed il secondo neokantiano, apprendemmo a portare avanti qualcosa di entrambi i filosofi . Del secondo in particolare apprendemmo ad interrogarci, da architetti sulla architettonica del pensiero. Lo vedremo in seguito.
In ogni caso,dal filosofo francese apprendemmo una sorta di scienza della percezione che perfezionammo attraverso un suo allievo che divenne, a sua volta, maestro di filosofia, Desanti.
E dal filosofo neokantiano apprendemmo la distinzione, non l’assimilazione, tra le diverse forme di esposizione del pensato. E l’irriducibilità dell’una all’altra. In particolare della parola al segno architettonico. Cosicché i significati delle parole che nominano aspetti propriamente architettonici, esige la rammemorazione nell’apprendistato dell’operare. Ed in esso, del “come si fa”, da cui l’intuizione del com’è. Com’è e come si fa sono indissolubilmente e reciprocamente implicati come intuizione o scoperta e invenzione di un procedimento tecnico fattuale. Il quale, come vedremo, è “illuminato” o meglio “regolato” da algoritmi geometrico matematici . Non da parole.
Dino insegnava, dunque, a mantenere l’originalità del sentire nelle diverse modalità dell’esercizio del fare. A mantenere l’esposizione artistica ben distinta da quella verbale. E già, qui, introduceva l’irriducibilità all’altra forma espositiva, dell’esporre il sentire nell’una forma simbolica. Quindi la differenza del sentito esposto.
Mi toccherà, allora, forzare la parole perchè richiamino l’intuizione di qualcosa che esse non possono “dire”.
3. Torno all’insegnamento del filosofo; ai concetti che mi ha consegnato nell’avviarmi alla ricerca semiologica dell’architettura:
Innanzitutto mise in evidenza l’originalità del corpo come “fonte” del sapere. Da cui la sensibilità come modo di “ottenere” il “dato” nella comunicazione originaria con il mondo e con sé stessi. Parlo piuttosto di ri_tenere il “dato” nella memoria immediata di cui dice Husserl, e della quale Desanti, come allievo di Merlau_Ponty , perfezionandone lo schema, ha mostrato la funzione insostituibile nel programmare il tempo proprio (programmazione d’agenda, oggi, o “pratica” di chiunque) progettazione della vita quotidiana o del tempo d’esistenza.
Noto, in proposito, che il “dato” ri_tenuto in memoria verifica lo stato esistenziale di un radicale mancare. Verifica la struttura di carenza. La quale, – come Dino sosteneva fin dalla prima lezione – è struttura specifica dell’ uomo. Doppia struttura di carenza, preciso. Nella memoria immediata si ri_tiene qualcosa di un duplice ignorare: il mondo e sé stessi, nel momento in cui si esercita un atto rivelatore (ermeneutico): saper d’essere presenti al mondo stesso.
Carenza, come struttura, indica per contro “competenza” come facoltà, appartenente alla specie umana, di implicarsi con la natura stessa, nell’esercizio dell’atto rivelatore: mirare/ritenere. Atto di acquisizione del “dato”, come ri_tenuto. Comunicazione primitiva. Consistente nell’ esercizio non tanto passivo, quanto “operativo” della sensibilità. Artistica e tecnica.
Sentire la cosa è indisgiungibile dal sentire il corpo agente nel sentire. Nella parola mira si indica l’intento non psicologico di “sentire” affezioni, non di piacere/dispiacere, quanto di “sentire l’altro come altro”. Ed accertare l’altro non come “ciò che fa ostacolo” invece come indice di sé nella situazione di esistenza . Solo oltre ciò, come cadente sotto le mani, che ne annullano lo stato e negano l’esistenza. Prima di tutto ciò deve essere stata scoperta una similitudine minimale, nell’atto originario del lavoro mentale di riduzione massima di entrambi i corpi a puro peso. Il farso vicendevolmente ostacolano è causato dall’essere puro peso : soma e salma. Condizione dello scambio dell’uno con l’altro, corpo e cosa. Sono carichi per la slitta.
