Per l’architettura della contemporaneità la possibilità di aprirsi a nuovi procedimenti empirici rappresenta fonte di stimolo e al contempo traguardo rispetto a tradizionalismi assunti aprioristicamente sotto il profilo metodologico. Come sottolineato da Manuel De Landa, vivere la contemporaneità vuol dire abbandonare il processo lineare di pensiero e quindi creazione, considerato limitante, per avvicinarsi alla possibilità di nuova genesi interprete dello zeitgeist, rappresentato in questo caso dal progetto digitale parametrico.

Come emerso in “Authorship in Algoritmic Architecture” di Eleftherios Siamopoulos:

“L’algoritmo può essere una soluzione strategica ad un problema risolvibile con un numero finito di passaggi. Ciò però non significa che conosciamo già la soluzione o che ci sia una soluzione. L’output di procedura di un algoritmo rimane sempre aperta. In questo specifico caso ci sono noti i dati input ma non siamo a conoscenza dei dati output.”

Il contenuto è chiave di volta sia nello scritto di Siamopoluos che nell’architettura realizzata con progettazione parametrica digitale più in generale. Al fine di comprenderne l’assunto appare indispensabile fare un riferimento ad un contesto storico, la contemporaneità, all’interno del quale ad ogni campo del sapere si impone un confronto con il tema dell’indefinito, della latente non governabilità del contenuto. Non è quindi soltanto la scienza, a partire dal principio di indeterminazione di Heisenberg fondamentale per la meccanica quantistica, né la singola filosofia che mediante l’ermeneutica apre le porte alla possibilità di generare circolo interpretativo per una lettura dell’opera intesa come aperta. Si tratta qui di collocare l’esperienza architettonica contemporanea in una condizione culturale vasta a cui fare riferimento e da cui non possono essere esenti neppure discipline altre quali la musica, la sociologia, la letteratura, in cui la definizione dell’elaborato finale inteso come completamente controllato risulta qualcosa di obsoleto, nemmeno più fortemente ricercato.

 

Già Alexander Cozens, pittore paesaggista inglese (1717, 1786), giunge presto a slegare la sua arte rispetto al classicismo mediante la proposizione di un nuovo metodo di realizzazione dell’opera. Il processo di creazione della composizione originale, non basato sull’idea di genio romantico ma in grado piuttosto di sperimentare il concetto di causalità (come avrebbe potuto essere definito all’epoca), diventa quindi un metodo non più controllabile dalla coscienza umana. Alexander Cozens, descrive il suo radicale processo di realizzazione dell’opera nel pamhlet ‘A New Method of Assisting the Invention in Drawing Original Compositions of Landscape’ pubblicato nel 1785. Uno dei suoi studenti lascia una descrizione rispetto al suo metodo di insegnamento “Cozens usava realizzare degli schizzi in nero, marrone e grigio su una serie di fogli; mediante l’esercizio di una fertile immaginazione ed un certo grado di ingegnosa persuasività, egli converte in rocce, grandi alberi, cottages, fiumi, campi, e cascate.  Blu e grigi formano montagne, nuvole e cieli.”  Come lo stesso Alexander Cozens scrive: “Fare degli schizzi vuol dire trasferire delle idee dalla mente al foglio. … Fare schizzi vuol dire delineare delle idee. Questo dettare macchie ha al suo interno una sorta di iniziale input al progetto.” Una sorta di inconscio ante-litteram quello che pervade Cozens, un inizio rispetto a quello che sarà realizzato nel XX secolo e rafforzato poi nel secolo successivo.

La possibilità di lasciare spazio all’espressione dell’inconscio è stata sperimentata da parte di diversi autori anche in campo architettonico, seppur in ritardo rispetto ad altre opere artistiche in senso lato. Dagli esperimenti di Coop Himmelb(l)au ad alcune prime opere di Rem Koolhaas, fino a Frank Ghery giungendo fino a Peter Eisenman, per il quale l’ingovernabilità dell’output diventa elemento fondamentale per la creazione del nuovo.

Riguardo allo slittamento del paradigma da una automazione di tipo umano ad un’altra di tipo digitale realizzata mediante computer, Siamopoulos affronta l’approccio di Patrick Schumacher e Peter Eisenman, come autori di riferimento rispetto al nuovo paradigma progettuale. Per Schumacher il parametricismo e i suoi processi consistono in una sorta di programma di ricerca. Seppur intento nella programmazione dell’architettura, egli non tralascia alcuni aspetti contestuali o di fruizione dell’oggetto da parte del soggetto, il processo è trattato quindi come qualcosa di soltanto parzialmente oggettivo. Il team di Zaha Hadid, a cui è indispensabile far riferimento trattando di architettura parametrica digitale, parte dall’idea di controllo del processo algoritmico nella maniera in cui è ancora possibile definirne un risultato formale, concentrando l’attenzione quindi sulla sola forma dell’oggetto.

Contrariamente a ciò, per Peter Eisenman l’oggetto fisico non ha la stessa importanza del processo di progettazione. Fin dal principio della sua carriera egli utilizza processi arbitrari con l’impiego di algoritmi. In questo caso l’interpretazione del dato finale generato mediante l’impiego di computer non ha la medesima importanza rispetto al modo in cui l’autore e il computer insieme generano i singoli passaggi per raggiungere la composizione –o de-composizione – finale. Nel suo caso, il processo prevede l’inserimento di una serie di dati ritenuti interessanti ai fini delle operazioni processuali e soltanto in seguito a tali modifiche il progettista ha la facoltà decisionale in merito alla conclusione di tali operazioni. Nonostante quindi l’incontestato principio di morte dell’autore, i suoi esperimenti si mostrano come stimoli verso l’inesplorato, volti a scavalcare la classicità per produrre opere generative, pregnanti rispetto alla capacità di sintesi della sua personale visione della contemporaneità. In questa direzione si inserisce ad esempio il progetto per la Ciudad de la Cultura di Santiago de Campostela, all’interno del quale l’elemento figurativo della superficie è soltanto l’ultimo strato di una sequenza di layer volta a  costituire nel sottosuolo una complessa macchina urbana. La “layerizzazione del suolo” è in realtà leggibile anche attraverso le sezioni, di cui il movimento tellurico si fa portavoce. La trasposizione del processo di composizione dalla tradizionale pianta alla sezione risulta essere una delle più interessanti innovazioni introdotte dal software parametrico nei confronti dell’architettura.

 

Differenti letture ed interpretazioni sono quindi nate dalla costruzione del progetto per sezioni. Nel caso del progetto di Giuliana Santoro in Progettare per sezioni, la sezione diventa strumento per legare la stratificazione in layer del suolo con la costruzione di masse percepibili in realtà come sole superfici. L’intero progetto si compone quindi di superfici quasi completamente integrate nel paesaggio naturale, fino a formarne un continuum. L’esito fa riferimento in parte al progetto del Parc de la Villette proposto da Rem Koolhaas, in cui la serialità delle sezioni diventa occasione per valicare il processo di mappatura e rilievo mediante l’inserimento di oggetti d’architettura o elementi legati al tema del landscape. Il puro oggetto architettonico è invece studiato da Digit-All Studio nel progetto proposto per la XIII Biennale chilena dal titolo Espacios Digitales, in cui le sezioni diventano strumento generativo degli spazi e al contempo luogo di scissione, ideale e fisica, tra immagine massiva esternamente ed ossatura interna che supporta una superficie.

Tutti esempi di come il tema del digitale abbia ruolo sostanziale rispetto alla creazione dello zeitgeist.

 

 

  

 

 

 

 


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