In modi analoghi a quelli dei sociologi di Chicago all’inizio del secolo che utilizzarono concetti presi dalle scienze ambientali per interpretare il processo di trasformazione della città moderna, oggi sono molti i termini e i concetti che migrano fra le discipline, attraversando e riattraversando più volte gli stessi recinti. I concetti di porosità, di densità, di eterogeneità, di patchness, utilizzati per parlare di ecologia del paesaggio, descrivono ed interpretano la città contemporanea. In essa, nei suoi diversi gradi di porosità e di eterogeneità, nelle sue differenti grane, si presenta una nuova ecologia, nuovi rapporti cioè tra una specie e il suo territorio.

(Viganò P., Territori della nuova modernità, Electa, Napoli 2005)

 

1. Ecologia per la città

As a paradox, city is both the main threat for ecology and the best hope to survive for a grat amount of people. (Shane2005)

 

Guardare alla città secondo un approccio ecologico (Vercelloni, 1992)[1] significa innanzi tutto considerare il fatto urbano, cioè l’insediamento umano in una distinta topografia, più come un processo che come un sistema statico. Si può allora parlare di urban ecosystem (Lynch, 1981), mettendo in evidenza la caratteristica di trasformazione costante che interessa la città in virtù della continua interrelazione fra milioni di elementi variabili. Un ecosistema urbano identifica allora nel costante scambio di informazioni e materia la dimensione ecologica degli organismi nel loro ambiente, indipendentemente dal grado di complessità formale, fattoriale e di numero di variabili che possono essere inclusi in tale sistema.

Già negli anni ‘30 Tansley identificava con il termine ecosistema un sistema auto-organizzato di relazioni, una comunità di organismi e il loro ambiente fisico che interagisce come unità ecologica[2]. Il concetto di ecosystem riesce a dominare sistemi molto complessi, ricchi di cambiamenti, di elementi organici o inorganici, e con una grande profusione di attori e di forme. (Lynch, 1984)[3]

Il tema della complessità ambientale di un ecosistema fa pertanto riferimento all’organized complexity di Kevin Lynch[4] e Jane Jacobs[5], data dalla compresenza simultanea di variabili interconnesse in un sistema complessivo[6]. Le città, lontano dall’essere in uno stato di stasi o di equilibrio, vivono una continua trasformazione in risposta a mutevoli condizioni esterne.

Anche Kevin Lynch[7], secondo le osservazioni di Michael Batty[8], sottolinea come città e parti di città siano costantemente soggette ad uno stato di cambiamento, dettato dal comportamento locale  che si adatta a forze esterne ed interne. Ogni città perciò vive un processo peculiare di adattamento, o, come viene definito da Kevin Lynch, di self adjusting behaviour, di cui sono responsabili sia processi bottom-up sia bottom-down. I tre stadi dello sviluppo urbano, the city of faith, the city as a machine e the city as an organic, self adjusting system, sono un esempio di tale ontologia metamorfica. The ecological city (Lynch, 1981) è una sorta di elemento organico in cui gli attori lottano per mantenere il delicato equilibrio ecologico[9]. Il principio che regge la sua teoria di città ecologica è l’autonomia sociale e spaziale di ogni unità che tuttavia comprende al suo interno un certo grado di eterogeneità per cui gli elementi possono essere considerati interdipendenti[10]. Lo stato ottimale è dunque il mantenimento dell’equilibrio dinamico, ovvero il climax ecologico ottimale con un alto coefficiente di diversità fra gli elementi insieme ad un uso efficiente dell’energia che attraversa il sistema.

Il carattere mutevole ed in continuo sviluppo della città contemporanea appare a Kevin Lynch come il tratto distintivo della città ecologica: essa consiste delle sue relazioni. L’ecologia a cui si fa riferimento è dunque quella che comprende un insieme di organismi in un habitat, legati fra loro e con la struttura ospitante -che viene definita inorganica- da molteplici relazioni[11].

E’ doveroso menzionare la prudenza con cui Kevin Lynch affronta il tema dell’ecologia, in considerazione della mancanza di autocoscienza dei sistemi ecologici: si tratta, infatti, di un insieme di elementi non pensanti, incapaci di concepire e provocare trasformazioni sostanziali. L’ecosistema volge verso il suo apice di maturità dove le diversità delle specie e l’efficienza nell’uso dell’energia sono entrambe al massimo, dato che la struttura inorganica ha dei limiti fissi (Lynch, 1981)[12]

Si possono dunque inquadrare le logiche degli insediamenti umani, la cui peculiarità prevede attori consapevolmente modificatori di se stessi e dell’ambiente[13] in quella che viene chiamata ecologia in evoluzione, cioè coinvolta in un processo di apprendimento. E’ del resto l’idea del Total Human Ecosystem Ecosphere (Naveh, Lieberman 1990)[14]: reinterpretando la nozione di total human ecosystem (Egler, 1964) Naveh lo definisce come un sistema di auto-organizzazione in cui l’uomo, parte di un total environment che  include sistema urbano e naturale, definisce invece l’equilibrio generale grazie alla costruzione di technoecosystems (Naveh, Lieberman, 1990), costruiti e mantenuti attraverso i contributi umani di energia e materia, nel rapporto diretto o indiretto con la geosfera e la biosfera, e regolati dalla sfera culturale, tecnologica, scientifica, politica e spirituale (noonsphere), cioè frutto del processo inventivo di civilizzazione dell’inventive system[15].

La capacità di un insediamento urbano di sostenere le trasformazioni viene definita da Kevin Lynch robustness: essa rappresenta una chiave di lettura ancora valida per studiare lo stato di fatto della metropoli contemporanea in considerazioni dei temi emergenti di sostenibilità ambientale[16]. La resilienza di un territorio rappresenta quindi una valida leva su cui operare per una gestione dello sviluppo del territorio secondo un’ottica di uso ottimale di risorse energetiche, di crescita economica, e di salvaguardia del patrimonio culturale e sociale. Per metabolismo urbano[17]sostenibile s’intende dunque il consumo sostenibile del suolo urbano a partire dallo studio di modificazione dell’impianto urbano in un processo naturale di trasformazione e manutenzione. I fenomeni di riproduzione e crescita della città vengono pertanto considerati per soglie critiche e trasformazioni paradigmatiche, che rimuovono e sostituiscono, selettivamente inglobandone parti, le strutture preesistenti impotenti a sostenere il funzionamento di superiori  grandezze/complessità della città[18],[19].

Nel dissolvimento infinito della metropoli contemporanea, con i suoi caratteri dinamici di multitemporalità e di prossimità multipla[20], secondo le sue direzioni di espansione alla scala regionale[21], si può ancora riconoscere e proporre un’articolazione del territorio per nodi in grado di diventare propulsori di una catalisi rigenerativa dei tessuti loro circostanti[22].

L’ambiente cui facciamo riferimento, considerato in senso ecologico[23] è il paesaggio, cioè l’orizzonte unitario, l’ambito totale entro cui la città si colloca. In senso aristotelico il paesaggio è pertanto il ”ritratto della terra abitata”. La città stessa è perciò il luogo da cui guardare l’orizzonte, terra propria e polis che abita una regione, la popola e la coltiva costruendola come sua città. (D’Alfonso, 1998)[24]

Si tratta di termine polisemico, che può essere inteso secondo una prima accezione di derivazione estetica-visuale, cioè la capacità di costruzione della scena in rapporto alla dinamica percettiva e all’elaborazione semantica e culturale dei segni, e una seconda di derivazione geografica e naturalistica, cioè “ecologica” in senso contemporaneo[25], comprendente sia i fenomeni e processi evolutivi spontanei sia quelli di origine antropica.

