L’architettura antica concepì quasi sempre la “struttura tettonica trans-figurata” in un mondo di forze e atmosfere ideali, ove confluivano, determinandolo, tutte le possibilità e spinte espressive di una civiltà.[…]
Ad un certo momento ci si accorge, ad esempio, che la costruzione ad appartamenti di Mies Van der Rohe a Chicago è certamente un meccanismo abbastanza esatto ma che la sua ragione di vita non è giustificata molto di più di quella di un altro corretto edificio. E’ allora da chiedersi se quel senso di assoluta necessità delle architetture antiche provenga da una loro differente sostanza, come pensiamo, o dalla nostra secolare abitudine alla loro contemplazione, che le ha trasformate, inavvertitamente in armonie fossili. L’architettura moderna deve ormai puntare su risultati conclusivi o aver la forza di accertare i suoi limiti e in tal caso di dimenticare e non più recitare il paradiso perduto. Spazio nei prossimi numeri inizierà una serie di studi su questi problemi nella intenzione di contribuire a chiarirli.
Luigi Moretti, Spazio n°4.

Questo studio procede nel solco della ricerca sulla tettonica dell’architettura, quindi sulla dimensione tattile della percezione. Procede dall’interrogazione che soggiaceva allo studio di Moretti. Questi si domandava come aprire una prospettiva moderna allo studio della tettonica dell’architettura. Pensava all’antichità ma anche all’esperienza dell’arte nel primo Novecento. Studiava il rapporto tra architettura romana tardoantica, architettura del seicento a Roma e procedimenti dell’arte moderna. Nello studio della fabbrica architettonica individuava la messa a punto nel disegno istituito dalla geometria moderna e dagli algoritmi parametrici. Ne era perciò manifesto Architettura parametrica.
In proposito, cito il bel libro di Reichlin -Tedeschi, Luigi Moretti. Razionalismo e trasgressività tra barocco e informale, 2010 Electa, mi sembra un indice alla analisi critica dell’arte e della teoria dell’autore romano. Ed il giudizio di Frampton, The Value of Profiles Structures and Sequences of Spaces- cfr. “Opposition” n.4 del ‘74 “Moretti è stato – sostiene – di grande importanza non solo per il suo lavoro come architetto ma anche per il suo contributo come teorico. Così “mentre alla sua Casa del Girasole è garantito un posto nella storia dell’architettura moderna- in quanto controparte barocca al razionalismo di Como – i suoi testi non hanno ancora raggiunto una minima parte della considerazione che meritano”.
Nello stesso articolo, sostenne il valore degli studi sulla “architettura parametrica”.
“Vent’anni fa – disse – Moretti immaginò un’architettura estremamente “strutturale” svincolata dalla assoluta libertà di immaginazione dove le radici delle equazioni non possono essere determinate.” Allo stesso tempo ha guardato all’evoluzione di una nuova critica rigorosa basata su una comprensione analitica dei processi di formazione e trasformazione.
I due articoli Valori della Modanatura e Strutture e Sequenze di Spazi, che “Opposition” ripubblicava tradotti in inglese per la volta, sono appunto documento di questi studi. Il suo lavoro degli anni ‘40/’50, che lo ha portato all’attenzione perplessa e preoccupata degli architetti dell’International Style e della critica, come scrive Stevens, dimostra che Moretti non fu tanto un “reazionario politico come lo consideravano i suoi avversari, quanto un critico della scuola di pensiero che trattava tutta l’architettura del XX secolo o come automatico sottoprodotto dello zeitgeist o come preferibilmente automatico sottoprodotto di una tecnocrazia sociale, essendo questi due aspetti spesso considerati uno unico.… In altre parole, (parafrasando Moretti) non abbiamo a che fare con la realtà fisica, ma con la rappresentazione ideale e siamo purtroppo indietro ad Alberti e Vitruvio e al fatto che, citando Moretti, ogni edificio è sia una realtà fisica che una rappresentazione ideale insieme, solo se la volontà di rappresentazione è presente nell’architetto. Soddisfare la sola necessità è di poco conto se il risultato deve apparire come una massa senza forma e mal concepito, dice Alberti; e il fatto, comunque desolante per i deterministi, che una categoria di necessità possa condurre a diverse categorie di rappresentazione, significa anche che possiamo considerare ancora i prodotti architettonici finali in termini di loro criteri plastici, come Le Corbusier a volte ha fatto, e Moretti ha cercato di fare in modo consistente.”


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