Ripeto, nella riduzione estrema di entrambi a “peso” sta l’ identità tra soma e salma.
Aggiungere peso /levare peso. Controllare il peso. Infine “mettere in piedi” il peso. Sovrapporre peso.
4. Mi sono interrogato più volte da dove cominciare. E sono venuto sempre all’evidenza che l’inizio non potesse essere altro che la capacità di “mettere in piedi un alter_ego del corpo ridotto a puro peso. L’atto archetipo di accertare l’alterità nello scambio tra pietra e corpo attore. Alterità che si espone nella capacità di mettere in piedi un’erma/menhir, un totem/telamone.
Averlo saputo esporre, coincide con il poter verificare che:
.- per tale cosa, in tale situazione, “vale” un intorno identico a quello che vale per l’uomo, il quale, distante un passo, “mira” la cosa nel suo intorno conpresente all’uno e all’altro, nell’identica situazione. Ancorchè l’uno la senta e l’altro no. Perciò l’ino la indica al’altro che la comprende e verifica
L’alterità per cui l’uomo appare attivo e la pietra passiva, l’uno dotato di sensi l’altra priva di sensi, non pregiudica il fatto che la situazione sia identica. Né che l’uno “indichi” e l’altro “nel sentire/memorizzare, la decifri nel ritenuto.
Nel momento, infatti, in cui un punto (di una camera fotografica) qualunque sarà dotato della capacità proiettivo/ricettiva della luce concentrata in quel punto e proiettata da esso su di una superficie a specchio, su di essa si formerà l’immagine fotografica del paesaggio fronteggiante il punto.
Una situazione ottica cui corrisponde una realtà tettonica e spaziale bensì incommensurabile, ma come disse Giordano Bruno senza fine aprentesi oltre il punto raggiunto quindi “misurabile nel processo che avanza trasformando nello stato al vero, o tettonico, il precedente/succedente stato visivo. Vi è una tettonica della trasparenza. Tale fu la scoperta del rinascimento nei secoli che precedono il seicento nel quale tale scoperta giunge a maturità. Cioè all’identificazione della forma al vero con la forma disegnata nelle sezioni ortogonali. Identificazione tra forma del disegno sul foglio (bidimensionale) e forma al vero, involucro della cosa.
5 Perciò tra i primi dati acquisiti nella seconda separazione dalla madre, quella del mettersi in piedi e camminare, quindi circospezionare l’intorno paso passo, portando a portata di mano le cose, sta la scoperta che il tempo proprio e psicologico si svolge in uno spazio altro ontologico. In tale trapassare da eminentemente psicologica ad eminentemente ontologica sta l’inizio della architettura, l’inizio della comunicazione architettonica che originariamente non è comunicazione con altre persone ma con ciò che, capitato sotto le mani, viene manipolato. Un sapere architettonico che proviene dalla esperienza circospettiva precede l’esperienza teorica prodotta dal lavoro mentale riflessivo sulla memoria . I miti greci lo espongono dicendo che le arti sono “figlie” della memoria. Non in quanto copie bensì in quanto opere d’arte, di un lavoro originario e “produttivo” .