La prima accezione del termine paesaggio è emblematicamente rappresentata nell’approccio romantico, la cui origine va ricercata nella tradizione seicentesca della “rappresentazione della natura”[26] e si poggia, secondo Naveh, sull’etimologia del termine tedesco Landschaft (da cui l’inglese Land-scape) che fa riferimento al momento della contemplazione della Land, terra[27]: infatti il verbo schauen in tedesco si riferisce semanticamente alla sfera del guardare, del contemplare, a differenza del verbo sehen, che indica il generico vedere.

Land-scape = Land-schaft

Land-schauen

Ci riferiamo allora al desiderio di un paesaggio naturale primordiale incontaminato. Scrive Ernesto D’Alfonso:

Il desiderio di una terra che riposi nel suo stato primordiale, integra, intatta, inesplorata, indifferente all’uomo e non segnata da lui. Persino da non segnare, (…) porta con sé il richiamo ad uno stato preumano. (D’Alfonso, 1998)[28]

Un senso di deriva inesorabile e nostalgica aleggia tuttavia nella contemplazione romantica, in considerazione della perdita definitiva del patrimonio naturale incontaminato:

La pretesa di una natura completamente intatta, selvaggia e sicura; di una natura salutare, monda di veleni, ridotta all’ideale minerale dell’acqua. L’alimento primario. Una natura senza nascita o morte e senza generazione. Celibe come una macchina. E senza corpo. (Lassus, 1998)[29]

Parallelamente a tale approccio estetico totalizzante una visione ecologica del paesaggio ne indica la consistenza nella composizione delle relazioni fra gli elementi attivi nel campo visivo: è un assemblaggio sapiente i cui elementi non sono necessariamente percepiti come separati[30]. Torniamo dunque, come del resto suggerisce Valerio Romani nel Piano paesistico per l’Alto Garda (1988:), all’interazione relazionale ecosistemica: In altri termini, il paesaggio è il territorio colto nella sua accezione più vasta e dinamica di ecosistema globale, che comprende l’uomo, le sue azioni modificatrici e le origini culturali di tali modificazioni. Tali ragioni dipendono in prima istanza dalla percezione culturale che la collettività umana ha del territorio medesimo. (Romani, 1988) [31],[32].

 

2. Verso il Landscape Urbanism

Nella tradizione anglosassone l’intreccio, particolarmente sentito, fra ecologia, paesaggio e disegno urbano è alla base di una cospicua tradizione di ricerca interdisciplinare. Una delle più recenti esperienze in tal senso coincide con le espressioni teoriche coscientemente articolate del Landscape Urbanism, diffusasi in ambito anglosassone nell’ultimo ventennio grazie soprattutto a James Corner e Charles Waldheim.  Di tale valida interpretazione del paesaggio urbano contemporaneo, è da trattenere prima di tutto l’arricchimento terminologico che ha significato per il disegno urbano. Grazie ad esso è possibile sperimentare letture e interpretazioni più appropriate dei caratteri dinamici di multitemporalità e di prossimità multipla dell’ecosistema urbano contemporaneo quale importante teatro di scambio di energie e relazioni molteplici.

Il termine Landscape Urbanism[33] emerge per la prima volta, quale branca della Landscape Ecology che si concentra sull’organizzazione delle attività umane nel paesaggio naturale (Shane, 2004)[34], nella mostra Landscape Urbanism (1997)[35] a cura di Charles Waldheim[36]. Essa si focalizza sullo studio delle interrelazioni fra le attività umane e il paesaggio naturale: gli spazi interstiziali, gli spazi infrastrutturali e l’ecologia vengono considerati come sfondo delle attività sociali programmate e non programmate sul suolo pubblico. Si tratta pertanto di un modello di performative urbanism (Corner 1997) o performative practice (Shane 2005), come sviluppo di un’analisi della città attenta alle esigenze di ricostituzione del delicato equilibrio ecologico fra il built e il unbuilt. Lo spinoso problema di come la densità urbana emerge dal paesaggio e di come le ecologie e tecnologie urbane definiscano gli spazi in cui accade l’attività sociale viene così affrontato secondo una logica bottom-up[37].

 

2.1 La percezione della scala territoriale

Il Landscape Urbanism intende superare i tradizionali confini urbani per comprendere ampiamente nelle risorse della metropoli tutti i processi naturali del suo territorio e inserendosi così nel solco della teoria lynchiana, nella sua enfasi sulla considerazione della città alla grande scala e del suo approccio ai temi globali, regionali ed ecologici (Shane 2004)[38]. D’altra parte tale sensibilità paesaggistica procede nella consapevolezza dalla tradizione ecologica di Design with Nature (MacHarg 1969), nonchè, di conseguenza, alla pianificazione olandese e tedesca che ebbe, grazie alla fotografia aerea, una diversa percezione della scala delle trasformazioni territoriali in atto.

Il Landscape Urbanism deriva perciò dal filone di ricerca propria ai pianificatori ecologici di area teutonica negli anni ‘30 e ‘40, condotta sulle prospettive aeree e in grado di delineare una visione globale e panottica della distribuzione degli insediamenti industriali nel territorio. Contribuiscono alla disciplina in questione anche gli studi americani di ecologia che descrivono i flussi di migrazione delle specie, e intendono il paesaggio in termini di una serie di patch antropiche di ordine agricolo e rurale attraverso cui avvengono necessariamente le migrazioni. In ognuna di queste unità si possono riconoscere specifiche dinamiche ecologiche su cui si distribuiscono, intervallate, le risorse a disposizione del mondo faunistico[39].

L’ampia scala del paesaggio diventa quindi il corpo della città territorio e insieme la scala più appropriata alla quale analizzare i fenomeni urbani:

Landscape urbanism describes a disciplinary realignment currently underway in which landscape replaces architecture as the basic building block of contemporary urbanism. For many, across a range of disciplines, landscape has become both the lens through which the contemporary city is represented and the medium through which is constructed. (Corner 2006)[40]

La prima consapevolezza che l’osservazione zenitale “dal vero” permette è la mancanza di un confine netto fra paesaggio rurale e urbano. Charles Waldheim nell’articolo Landscape as urbanism sostiene infatti la necessità di un superamento della concezione naïve dell’opposizione fra natura e città, ereditata da McHarg nell’ambito della progettazione ambientale a scala regionale[41], espresso nella distinta separazione fra parco e fitto tessuto urbano di Manhattan nel caso del Central Park di Olmstead. Si porta invece il paesaggio nella città, si studia l’espansione dell’urbano nei suoi dintorni.

Lo stesso James Corner, già in Taking measures across the American Landscape[42], si rese conto, grazie alla verifica della prospettiva aerea, della vocazione altamente produttiva del paesaggio americano agricolo, industriale ed estrattivo. La machine city e i natural ecological systems vengono messi sullo stesso piano[43].

Senza arrivare alla forte ed estrema affermazione di Bruce Mau per il quale everywhere is city[44] o a Bernard Tschumi per il quale everything is “urban”, even in the middle of the wilderness[45] osserviamo piuttosto come l’estensione della regione urbana metropolitana generi oggi una densità rada continua e un’omogeneità di tessuto disperso che trova sinonimi a scala globale, in cui è possibile riconoscere sia il perdurare di zoccoli duri di densità urbana sia paesaggi rurali contemporanei e persistenti capaci di determinare l’immagine strutturante del luogo.

