Villa Adriana è il testo architettonico, fattuale e non verbale, che espone il paradigma della città romana. Quello fondato su di un tracciamento, non coincidente con gli assi di vie e piazze. Inoltre polare, radiale ipotattico e non più paratattico. Un tracciamento, irreperibile una volta costruita la villa, le cui rette congiungono i centri degli edifici pubblici e privati, su cui si posiziona l’osservatore/visitatore di fronte alle pareti murarie circostanti rivestite di mosaici o articolati in nicchie di statue e oggetti d’arredo per osservarli, immagazzinandoli nella memoria immediata, come insegna Husserl.
Tale regola di mappatura al vero, reclama dal visitatore uno sforzo per essere decrittata, salvo averne in mente il grafo, quello ricostruito da Pier Federico Caliari con i suoi strumenti moderni che gli hanno suggerito di chiamare tecnigrafo postalessandrino lo strumento mentale e pratico, analogo a quello moderno, per tracciare sul campo la posizione preliminare dei centri attorno ai quali edificare i monumenti, o “fori”. Il grafo, infatti, li concatena direttamente tra loro indipendentemente, oltre che per vie dall’uno all’altro. Se non manca la circospezione nei percorsi, vi è, in più e, subordinante, una relazione algoritmica per numeri ed enti geometrici che consente alla mente di “saltare” da un centro all’altro onde “pensarli” in sé e in relazione. La conseguente percezione memorante non serve principalmente all’attualità dell’abitare. Piuttosto all’immaginazione rammemorante e alla riflessione pensante l’esperienza nei punti scelti (indipendentemente da come siano raggiunti). Cioè per passare da immagine a immagine, da nome a nome da significato a significato. Il grafo funge, quindi, da coerenza spazio-temporale tra esperienze presenti passate vissute pensate.
Torno ad Adriano. Questi, con la decisione di inscrivere la vecchia dimora in una domus-acropoli o città imperiale, compie un progresso essenziale nell’arte di costruire la città. Un’arte che non si accontenta della percezione, ma che vuole pensare la rammemorazione di ciò che si mostra dai punti; cioè la relativa immaginazione, riflessione o decifrazione del significato, coincidente con un’esperienza vissuta nel suo spazio-tempo come segno di spazitempi altri, altrove. Per conoscere i quali, vale la notizia di Elio Sparziano, il biografo di Adriano, ove dice: «Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i più celebri luoghi del mondo ellenistico, come il Liceo, L’Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la Valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli Inferi» (Elio sparziano Historia Augusta, vita Hadriani, XXVI, 5). I segni sono simboli di spazi-tempo altri, riferiti dal nome, dall’edifico, dalle sue figure.
L’autore è l’imperatore stesso. Cioè il conflitto con gli architetti, affinchè si proceda con un progetto -incompatibile con l’esistente- il cui paradigma è quello ipotattico ricostruito da Caliari in un grafo di preliminare posizionamento dei centri. Perciò l’imperatore è convocato al tavolo dei progettisti, perchè vi è stato un momento di partecipazione diretta alla definizione del tracciato, che è stato predisegnato sulla pergamena vergine di cui parla Caliari. Oppure, veduto sul campo nel momento in cui è stato tracciato sul terreno per funi e picchetti. La figura memorizzata serve a dirigere l’attenzione sui diversi monumenti (con il loro nome, il Liceo, L’Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la Valle di Tempe) simbolo di figure e forme della topografia delle relative regioni.
Che l’architettura avesse tale potere di simbolizzazione era noto dall’età prearistotelica. Lo rivela, in epoca moderna, uno studio della scuola di Warburg nel suo periodo inglese, dopo la persecuzione ebraica in Germania, nel libro magistrale di Fraces A.Yates, L’arte della memoria (1966). Che tratta di una partica mnemotecnica in cui l’architettura gioca il ruolo essenziale di contenitore tridimensionale di segni/cosa simbolo di concetti. Analogo alla pagina o alla pietra da incidere o alla tavola fittile. Salvo che, diversamente da quelle, espone la cosa segno-simbolico nelle relative circostanze spazio-temporali. Senza le quali la cosa stessa non è e non se ne fa esperienza.
La percezione pertanto, come modalità necessaria alla ritenzione nella memoria immediata che Husserl ci insegna essere la base del sapere, non conta come tale, perché la cosa mirata è simbolo di una “altra cosa” coincidente con una “regione topografica lontana” cui si deve pensare per programmare l’azione futura su di essa. Perciò il tempo-spazio del mondo e quello interno umano, coesistono senza confondersi in una percezione che si duplica fornendo la nozione di contemporaneità e coesistenza spazio-temporale della topografia geografica del mondo. La contemplazione della cosa nelle sue attuali circostanze, e la contemplazione di una cosa altrove similmente contemplata nelle circostanze spazio-temporali, si riconoscono identiche e si scambiano tra loro. Piuttosto che come cose, come corcostanze necessarie alle cose nella sussistenza. Come scambio di luoghi simultaneamente coesistenti cui la mente rivolge il pensiero. Questo scambio è necessario al pensiero. Per questo l’architettura per la semiologia del sapere, è fondante. Essa serve a coloro che sanno la difficoltà dell’idealismo nell’esporre la fenomenologia della spazializzazione e temporalizzazione delle cose esistenti. Del tutto immediata per l’architettura.


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