Se l’apprendistato della comunicazione originaria era stato alla scuola del filosofo, l’apprendistato dell’arte poteva che essere dell’architetto. Che per me fu Carlo de Carli. Il maestro. Il contributo di teorico di Dino, sulla comunicazione originaria benchè fosse artista e scultore, non fu quello
dell’artista all’opera nel “forgiare il segno comunicatore”. Nell’insegnarci che non sta nella teoria, il momento dell’arte ci disse che bisognava avere un maestro dell’arte. In una scuola d’architettura, l’architetto. Anzi un architetto sapiente della speciale modalità comunicativa dell’architettura. Conscio dell’esclusività del sapere architettonico, tra primitivo e originario: primario. Per esemplificare il modo specifico di tale esclusività accompagnava al termine primario, il concetto: le cose nascono. Con ciò voleva dire che prendono posto in un luogo esclusivo, quello del proprio corpo che porta irrevocabilmente con sé il proprio spazio al vero. Esso, apparterrà loro in esclusiva non in un incommensurabile buco nero, ma nel commensurabile mondo del tutto locale. Nel quale il concetto di “al vero” ha un senso assoluto: né più grande, né più piccolo. Al vero si contrappone a tutto ciò che non è in tale stato di radicale né più grande, né più piccolo. Questo stato è tettonico. Trasparente, invece, è ciò che, mantenendosi al vero, ma distanziandosi indefinitamente da qualunque punto al vero, si scorcia secondo la regola irrevocabile della proiettività. Non penso che il concetto di irrevocabilità sia relativizzabile. Occorrerà capire lo spazio/tempo dell’infinitesimo appartenente al mondo subatomico che concreta le cose ed i corpi nella co_possibilità con l’esperienza del corpo che abbiamo.
In altre parole, la nascita conferisce alla forma della cosa prodotta una qualità iperlocale presente alla globalità in un vincolo assoluto: il proprio irrevocabile dove.
6. Nell’accordare la terminologia Decarliana, con quella di Dino formaggio, ho sostituito primario con la parola somatico. La quale, con la radice soma/salma, nomina il peso e la realtà non temporale del corpo di cosa, che appartiene alla esperienza interna del corpo, ponendo a Desanti l’esigenza di postulare una spazialità del tempo per essere distinto nei momenti di contrapposte, successive affezioni corrispondenti a “mire” contrapposte.
D’altra parte, mira e memoria nel distinguersi mentre si implicano si contrappongono l’una all’altra come tempo interno e spazio esterno. Non psicologicamente ma ontologicamente cioè fattualmente. Cioè nel terzo momento in cui si implicano non come sentito ri_tenuto e mirato, né come memorizzato e immaginato o riflesso, ma implicato in un processo produttivo e artistico: quello di fare segni.
É questo terzo momento quello in cui ciò che è nominato attitudine al mirare e al ritenere (entrambe manifestazione della competenza del genere umano: memorizzare immediatamente il sentire) cadono da bande opposte l’una l’orientare la mente al “sentire” ciò che si manifesta nello spaziotempo esterno, l’altra il disporre il sentito/ ri_tenuto alla mente (una sorta di spaziotempo interno) come memoria immediata. Nel ri_tenere, il corpo gioca il ruolo chiave di soggetto/oggetto. Di vincolo o posizione obbligata.
7. Sentire coincide con l’attendere al mirare/ri_tenere operando un discrimine tra le due “direzioni”: orientare la mira all’ altro (ignoto) e disporre sé stessi (ignoto) a ri_tenere ciò che è indicato. Duplice carenza. Duplice sentire. L’affezione di sé stesso nell’ esperienza dell’altro o l’affezione in sè dell’ esperienza dell’altro.
Dico del modo in cui si espone nella prima parola che “respira” alla nascita espirando un vagito. Quello che annuncia la presenza al campo che ne risuona di un neo_nato.
Ora il campo che ne risuona, è a sua volta costruito, cioè “disposto” alla presenza del neonato (l’uomo che vagisce) ancorchè nulla sappia di esso. Le sue proprietà saranno scoperte come convenienti o no all’azione futura.
L’annuncio, dunque comprende il corpo che appropriatosi del suo campo esistenziale ha cominciato ad agire nel campo che risuona. Con la parola primario De Carli intendeva questa spazialità di corpo che nel detenere organi occupanti spazio, opera attraverso di essi, per respirare ed emette suoni. Designa, altresì, l’essere, lo spazio già costruito, dotato di proprietà convenienti o no al neonato che viene in presenza per la prima volta prendendo spazio. Il quale neonato, benchè nulla ne sappia, nel nascere prende lo spazio che prende e dal quale è preso.