La complessità del fatto urbano viene dunque affrontata con logiche ecologiche multidisciplinari, che superano le tradizionali e dogmatiche nozioni di gerarchia, confine e centro, nonchè il dualismo natura-cultura[46]. Non parliamo più, né in un senso né nell’altro, di una dicotomia sostanziale fra built e unbuilt: secondo l’approccio del metabolismo urbano consideriamo, infatti, in un unico ecosistema[47] l’accordo armonico di paesaggi[48], nel décalage da quello rurale a quello urbano. Lo sguardo al territorio è dunque quello di Lynch[49], che ne riconosce la qualità sensoriale come unione di fattori “naturali” e componenti sociali e storiche.

 

2.2 Caratteri del Landscape Urbanism

James Corner, nel saggio Terra Fluxus nel testo The landscape urbanism reader[50], redatto a cura di Waldheim, distingue quattro temi caratterizzanti il Landscape Urbanism:

 

1. Process over time

I processi di urbanizzazione sono molto più significativi per il formarsi delle relazioni urbane che le stesse forme spaziali fisiche dell’urbanistica. Superando la concezione modernista secondo cui nuove strutture fisiche determinano nuove forme di socializzazione, il Landscape Urbanism enfatizza piuttosto i molteplici processi di dinamicità urbana che mal si adattano a forme spaziali rigide e prefissate. L’ecologia rappresenta un’utile lente d’analisi di tali sviluppi fluidi ed organici non lineari poiché studia, in un vasto campo di osservazione, come i singoli elementi contribuiscano alla produzione di effetti incrementali o cumulativi che continuamente evolvono l’ambiente nel tempo. Pertanto condizioni apparentemente incoerenti o complesse possono rivelare una struttura del sistema altamente elaborata: in tal senso città e infrastrutture sono ecologiche quanto foreste e fiumi[51]. La promessa del Landscape Urbanism è proprio lo sviluppo di un’ecologia spazio-temporale che considera tutte le forze e gli agenti che lavorano nel campo urbano e li considera come un sistema a rete continuo di interrelazioni[52]. I diagrammi per la circolazione veicolare di Kahn (1953) suggeriscono tecniche contemporanee di rappresentazione di tali processi fluidi. Dalla definizione terra firma si passa perciò a terra fluxus.

Nel Landscape Urbanism persiste pertanto una matrice ecologica: nello studio del carattere di dinamicità relazionale del mondo conosciuto, infatti, l’ecologia diventa  infatti una lente attraverso cui analizzare e progettare i futuri sviluppi urbani.

In particolare notiamo come la complessità di interazione fra gli elementi entro gli ecosistemi non segua modelli lineari, ma piuttosto, come suggerisce la disciplina dell’ecologia, si svolga in campi d’azione in cui l’effetto incrementale e cumulativo di ciascun agente individuale determina l’evoluzione dell’intero ecosistema nel tempo e modifica costantemente i confini dell’ecofield. Di conseguenza situazioni apparentemente caotiche o organizzate secondo casualità mostrano, ad un’analisi più attenta, una struttura geometrica ordinata secondo regole definite.

Il progetto di Landscape Urbanism si contraddistingue inoltre per un’accurata gestione del progetto per fasi successive di trasformazione del territorio. Ne è chiaro esempio la strategia ideata per il Freshkills Park Landfill Competition (Staten Island 2001), dallo studio Field Operations dello stesso James Corner e da Stan Allen:

Many Landscape Urbanism projects, like Fresh Kills Park by Field Operations has a 30 year phasing plan. This is because of the time that remediation of brownfield sites takes and also the funding (economic conditions) that is available. Issues of change are also important as Landscape Urbanism projects are responsive and must anticipate change as well as responding to it. These changes are more evident in the natural landscape of colonization and succession however it can also be seen in the city and its relationship with the wider territory. (Wall, 2006)

In seguito ad un’approfondita analisi dei sistemi umani, naturali e tecnologici insistenti sull’area viene redatta una serie di mappe e diagrammi di attività sovrapposte organizzate poi in sezioni assonometriche nell’intenzione di mostrare il succedersi e il sovrapporsi di processi di attività nell’ambito della ricostruzione dell’equilibrio ecologico del sito (Shane, 2004)[53].

 

2. The staging of surfaces

phenomenon of the horizontal surface, the ground plane, the “field” of action. (Corner, 2006)[54]

La superfice orizzontale (surface) è intesa in primo luogo come campo[55] di azione dei processi urbani e perciò luogo privilegiato in cui osservare le relazioni dinamiche. Altrove infatti Corner parla di un performative urbanism[56]: sul ground plane si compie il dramma, la performance dei flussi di relazioni e interazioni dinamiche che comprendono in un unico sguardo territori, ecosistemi, network, infrastrutture.

Così ne parla Grahame Shane in Recombinat Urbanism:

The Landscape Urbanism movement also built on Lynch’s and Cedric Price’s concept of a “performative urbanism”. Designers such as James Corner of Field Operations plan the time dimension of the city landscape as a series of plant successions, often to remediate industrial brownfield or polluted sites (as in Corner Freshkills Park competition entry of 2003 for Staten Island, NY). Within such layered ecological landscapes, designers envision new patches of activity or “commons”, public spaces shared by urban actors. Such a space is used on temporary basis with the consent of other actors for specific events such as seasonal religious rituals, fairs, carnivals, and sporting or promotional events. Following Archigram projects from the 1960’s, designers provide the “event setting”, enabling events through support systems and effectively robotic, prosthetic urban devices that shelter and service the event in temporary structures. Over time, more permanent structures may emerge. (Shane, 2005)[57]

Il concetto di surface, o ground plane si riferisce dunque ad una superficie piana su cui avvengono gli eventi sociali. Secondo Shane appunto, essa si identifica con il commons della tradizione anglosassone, la cui traduzione in italiano risulta assai complessa. Sia Corner che Shane ne fanno largo uso per indicare l’ambiente dove per l’appunto si attuano e si organizzano i programmi degli attori sociali: da cui l’espressione staging the surface.

Commons, quale termine economico che nasce sulla problematica antica della recinzione dei campi, è definito dall’Oxford English Dictionary come resource held in common, in joint use or possession; to be held or enjoyed equally by a number of persons (to whom the resource is free). In most cases, the common is a resource to which anyone within the relevant community has a right without obtaining the permission of anyone else[58].

Esempi di commons sono le strade pubbliche, parchi e spiagge (recreational resources), testi di pubblico dominio (perchè antichi o perchè il loro brevetto è scaduto). Esiste tuttavia il problema della rivalità fra gli attori nell’utilizzo di un bene comune: The tragedy of the commons di Garrett Hardin[59] rende bene l’idea di tale dilemma.

L’immagine che nella nostra tradizione iconica si avvicina di più alla semantica di tale concetto è, nello spazio medievale, la piazza. Anche le sculture di Giacometti delineano quella superficie spessa, posta su un podio, in cui figure umane slanciate riempiono lo spazio intessendo una trama di relazioni previste o spontanee.

A livello giuridico la nostra civil law, a differenza appunto della common law anglosassone, non sancisce l’esistenza di spazi la cui proprietà appartiene di diritto a tutti: tali spazi appartengono, nel sentire comune, allo “Stato”, e quindi il senso di responsabilità civile nei confronti di queste risorse è spesso scarso, diversamente dalla sensibilità anglosassone avvezza a considerare una parco urbano come un bene di proprietà comune, cioè di ognuno.

