Le figure geometriche sono i dispositivi che rendono possibile, come elementi di un alfabeto, l’articolazione del progetto e con esso la semantica intrinseca di quel linguaggio chiamato architettura. La composizione architettonica non può non tener conto della forza che ogni figura da sempre emana per se stessa e come parte del tutto, dello spazio abitato nella sua valenza di testo e narrazione.

La figura presa in esame è quella del cerchio, valutato nella forza generatrice della pianta ma anche nelle spazialità tridimensionali ad essa connesse come, per esempio, la sfera o la cupola.

Il testo proposto è stato concepito come una narrazione continua e non esaustiva divisa in due macro aree: la prima principalmente teorico – speculativa, la seconda pratico – pragmatica.

La spiegazione di metodo è fondamentale laddove diviene anche matrice di contenuto. Perché se da un lato l’architettura è fatto costruito e come tale concreto, dall’altro è disciplina che non può fare a meno del pensiero e dell’ideologia, della storia e della memoria, seppur ri-affermando continuamente il principio di autonomia che la legittima.

Il cerchio potrebbe essere interpretato come un punto esteso, partecipe delle proprietà di perfezione, omogeneità e assenza di divisione, qualità o attributi propri celati nel punto e manifesti nel cerchio che diviene l’immagine di ciò che è generato, emanazione del principio.

Intervengono lo spazio e il tempo che rendono possibile l’architettura.

Il cerchio è movimento immutabile senza inizio né fine, senza rottura né cesura, senza variazioni, è unione e compiutezza.

Questo movimento avviene in un tempo che è successione di istanti identici – il moto perpetuo del tempo ciclico infinito e universale in una spazialità senza direzione né orientamento.

Privo di angoli e spigoli, direzionalità e gerarchia. Il cerchio diviene un simbolo allusivo, ha in sé un nucleo oscuro che respinge un’analisi razionale impedendo una definizione chiara, semplice.

 

All’immagine del cerchio vengono legate alcune architetture di seguito solo brevemente esposte.

L’architettura prima dell’architettura, ossia quella che riporta alla capanna e più precisamente all’accampamento; le architetture stanziali successive quali le regge nuragiche e le fortezze, le strutture megalitiche, i templi a pianta circolare, i dispositivi funerari delle tholoi greche e latine, i mausolei romani, le architetture rurali delle caciare abruzzesi o dei trulli pugliesi, ed infine i labirinti.

Figure prossime al cerchio; come l’ellissi dell’Anfiteatro Flavio, la sfera e l’oculos del Pantheon, i recinti delle città dell’utopia.

E ancora: la forza attribuita alla figura del cerchio nei disegni di L. Da Vinci, nelle piante centrali generatrici di battisteri e chiese, negli studi per le coperture a cupola culminati nella realizzazione del Brunelleschi.

Le utopie di Boullée e Ledoux e le utopie costruite da Buckminster Fuller nelle sfere geodetiche.

Nel passaggio all’architettura moderna e contemporanea il valore assunto dalla figura geometrica è più strettamente riferito alla sfera compositiva che ricalca l’autonomia del linguaggio dell’architettura senza ricorrere a rimandi esterni.

Tra i vari progetti analizzati spiccano: la Neue Wache di Schinkel, alcune realizzazioni del Movimento Moderno, il Teatro Totale di Gropius, il museo organico di Wright. Alcuni illustri esempi isolati come quelli offerti da: Kahn, Melnikov, Vaccaro, Stirling, Lautner, England. I maestri italiani come: Libera, Moretti, Ridolfi, Quaroni e Michelucci, Rossi e i più recenti Sartogo, Gregotti, Botta, Sacripanti ed altri.

La ricerca chiude sulle strutture urbane de La Città Compatta proposta da F. Purini.

La tesi progettuale insiste su una porzione consistente dell’ ex Complesso Industriale “Italgas” sito nel quartiere Ostiense – Marconi, quadrante sud di Roma. L’area, che ebbe un notevole sviluppo nel Novecento, conobbe in seguito alla dismissione un prolungato periodo di abbandono che ne ha determinato il forte degrado nel quale versa ormai da decenni. La proposta di una biblioteca per il quartiere, intende ri-definire la fruizione del sito, lasciando però inalterata l’immagine industriale conferitagli dai silos, dalle tramogge e dai più vistosi gasometri, auspicando un consolidamento strutturale ed un accorto restauro. Non si intende con questo intervento costruire una città sopra e oltre la città, ma un altrove possibile, segnato dalla differenza. Non si intende ri-comporre gli spazi attraverso operazioni metamorfiche o mimetiche ma configurarli secondo nuove operazioni sintattiche e di per sé significanti. Permanendo in un luogo e allontanandosi dallo stesso, nella sospensione che ogni progetto tende a definire.

La staticità massiva dell’esterno lascia il passo ad una articolazione diafana dell’interno. Gli Ingressi posti sui prospetti corti si aprono con ampie superfici vetrate al complesso industriale e alla città consolidata da un lato, dall’altro all’imponente asse del Fiume Tevere. In sezione l’edificio viene percepito come una montagna artificiale con la successione in alzato dei piani costituita da terrazzamenti digradanti. Il piano terra accoglie una lettura generica e meno assorta e, man mano che si procede in sezione, gli spazi sono confinati per uno studio più specifico e individuale. Una ascesa. La luce penetra all’interno attraverso le ritmiche bucature dei prospetti, ma è soprattutto la complessa articolazione della copertura che veicola la luce zenitale la quale narra gli spazi con l’incessante progredire delle ore del giorno. Il reticolo metrico misura e conferisce una geometria propria all’edificio seppur in una dialettica continua con improvvise variazioni che destabilizzano la rigorosa matrice compositiva.

 


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