8. Tale esperienza dell’altro, però, non si espone in parole, ma in “atti” e “fatti”, dei quali il corpo è attore nel modo intenzionale, autoconsapevole e autoripetitivo in un comportamento procedente secondo una tecnica (scoperta/invenzione) nella quale si espone il rapporto tra intenzione e finalità.
Dunque nel duplice sperimentare il mondo e sé stessi secondo l‘autocoscienza dalla carenza originaria, si esercita e manifesta una competenza specifica del genere umano (termine chomskyano che la Choay ha distinto da quella di parlare come competenza di abitare/costruire) nel cui esercizio, si espone una semiologia architettonica “altra” da quella linguistica, cioè artistica e conseguente alla investigazione dell’ arte cioè all’implicazione tecnica nel mondo.
Sono stato costretto a radicalizzare lo specifico esercizio di tale competenza, “somatica” e non verbale, dall’uso indiscriminato del termine “linguaggio” che viene dall’informatica.
Linguaggio, va bene, forse, nel pensare l’immateriale, come dicono i francesi, che veicola i prodotti del’informatica che sono del tutto “materiali” cadendo nel concreto della comunicazione che muove gli uomini e le cose.
Se fosse presente alle determinazioni d’oggi, non esprimerebbe la censura nei confronti della teorizzazione che già allora facevo.
In quanto uomini e cose vi nascono, ciascun corpo, in_corpora concretamente una realtà concreta cui è vincolato irrevocabilmente . Nell’andare e venire sembra che lasci e si prenda spazio, come qualcosa d’altro della realtà esterna. Mentre, si porta con sé il vincolo con il proprio corpo e mente.
Sentire la nascita dei corpi e saperla nella concretezza del nato , “fatto” e dato. Non astrazione nel nome. Questo era detto dalla parola primario. Una cosa difficile da dire in parole. Perciò imponeva di non parlarne.
9. Dacché collaborai con il filosofo, non potei astenermi dalla teoria.
Dunque per mantener viva l’intuizione dello spazio concreto dove le cose nascono, sostituii primario con somatico. Somatico coincide con lo spazio che la cosa incorpora, ed ha a che fare con la massa nella superficie che ha peso e baricentro del peso. Ed ha una identità di cosa che gli uomini per conoscerla, hanno dovuto passo passo detectarla facendo cose dapprima neppure “innaturali” benchè manufatte, poi, avvicinandoci al nostro tempo pregne di concetti bensì tratti dalla natura, ma non da manifestazioni della natura abitata o abitabile, ma dalle manifestazioni inabitabili della natura. Anzi distruttrici, persino nullificatrici.
Non proseguo.
Postulo che il mondo somatico ed abitabile, coesista con la manifestazione di modi d’essere non abitabili e persino con modi di nullificazione del tempospazio come lo abbiamo conosciuito. Coesista, ripeto. E non abbiamo un modo di capire come possa essere, la unificazione tra i due.
Torno al termine somatico per precisare una conseguenza su ciò che abbiamo chiamato competenza di abitare/costurire. Il termine dichiara d’essere, tale competenza che gi appartiene,_ che ho detto corrispondere all’ignoranza originaria, competenza di “fare” cose – non solo di teorizzarne o concettualizzarle. Dichiara d’essere una attitudine somatica del sentire nel fare, memorizzare, immaginare, riflettere, infine inture come “fare” – non come parlare. Esige quindi di esercitare il pensiero sui procedimenti del “fare”. L’architettura in questo è la pratica esemplare di tale modo d’esercitare la competenza.
Perciò costringe i suoi cultori, ad esaminarne i procedimenti ripensandoli per filo e per segno.