Il Landscape Urbanism si serve dunque della consapevolezza sociale assimilata al concetto del commons per definire come surface l’infrastruttura urbana che permette lo spostamento di utenti e gruppi di interessi secondo traiettorie prestabilite di interazione.

This understanding of surface highlights the trajectories of shifting populations, demographics, and interest group upon the urban surface; traces of people provisionally stage a site in different ways at different times for various programmatic events, while connecting a variety of such events temporally around the larger territory. This attempts to create an environment that is not so much an object that has been “designed” as it is an ecology of various systems and elements that set in motion a diverse network of interaction. (Corner, 2006)[60]

Tale argomentazione teorica ha per noi un valore fondamentale: possiamo ritrovare in essa, infatti, ulteriore giustificazione della rivalutazione del ruolo dello sfondo. Nel Landscape Urbanism viene infatti attribuita la medesima importanza alle relazioni e al campo di azione – il field -, cioè lo spazio tra, dell’ecosistema urbano. Lo sfondo diventa cioè figura, finalmente parte attiva nei processi progettuali metabolici.

This understanding of surface highlights the trajectories of shifting populations, demographics, and interest group upon the urban surface; traces of people provisionally stage a site in different ways at different times for various programmatic events, while connecting a variety of such events temporally around the larger territory. This attempts to create an environment that is not so much an object that has been “designed” as it is an ecology of various systems and elements that set in motion a diverse network of interaction. (Corner, 2006)[61]

 

3. The operational and working method. An operative strategy

Il terzo punto distintivo del Landscape Urbanism è secondo James Corner il metodo operativo. Tale strategia richiede tecniche rappresentative ed operative che sposino dimensione spaziale e temporale lavorando attraverso mappe sinottiche redatte grazie a tecniche cinematiche e notazioni spaziali e digitali.

There is much more that the practice of Landscape Urbanism suggests a consideration of traditional conceptual, representational, and operative techniques. The possibilities of vast scale shifts across both time and space, working synoptic maps alongside the intimate recordings of local circumstance, comparing cinematic and choreographic techniques to spatial notation, entering the algebraic, digital space of the computer while messing around with paint, clay and ink, and engaging real estate developers and engineers alongside the highly specialized imaginers and poets of contemporary culture. (Corner, 2006)[62]

Oltre all’aerofotografia il Landscape Urbanism fa riferimento alle tecniche del computer mapping che hanno permesso poi l’affinamento del modello di performative practice, sviluppatosi poi compiutamente negli anni ‘90.[63]

4. The imaginary

Il LU è in prima e in ultima istanza un progetto immaginativo, un ispessimento speculativo del mondo delle possibilità; considera pertanto essenziale la relazione fra geografia e patrimonio immaginativo sociale nello studio delle relazioni di natura pubblica di memoria collettiva e desideri condivisi.

The collective imagination, informed and stimulated by experiences of the material world, must continue to be primary motivation of any creative endeavour.

(…)

Public spaces are firstly the containers of collective memory and desire, and secondly they are the places for geographic and social imagination to extend new relationships and sets of possibility.

(…)

It seems Landscape Urbanism is first and last an imaginative project, a speculative thickening of the world of possibilities. (Corner, 2006)[64]

Si tratta quindi della ricerca di un’immagine identitaria sensibile alla scala del tatto e della vista, e della restituzione del paesaggio come immagine in divenire.

Scrive del resto Antonella Contin:

E’ necessario, infatti, pensare al paesaggio anche nei termini di una comunicazione possibile, vale a dire di una informazione leggibile, cioè ordinata, facile da leggere, congruente e radicata in grado di costruire una immagine potente di questo territorio, che costituisce un’altra faccia del suo potenziale, più affettivo e meno pragmatico, ma ugualmente importante ai fini della determinazione di una sua identità e quindi di un sentimento di appartenenza della cittadinanza intera (abitanti e city-users). (Contin 2007)[65]

Il progetto dei West 8 per lo snodo infrastrutturale Eastern Scheldt Storm Surge Barrier in Olanda (Zeeland,1990)[66] lavora proprio sulla dimensione percettiva della visibilità, cioè l’imaginary. Comprende infatti sia la scala amplia della percezione veloce da una grande arteria di traffico nel disegno dell’illuminazione sia la scala minuta della sensibilità materica. I vasti depositi di sabbia sono stati trattati come plateaus, dalla geometria dichiaratamente artificiale in contrasto con quella naturale, in cui l’alternanza cromatica delle conchiglie ha effetti di attrazione selettiva sulla fauna locale[67].

The idea was that when you drive there, you are ‘launched’ by your momentum and then, suddenly, on a 10-meter level, you see this incredible panorama of the sea and understand what is happening: you are going through the estuary. (Geuze, 1990)

Anche il progetto Flowing Gardens di PlasmaStudio e Groundlab, presentato per il World Horticultural Expo del 2011 a Xi’an in Cina, è stato stilato secondo un approccio multidisciplinare che unisce la tecnologia dell’orticoltura all’architettura del paesaggio. Si tratta del progetto di spazi e strutture per il tempo libero, immerse in un parco a forma di estuario fluviale. I flussi naturali di circolazione dell’elemento acquatico, modificando continuamente i confini del parco, creano immagini di grande effetto influenzando la forma esperita dello spazio costruito. Viene così a crearsi una rete connettiva variabile. Una densificazione del suolo naturale permette così la percezione di una continuità di paesaggio.

Un altro esempio di strategia dell’immagine alla scala del disegno urbano è l’operazione di pre-paesaggio di Dominic Perroult per il progetto dell’ Unimetal Park a Caen (1995-97): si tratta infatti della sovrapposizione di una griglia geometrica (100 x 100 metri) sul terreno incolto di una vasta area dismessa di una ex acciaieria. Il parco viene dunque disegnato da pochi elementi: la griglia, un filare arboreo che marca il confine dell’area, e un grande spazio privo di costruzioni. La regolarità della griglia viene contrastata e arricchita dalla possibilità di varietà dei paesaggi diversi, biologici e agricoli, che essa stessa può ospitare. Il disegno del rurale in questo caso è pertanto dato “a priori”, e intende sfruttare le potenzialità di valore figurativo del rurale, in modo da far emergere le relazioni con il contesto relazionale e circostante. Nasce una nuova estetica del rurale volta a elaborare dei modelli rappresentativi autonomi attraverso cui lo sguardo, intriso di tali modelli, agisce indirettamente sul paesaggio (in visu) e restituisce la nozione di “nature artialisèe”, artificiata: L’ artificiazione è dunque la condizione di possibilità di ogni pratica e percezione paesistiche (Roger, 2002).

 

Aggiungiamo due temi che approfondiscono la poetica del Landscape Urbanism: Clare Lyster, nel saggio Landscapes of exchange: re-articulating site[68], parla infatti  di exchanging network system e di collisive site.

 

1. Exchanging network systems

Il paesaggio è un sistema di network di scambio infrastrutturale-tecnologico, sociale-culturale, economico e di informazione. La natura delle relazioni, influendo sulla conformazione materiale e di operazioni specifiche sul territorio, determina la morfologia e il modo di occupare il paesaggio dei nostri contesti urbani e suburbani[69].

