In certi momenti mi sembrava che il mondo stesse diventando tutto di pietra:

una lenta pietrificazione più o meno avanzata a seconda delle persone e dei luoghi,

ma che non risparmiava nessun aspetto della vita.

Era come se nessuno potesse sfuggire allo sguardo inesorabile della Medusa.”

Italo Calvino,Leggerezza in Lezioni americane.

L’eredità di un trascorso ricco di avvenimenti impone oggi all’architettura il compito di individuare delle linee d’ indirizzo ad un ipotetico scenario futuro, libero da istanze profetiche e riferito anche al solo futuro prossimo.

Per un tale scenario è indispensabile il confronto con la storia. Ma quale confronto: in continuità o in contrasto? Secondo quale mira dominante: documentaria o narrativa?

Dal mio punto di vista essa si mostra di certo come condizione “sine qua non” per la realizzazione del nuovo in Architettura. La consapevolezza del trascorso del luogo – dapprima primigeneo heideggeriano, poi definito in fattispecie e singolarità – appare come sapienza del fatto fondativo su cui l’Architetto, ovvero l‘Artista, inizia il suo processo intellettivo ed il metodo per interpretare. Un esempio è l’avvalersi del genius loci schulziano, strumento in grado di legare la volontà estetica all’ethos che non prescinde dal contesto locale. Per l’architettura contemporanea contemplare l’etica significa agire adattando l’intenzione motivante alla società contemporanea per rispettarne le istanze. E a ciò consegue lo studio di discipline quali la sociologia e l’antropologia, necessarie ad acuire lo spirito di osservazione del progettista. Egli inoltre, così istruito, rivolge la sua attenzione all’ambiente su cui opera per descriverlo ed assimilarne il “genius” onde possa capire come “arricchirlo” apportando un cambiamento sostanziale.

Il progetto d’architettura rappresenta non soltanto una istanza particolare ma un’intera società che si vale del contesto, non per spogliarlo ma per “abitarlo”, rinnovandone le potenzialità. Simili obiettivi impongono una diversa attenzione al tempo ed al dialogo d’interazioni tra contesto locale e storia “urbana” (umana sulla città nella regione). Impostare un rapporto dialettico e critico tra l’architettura e il tempo in cui essa opera significa perciò non aderire aprioristicamente a correnti o strutture di pensiero solo perchè già consolidate. Occorre metterle alla prova affinchè fronteggiando domande nuove che possano dimostrare la capacità d’essere sufficienti.

Le domande nuove sono come rompicapi che mettono alla prova la struttura disciplinare consolidata in paradigmi epistemologici costringendola a trovare il modo di risolverli o imponendo ragioni per cambiare.

La sperimentazione consapevole di istanze logiche perchè insite nell’uomo; sociologiche, ovvero descrittive dei fenomeni legati alla società in cui vive, tecnologiche quindi legate all’ambiente fisico, dovrebbe essere impostata sull’apertura a queste nuove domande come presupposto indispensabile per l’innovazione. Tale volontà di sperimentazione dovrà applicarsi ai diversi temi di ricerca sulla città, o meglio sul territorio, a partire da postulati di tipo storico per considerare problemi di modello applicati alla preesistenza materiale (naturale), aperta anche ai problemi di scarsità delle risorse e dell’energia.

La volontà di sinergia tra contesto e inserimento d’opera progettata, come tra luogo e tempo umano/sociale, dovrebbe risolversi nella definizione progettuale di un’immagine che generi il tutto non solo come somma delle parti, come da sempre gli autori della Storia hanno saputo fare. Sapendo trovare il modo di far coesistere istanze preliminarmente in contraddizione e risolvendo la iniziale tensione mostrata dalle singole parti -che premono energicamente per diventare il tema esclusivo o dominante del programma- è possibile ottenere un elaborato conclusivo in grado di raccogliere e risolvere.


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