In questa accezione si spiega il termine somatico come convergere delle due nozioni, quella analiticofilosofica di Dino (elaborando in “scienza” la competenza del fare) e quella genetico artistica di De Carli (esercitare le tecniche del fare arte). Le due invisibilità/intangibilità che qualificano lo spazio, nel chiamarlo somatico, non spariscono ma non sono riguardabili solo in astratto. I corpi di cose prendono spazio in concreto nel mondo. Lo spazio che prendono è esigente nei confronti dello spazio che occorre loro. Perciò questo spazio ed i corpi che lo popolano esige di essere curato non solo nel modo in cui la scienza c’impone di avere attenzione alle sue proprietà, ma soprattutto nel modo in cui gli uomini se ne appropriano per abitarlo sviluppando in convenienze le proprietà.
Un’etica ed una estetica sorgono dalla competizione con la scienza, non contrastando i suoi approdi, ne didentificando la natura con essa. L’ignorare permane.
Il pensiero può intuire e concettualizzare ipotesi di “leggi” che le verifiche confermeranno, cumulando il sapere e manipolandone mentalmente i concetti, de_naturando e astraendo.
Ma occorrerà a tale avanzare nel’astrazione denaturante, verificare in concreto i prodotti della de_naturazione astraente. Essi alora cadono nel campo dell’agire somatico.
Scoprire inventare , dove l’invenzione e la tecnica relativa ne sono il prodotto, si devono concretare per verificare che la scoperta non fallisca implodendo nella fantasia di chi crede di aver scoperto.
La concretizzazione, che cade nel campo dell’azione umana campo d’azione, o d’abitare solo essa come verifica in atto nell’uso stesso, vale. Cosicchè divieme oggetto di memoria immediata
secondo il concetto della fenomenologia moderna husserliana che ha studiato l’implicazione di sensibilità corporea e operazioni mentali come collaborazione esistenziale.
10. La collaborazione in questa operazione nel sentire di mente e corpo tramite la memoria immediata, conferisce alla parola somatico una dimensione mentale ineliminabile. Senza, d’altra parte rimuovere e sostituire il sentire del corpo. Anzi postulando la presenza dell’operare della mente nel “corpo a corpo” con il corpo stesso e con i corpi di cose che l’esercizio del sentire comporta in modo spontaneamente “artistico” . In tale corpo a corpo del sentire/memorizzare vi è l’esercizio ermeneutico di scoprire/inventare. Nell’esercizio “corpo a corpo” con le cose si produce l’azione negativa che “testa” il dato sentito alla ricerca di quel modo d’essere del dato sentito su cui “fonda” la certezza del riprodursi dell’effetto dell’azione tecnica.
Sostituendo bensì la volontà all’adeguamento della mente all’essere del mondo, la tecnica prende il posto della volontà, ma di una volontà che avendo tastato il modo dell’essere ne ha rivelato un “vero” dell’essere dato . Lo da nel fatto.
Questo sapere che si “cumula”, integrandosi in paradigmi che imprimono l’unità nei fatti conformi è condizione e premessa ad una semiologia che attraversa, per così dire, i passi compiuti le intuizioni/scoperte-invenzioni di volta in volta integrate in paradigmi di maggiore capienza e integrazione.
Cercherò di fare questo percorso che, penso, traccia lo schizzo di una semiologia architetonica.

P.S.
Ho riassunto questa interazione di passivo ed attivo nell’ aforisma che fa “principio del sapere”, nella simultaneità del recepire l’affezione del dato, se ne tasta il modo d’essere negandone lo stato per adeguarlo ad un volere che avendo tastato ed intuito il dato, non può che essere potere. Rivelazione del dato come capito/voluto.
Mi basta per cominciare.


Save pagePDF pageEmail pagePrint page
SE HAI APPREZZATO QUESTO ARTICOLO CONDIVIDILO CON LA TUA RETE DI CONTATTI