Sono allora riconoscibili nuovi processi di interscambio, new process of exchange. Essi avvengono in conseguenza dei nuovi processi che smobilitano e rilocalizzano risorse operando attraverso e all’interno di una molteplicità di siti e di discipline: il paesaggio, della conformazione urbana, delle infrastrutture, dell’economia e dell’informazione sono infatti inseparabili in termini di influenza sull’organizzazione dello spazio pubblico. Tale mobilità, difficilmente rappresentabile mediante i tradizionali metodi di rappresentazione, sintetizza la sua operatività in una nuova articolazione di spazi pubblici. La plasticità dell’ecologia contemporanea di scambio deriva in particolare dalla relazione fra lo spazio pubblico e lo sviluppo dei rapporti commerciali. Da un rapporto oggetto/sito si passa infatti ad un’organizzazione di complessità più elevata che si crea attraverso siti molteplici. Da una singolarità ad una pluralità: da tale constatazione procede l’interpretazione territoriale dei nuovi processi di scambio[70].

Anche James Corner riprende il concetto di exchange network system nel testo Landscape Urbanism, a manual for the machinic landscape a cura di Mostafavi e Najle (2003).

Ogni elemento del sistema è connesso con tutti gli altri in rapporti di co-dipendenza e interattività in sistemi soft in evoluzione e sensibili ad ogni stimolo di cambiamento che permette di assorbire, trasformare e scambiare informazioni con ciò che sta intorno, e la cui robustezza e stabilità deriva dalla sua capacità di gestire processi dinamici di movimento differenziale[71].

Lo sguardo al territorio è pertanto nutrito da un interesse ecologico di sostenibilità ambientale non legato esclusivamente all’equilibrio fra energia prodotta e spesa, ma all’integrazione armonica nel tempo e alle diverse scale del paesaggio rurale e urbano.

L’approccio del Landscape Urbanism intende perciò sviluppare un’ecologia spazio-temporale che comprenda ogni forza ed elemento che agisce sul campo d’azione e li consideri come un continuo e complesso network di inter-relazioni[72].

Come sostiene Charles Waldheim, infatti, l’attenzione della ricerca contemporanea si sposta, più che sui temi puramente biologici, alla concettualizzazione finale del paesaggio, nel tentativo di comprendere la rilevanza teorica per cui siti, territori, ecosistemi, reti e infrastrutture si organizzano in vasti campi urbani. In particolare, i temi dell’organizzazione e disposizione, dell’interazione dinamica, delle tecniche e dell’ecologia indicano l’emergere di una disciplina del disegno urbano che sia più appropriata alla realtà complessa della città contemporanea e offra un’alternativa ai rigidi meccanismi dell’usuale pianificazione[73].

Gli elementi in gioco vengono considerati dunque con un approccio di tipo sistemico in uno sguardo unitario, studiandone la complessa rete di interdipendenze, influenze e meccanismi di controllo reciproci:

Paradoxical and complex, Landscape Urbanism involves understanding the full mix of ingredients that comprise a rich urban ecology. (Mostafavi, Najl, 2003)[74]

 

2. Collisive site

Le multiple network si articolano secondo una molteplicità di spazi pubblici che Clare Lyster chiama collisive site. In Collisive sites and Piggyback Programming[75] ne spiega la natura. Le reti di scambio che dipendono da una dislocazione di merci a larga scala operano in un ampio campo di territorio colonizzato in cui si rende possibile la massima mobilitazione e amplificazione degli scambi fra le diverse reti. I punti energici delle reti di alta velocità, come ad esempio gli hub, gli aeroporti, le stazioni ferroviarie o di interscambio così come i luoghi connessi di attività intermodale possono essere considerati collisive site naturali. Si può anche parlare di collisive territory la cui disposizione non è casuale, ma procede per accumulazione successiva nel tempo nella coincidenza di contesti pre-esistenti che presentano caratteristiche simpatetiche per dotazione infrastrutturale, conformazione geografica, presenza di risorse naturali e programma di attività.

Si può dunque notare come, in consegenza a tale sovrapposizione e disposizione, avvenga una riconfigurazione e nuova magnetizzazione della topografia esistente, piuttosto che la creazione di una nuova. I processi di scambio si moltiplicano e si accumulano attraverso le molteplici reti che occupano i collisive site, riferendosi ad una scala più ampia di trasferimenti e interrelazioni definita in uno specifico momento di tempo[76].

L’organizzazione dei collisive territories avviene dunque per intersezioni multiple di reti, che sono sorgente e insieme condizione necessaria per il loro funzionamento, tanto come punti di interscambio quanto come punti di collisione[77]. In essi infatti si verificano talvolta, come nel caso della base temporanea per rifugiati di Sangatte, occupazioni impreviste del territorio quali reazioni ad un determinato contesto conflittuale.

E’ possibile allora gestire l’accumulazione dei collisive sites nello sviluppo del disegno urbano? L’attenzione ai punti di collisione già presenti sul territorio, in conseguenza  della traduzione nello spazio di attività formali previste e nella provocazione di quelle informali impreviste, dovrebbe guidare la strategia progettuale[78].

I collisive sites magnetizzano dunque il territorio a scala locale e globale:

Schipol Airport in Amsterdam exemplifies how increased programming options that accommodate both local inhabitants as well as passengers invigorates the airport not only as a site for global transportation exchange but also for other forms of local commercial and cultural exchange that both relocates as well as reinterprets the occupation of public space. Collisive territories of exchange therefore not only erode traditional design approaches with respect to public real estate but have become instrumental in a new articulation of local and national landscapes, bankrupting traditional typological organizations of place and becoming the new magnets of economics, social, and cultural occupation. (Lyster, 2006)[79]

Un caso di studio esemplificativo di collisive site, oltre che di strategia di re-interpretazione di un manufatto urbano obsoleto, è il progetto di Field Operation, Diller Scofidio + Renfro per la High Line di New York (2009). Frutto di un processo di concertazione fra associazioni di cittadini, amministrazione e progettisti, la High Line si presenta come uno spazio pubblico, un parco urbano elevato[80], dal dettaglio studiato, che conserva, nell’aspetto e nelle specie vegetali scelte, tracce del suo passato di infrastruttura abbandonata. Una strategia di agri-tecture – part agriculture, part architecture – che costruisce il paesaggio urbano con l’immagine naturale. Il dialogo fra la città sottostante, ancora abbastanza vicina da poterne percepire odori e rumori, e la città sovrastante genera inedite connessioni visuali ed esperienze percettive. Uno spazio di mezzo, infrastruttura verde espressione dell’abitabilità dei flussi lenti, i cui attacchi al suolo, dove spesso la struttura è intenzionalmente messa a nudo per renderla visibile, sono occasione di organizzazione di spazi pubblici più complessi. La percezione dunque dei livelli di organizzazione della città, dal più elevato a quello sotterraneo, insieme al recupero di suolo urbano per spazi pubblici di qualità, regno del formale e dell’informale si esprimono in un sistema di connettività della scala locale.

 

3. Per un’interpretazione critica del Landscape Urbanism

La traduzione interpretativa dei testi originali ha dato alito in ambito dipartimentale a discussioni su argomenti e concetti interessante tema dei collisive site, e al già citato fenomeno drammatico del commons, emergono altre questioni interessanti se si considera il tentativo di delimitazione dell’exchange network system, in particolare nel gradiente di variazione fra ecosistemi – riferendoci all’ecofield e all’ecotone di Almo Farina -, così come se si considera il fattore suolo nella sua valenza morfologica di stratigrafia, ovvero il tema del thickening of the ground.

Innanzi tutto però è possibile illustrare schematicamente, attraverso i diagrammi allegati in seguito, redatti sotto la guida di Ernesto D’Alfonso, le posizioni coincidenti oppure opposte rispetto ai punti teorici salienti.

Il primo diagramma colloca il tema dei collisive site nella teoria generale del Metabolismo: è possibile infatti assimilare tali punti di collisione di forze alle sedi di trasformazione metabolica dell’impianto urbano. Qui il “vecchio” conosce l’obsolescenza fisica e simbolica di cui tratta ampliamente la Choay[81]. Nei collisive site si potrà dunque osservare e operare attraverso le citate operazioni di manutenzione, sostituzione e trasformazione.

Il secondo diagramma intende inquadrare il field of action nell’area concettuale delimitata da impianto e biografia urbana. Il metabolismo si può dunque definire come un exchange network system la cui superficie, surface, è il campo dell’azione che si sintetizza nel passaggio storicamente definibile fra uno stato originale A e uno stato successivo B della biografia urbana. Action è allora dunque proprio identificabile nell’azione che provoca il cambiamento nella ricerca di un nuovo equilibrio fra i collisive site.

Il terzo diagramma vuole infine definire i punti di contatto e di divergenza fra Landscape Ecology e Landscape Urbanism. Al centro sono stati posti gli elementi comuni alle due discipline e discendenti all’ecologia: la presenza di un exchange network system che si svolge in un field of action determinato dall’organizzazione spaziale-funzionale di collisive site. La Landscape Ecology, sviluppatasi a partire dal 1939, tende a considerare l’azione umana come negativa e a plasmare le sue proposte secondo i canoni dell’ecologia. Il Landscape Urbanism, che si distingue a partire dal 1997, intende invece l’azione umana come selettivamente positiva; la direzione in cui si muove la sua proposta è quello di uno sviluppo urbano consapevole.

 

3.1 Collisive site

L’interpretazione del termine collisive site, inteso quale campo di scontro anche violento di compatibilità contrastanti ci spinge da un lato a verificare il rapporto con il termine landscape unit (Naveh, 1990) e dall’altro, riprendendo la dicotomia antitetica della tradizione ecologica, che contrappone Uomo e Natura, come spazio espressivo del difficile rapporto fra l’antropico e il non antropico. Nel famoso video prodotto da Al Gore, An inconvenient truth, si parla del resto di collision between our civilization and the earth, come conseguenza del cattivo uso di risorse energetiche e materiali.

In ogni collisive site, pertanto, si manifesta il costante tentativo di identificare un punto di equilibrio che sia il rafforzamento delle ragioni della città in modo da non precludere, ma da sostenere le ragioni della non-città. L’incompatibilità ecologica con l’elemento antropico che anela alla reversibilità dell’impronta umana sul territorio, troverebbe quindi un’accezione identitaria comune riconoscibile anche e soprattutto nella costruzione dell’immagine di un paesaggio ibrido. La diversa semiologia che distingue il mondo antropico da quello “naturale”, infatti, imporrebbe metodologie di intervento distinte, soprattutto nel caso dei paesaggi periurbani in cui l’alta vulnerabilità di entrambi gli elementi suggerisce estrema circospezione. Nei collisive site oggi affiorano pertanto problematiche di ridefinizione dell’equilibrio ecologico di un paesaggio in cui la natura, un tempo sapientemente e rispettosamente addomesticata, oggi in gran parte vive in uno stato di abbandono. Lembi di densità urbana consolidata premono sul morbido di un territorio aperto i cui vincoli urbanistici rappresentano un ostacolo all’espansione.

Negli esperimenti progettuali condotti nel caso di Cadice, affrontato come tema del Seminario Internazionale dal titolo The rehabilitation of urban edges and the sustainability of the identity[82], la strategia è proceduta in funzione della riscoperta dell’identità del suggestivo paesaggio delle saline, nella riabilitazione dell’infrastruttura minuta di molinos de marea e casas salineras[83], nella riproposizione e potenziamento dell’interessante varietà di visuali sul territorio.

Un altro esempio virtuoso di trasformazione di una dimensione lesiva della naturalità del territorio come quella legata all’industria pesante, è il noto processo di conversione dell’Emsher Park portato avanti dall’IBA di Berlino nel bacino della Ruhr fra il 1989 e il 1999[84],[85]. Gravi questioni ecologiche e sociali, dovute al declino dell’industria pesante a partire dagli anni ’80, avevano infatti minato il territorio[86]. Diversi progetti locali, organizzati secondo linee guida a scala regionale, vennero lanciati per un miglioramento della qualità dello spazio nel tentativo di preservare l’identità locale il cui valore risiedeva  nell’eredità industriale. Lavorando sull’immagine di landmark che molti relitti delle fabbriche, come ciminiere, gru e strutture metalliche, potevano offrire, si decise in termini di una trasformazione funzionale dell’impianto esistente. Una narrazione per stanze ripropone perciò la modalità organizzativa tipica degli spazi industriali in un percorso di leisure e parco urbano che offre accostamenti inediti tra funzioni urbane e suburbane, materiali vegetali morbidi e architetture industriali dure.

 

3.2 Field of action – ecofield

La nozione di campo, per come la intende Almo Farina[87], risulta inoltre utile nel tentativo di tradurre in italiano il termine field of action, usato da molta letteratura anglosassone fra cui quella relativa al Landscape Urbanism. Insieme all’accezione puramente fisica del termine, per cui un “campo magnetico” è dato dall’azione vicendevole dei magneti, ci riferiamo dunque a quella ecologica di “campo di esistenza geografico spaziale”, dai confini relativi, in cui le relazioni funzionali-cognitive prendono forma.

Il termine ecofield (Farina, 2004)[88] esprime infatti la stratificazione dinamica di livelli formali-funzionali di un campo di indagine secondo la complessità tipica degli ecosistemi. Si lega alla definizione di Umwelt (letteralmente “il mondo –Welt– circostante –um-”) di Jacob Von Uexkull, quale intorno soggettivo di ogni specie che, secondo le capacità d’uso specifiche degli organi di senso, interpreta e utilizza il mondo che la circonda.

Almo Farina se ne serve per proporre un modello interpretativo della complessità del paesaggio specifico per ogni specie e funzione. Per ogni funzione e per ogni singola specie si può cioè riconoscere una determinata configurazione spaziale. L’ecofield è allora il codice ecologico attraverso il quale una funzione vitale si rapporta con il contesto ambientale: in esso organismi e processi agiscono secondo “conoscenza”, cioè corrispondenza tra funzioni e struttura, o casualità, ovvero “ignoranza”, senza specifico riconoscimento e relativo adattamento.

L’interazione tra tutti glie co-field di tutti gli organismi crea ciò che chiamiamo sistema ecologico. (…)L’ecofield è quindi un paradigma che spiega una parte della complessità ambientale e non rappresenta un meccanismo, bensì uno schema che enfatizza l’informazione posseduta da un sistema (Farina, 2000, Farina & Belgrano 2004, Farina et al. 2004).

Il passaggio da polo a campo è inoltre un altro tema correlato degno di nota: degna di nota è a questo proposito l’esperienza francese di Arep[89], la cui strategia fa in modo che ogni stazione ferroviaria, ovvero nodo infrastrutturale, coinvolga nella sua trasformazione tutto il territorio circostante. Si passa pertanto dalla considerazione del pôle de changes al quartier de changes[90], secondo una pianificazione stratificata che coinvolge i molteplici soggetti sociali, pubblici e privati, presenti nei dintorni ed opera in contesti sensibili di processi evolutivi urbani. Ne risulta una migliore fruizione del territorio attraverso un’offerta differenziata di mobilità interscambiabile, come tentativo di armonizzazione interscalare fra le reti infrastrutturali di diverso rango. L’idea di cittadinanza virtuale, percepibile sensibilmente nel contesto della stazione ferroviaria, si lega pertanto al contesto locale, sottolineandone la sua individualità. Il salto di scala viene gestito in modo armonico. Integrando inoltre i tessuti preesistenti, attuano le commutazioni di scala necessarie per il  funzionamento urbano dello spazio dei flussi. Anzi promuovono nello stesso tempo, a livello del contesto locale, il senso di appartenenza a campi di grandezza più ampi; ciò avviene in virtù dell’equivalenza temporale d’accesso con punti vicini, più lontani e lontanissimi, cioè di vicinato, di città e di regione.

Il passaggio da pôle de changes al quartier de changes esprime allora in modo interessante il dialogo fra punto della rete e campo, collisive site e collisive territory o campo di azione, dimostrandone il rapporto virtuoso di coinvolgimento di contesti urbani spesso degenerati.

 

3.3 Landscape unit

Il tentativo di una definizione spaziale dell’unità di territorio rappresentativa di una determinata varietà di elementi in gioco porta al concetto di landscape unit. Naveh e Lieberman, riprendendo quello di “porzione di natura” –chunck of nature (Schultz, 1967), lo definiscono come un’unità spazio temporale concreta in un paesaggio dato provvista di definizione ecologica, energetica, topologica e geografica

Si tratta quindi di un elemento spaziale uniforme, definibile e mappabile, formato da varie parti di biosfera, del substrato della pedosfera e dell’ambiente fisico della geosfera. (Naveh, Lieberman, 1990)[91]. L’unità di paesaggio può essere pertanto assimilata ad una porzione volumetrica di territorio, vista nelle sue componenti spazio temporali dinamiche; un’entità tridimensionale provvista della sufficiente varietà di componenti da poter essere assunta a unità paradigmatica di un paesaggio definito.

Naveh articola la definizione di landscape unit con i due termini ecotope, a spatially well-defined and, in its internal interaction system, uniform landscape unit (Schmithhuessen, 1959), e tessera, la small landscape element tridimensionale (Jenny 1958)[92] definita da Foreman come la più piccola unità omogenea visibile alla scala spaziale del paesaggio, ovvero l’unità minima del mosaico ecologico[93]. Sia ecotope che tessera indicano una porzione di paesaggio delimitata da confini arbitrari (Naveh, Lieberman, 1990)[94].

La transizione adeguata e marcata tra le unità di paesaggio sarà il progetto che dovrà produrre mappe mentali dello spazio, considerato come luogo del movimento potenziale e dell’azione[95].

Luogo privilegiato per l’osservazione dello sviluppo della biografia urbana, l’unità di paesaggio perde la genericità delle definizioni ecologiche in virtù di una peculiarità inclusiva del minimo di variabili necessarie a definire l’ecosistema di riferimento.

Landscape unit è pertanto porzione significativa del territorio, in cui l’aspetto tridimensionale si esprime nella complessità della stratificazione del suolo.

 

3.4 The thickening of the ground

La nostra riflessione sul suolo come elemento morfologico procede da una distinzione di una triplice accezione che sottende il termine in questione. L’architettura si rapporta con il suolo, infatti, secondo modalità differenti che istituiscono una dialettica fra le ragioni dell’artificio e le specificità del sito. Da un radicamento al supporto fisico, ad un consapevole distacco da esso fino alla sua manipolazione come elemento morfologico, il progetto d’architettura vive nella efficacia rappresentativa dello strumento della sezione l’espressione del suo rapporto con tale fattore ambientale.

La prima concezione geologica che distinguiamo intende dunque il suolo secondo una visione strettamente litografica, cioè come una stratificazione di livelli litologici definiti e indagabili nelle loro qualità chimiche e fisiche. Le considerazioni e le problematiche relative ad un interesse ecologico si legano saldamente alla volontà di salvaguardia di un patrimonio energetico rovinato da un uso sconsiderato delle tecniche; preoccupazioni per pratiche sconsiderate, quali ad esempio l’eccessiva combustione, minano le qualità di coesione interna del terreno ostacolandone il drenaggio naturale. La conoscenza geologica del suolo è certamente di importanza fondamentale per la solidità della costruzione, ma l’estremismo insito nell’esclusività di tale concezione pone ancora una volta la sfera naturale dell’ecosistema in contrapposizione a quella antropica, confidando in un ridimensionamento sostanziale delle attività trasformatrici del territorio come espressione della sempre maggiore consapevolezza della rarità delle risorse disponibili.

Un’altra accezione di tipo archeologico ricerca invece nel sottosuolo tracce di trascorse attività antropiche e biologiche; tale approccio, tendenzialmente tassonomico, che si volge alla descrizione di scenari trascorsi, risulta talvolta incompatibile con le tendenze di sviluppo urbano. Il valore sacro di terra madre, di solea generatrice, rimanda ad un rapporto privilegiato fra l’azione antropica venerante e rispettosa, che si esprime nel gesto simbolico ancorché fisico del tracciamento della fondazione della città[96], cioé il radicamento al suolo, e l’entità primordiale immobile, che dall’artificio umano si distingue ontologicamente in modo netto e assoluto.

Il terzo tipo di lettura del suolo intende la stratificazione terrestre in senso tecnologico, cioè come campo di valida sperimentazione dell’azione trasformatrice tridimensionale dell’uomo.

Il suolo ha perso il suo statuto di fondazione, il suo valore originario di inviolabilità, ed è stato sostituito, in senso storico e funzionale, da strati sovrapposti. In conseguenza di ciò, decade il primato dell’antropometria e si apre la strada alla definizione dell’ordine dello spazio non antropometrico, che introduce il problema della nuova scala. (Contin, 2003)[97]

L’immobile e l’immutabile, il carattere di forza primigenia della terra[98], viene inteso pertanto come deposito operabile, materia manipolabile: le tracce che su di esso vengono incise non sono gesti simbolici, ma strutturanti, elementi assorbiti dal suolo stesso nel quale sono state fisicamente segnati[99].

Tale concezione si lega all’idea di fondazione urbana tipica della prospettiva settecentesca legata alla Rivoluzione Industriale: il suolo non è la base per la stratificazione di forme urbane ma, secondo Muratori, assume valore strutturale, cioè indicazione intrinseca fisico metrica di una determinazione fisica di una certa figura/misura, che sta all’origine di ogni fenomeno urbano.[100]

Ci riferiamo pertanto ad un piano di riferimento architettonico, ad un layer che sente la correlazione sopra-sotto e dentro-fuori, legato in modo indissolubile e consueto agli spazi e alle dimensioni dell’abitare;  è terreno addomesticato e abitato, oltre che suolo artificiale e segnato, piano architettonico e urbano.

La sezione diventa dunque lo strumento privilegiato d’indagine di un progetto che scava e modella in maniera tettonica, offrendo nuove opportunità spaziali: earthwork e roofwork (Frampton, 1995)[101] ,[102]

restituiscono la complessa orografia dei tessuti esistenti. I nodi urbani della net city, nella loro struttura a layer multipla, si esprimono, infatti, in sezioni complesse e stratificate, in cui spesso e volentieri le infrastrutture ad alta velocità vengono inserite in profondità ragguardevoli.

Il progetto di Eisenman per la Ciudad de la Cultura a Santiago de Compostela (2007) esplora il tema della storia per sedimentazione ed accumulo che viene reinterpretato qui secondo le tracce di memoria, cioè assenza della presenza, e antimemoria, cioè immanenza, o presenza dell’assenza. Una storia dunque iscritta nel suolo, incisa e segnata, che definisce un nuovo rapporto tra suolo ed edificio: non più figura/sfondo, ma figura/figura. Gli edifici vengono incisi nella materia della topografia: attraverso la sezione e i solchi aperti si può intravedere la complessità e finezza dell’operazione nella logica interstiziale della conformazione degli spazi interni. La copertura degli edifici assume dunque, per osmosi, lo spessore del suolo con linee dalla forma fluida: il suolo diventa perciò un elemento morfologico.

E’ evidente che conseguentemente a tali riflessioni lo strumento della sezione viene rafforzato nel suo valore di generazione progettuale. In virtù del saldo legame che si instaura fra entità architettonica e elemento tellurico, inoltre, la sezione architettonica diventa sezione territoriale dello spazio antropogeografico, declinata a seconda della peculiarità storica e geografica della conformazione topografica[103].

La concezione di suolo che in questa sede si tenta di discutere, dunque, è quella di solea, secondo cui il suolo viene considerato piano di riferimento su cui si pone il passo e si costruiscono gli spazi dell’abitare.

Architettonicamente diventa il piano di riferimento, luogo artefatto e alterato nel suo statuto originale e appartenente al mondo delle relazioni misurabili e commensurabili. (Contin, 2003)[104]

Il suolo diventa pertanto il luogo delle descrizioni, delle tracce degli eventi generati nelle loro variazioni, entità astratta dal carattere omogeneo, dispositivo architettonico che diventa unità di misura rispetto alle successive manomissioni.

Un approccio ecologico comprensivo, che include nel fatto urbano sia l’elemento architettonico costruito e quello naturale, considera inoltre il suolo nella accezione di campo caratterizzato da una densità complessa e molteplice di fattori interagenti. Arricchendo il concetto di surface, dunque, che appartiene più all’idea di un piano di riferimento, si delinea una dimensione funzionale – non funzionalista – del progetto.

Il progetto Deep Ground di Groundlab (2010), nell’area del delta del Pearl River a nord-est di Shenzen,  realizza il concetto di suolo spesso proponendo una superficie che acquisisce spessore e complessità spaziale man mano che i diversi programmi e usi del suolo cominciano a combinarsi. Tale riflessione diventa evidente in alcune aree specifiche del piano e sfida la premessa tradizionale dell’edificio come contrapposto al paesaggio per realizzare sorprendenti alte densità con spazi urbani aperti rilevanti.

L’idea di rivitalizzare l’area fluviale prevede un rinnovo dell’infrastruttura verde di biodiversità, connettività del tessuto urbano e degli spazi pubblici. Alcuni insediamenti esistenti sono stati identificati per essere conservati, con un linguaggio in apparente contrasto rispetto allo sviluppo di parti nuove disegnate con la modellazione parametrica che struttura rapporti studiati di densità e tipologia in un disegno fluido e continuo.

 

5. Conclusioni

La rilettura italiana in chiave contestuale del Landscape Urbanism muove dall’intento di re-interpretare il fenomeno della città diffusa il cui bodyspace, ossia il corpo denso e campo attivo è organizzato secondo una varietà di paesaggi, dal massimo al minimo grado di urbano. Da qui proviene una rivalutazione del suolo come elemento denso e stratificato di conformazione urbana.

Attraverso lo studio del Landscape Urbanism è stato possibile, in particolare, comprendere il carattere dinamico di multi-temporalità e di prossimità multipla tipici della metropoli contemporanea grazie ad un apporto teorico e pratico.

La sfida della comprensione dei termini nel loro contesto, nella considerazione dell’inter-disciplinarietà semantica che distingue alcuni di essi, nella fattispecie quelli di chiara matrice ecologica, rende necessario un loro inquadramento storico e teorico per giustificarne una corretta applicazione nella disciplina del disegno urbano.  La decisione di non tradurre in italiano parole e concetti di altre lingue è dovuta alla constatazione dell’impoverimento semantico conseguente ad una eventuale trasposizione in italiano e alla constatazione che, nel panorama internazionale delle ricerche universitarie correnti, esiste una base comune di riferimenti teorici che rende la comunicazione immediata.


[1] Per comprendere questi fenomeni e il loro rapporto con i diversi territori che li hanno generati, il metodo di studio che appare oggi scientificamente essenziale è quello ecologico, non solo in relazione alla storia degli insediamenti umani, ma anche al nostro presente e ai nostri diversificati futuri. (Vercelloni, V., Ecologia degli insediamenti umani, Jaka Book, Milano 1992 p.12). Il termine ecologia, la cui etimologia unisce il greco οἶκος e λογία (studio di) fu coniato per la prima volta dal biologo tedesco Ernst Haeckel nel 1866, che ne definì il significato come scienza che comprende le relazioni fra l’organismo e il suo ambiente. Ambiente (dal latino ambiens – ambientis, participio presente del verbo ambire, circondare) fu usato nel 1538 in francese (ambiant: qui entoure de tous côtés, constitue le milieu où on se trouve) e in italiano da Galileo Galilei come termine scientifico. (Vercelloni, V., Ecologia degli insediamenti umani, Jaka Book, Milano 1992 p.13)

[2] Capra f., The web of life: a new scientific understanding of living systems, Anchor, New York, 1996.

[3] Lynch K., Good City Form, MIT Press, Cambridge MA and London 1984

[4] Lynch K., Good City Form, Cambridge, MA: MIT Press, 1981.

[5] Jacobs J., The death and life of great american cities, New York: Random House and Vintage Books, 1961.

[6] Cities happen to be problems in organized complexity, like the life sciences. They present situations in which half a dozen of several dozen of quantities are all varying simultaneously and in subtly interconnected ways…the variables are many, but they are not helter skelter; they are inter-related into an organic whole. (Jacobs J., The Death and Life of Great American Cities, New York: Random House and Vintage Books, 1961)

[7] Lynch K., Good city form. Cambridge, MA: MIT Press, 1981

[8] Batty M., Cities and Complexity: Understanding Cities with Cellular Automata, Agent-Based Models, and Fractals, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 2005

[9] L’intero organismo è dinamico, ma si tratta di un dinamismo omeostatico. Aggiustamenti interni riportano l’organismo allo stato di equilibrio ogniqualvolta sia stato disturbato dall’intervento di una forza esterna. In tal modo l’organismo si auto-regolamenta e si auto-organizza: ripara se stesso, produce nuovi individui, e passa attraverso un ciclo di nascita, crescita, maturità e morte. (Lynch K., Good City Form trad.it., Melai R., Progettare la città, la qualità della forma urbana, Etaslibri, Milano, 1990 p.91)

[10] Il primo principio è che ciascuna comunità deve costituire una distinta unità sociale e spaziale, il più possibile autonoma. Al suo interno, comunque, i luoghi  e le persone dovrebbero essere strettamente interdipendenti. (…)Una comunità in buona salute è eterogenea al suo interno. Ciò vuol dire un mix di persone e luoghi diversi che ha raggiunto proporzioni ottimali, un “equilibrio”. Le diverse componenti interagiscono costantemente tra di loro, partecipando assieme al funzionamento complessivo della comunità. Ma tali componenti, essendo diverse, giuocano ruoli diversi. Esse non sono paritarie né standardizzate, ma, appunto, diverse e si sostengono l’un l’altra facendo riferimento alla propria specificità. (Lynch K., ibidem, p.92-93)

[11] Questo sistema di relazioni può essere considerato come un insieme, e possiede certi aspetti caratteristici di fluttuazione e di sviluppo, di diversità di specie, di intercomunicazione, di ciclo degli elementi nutritivi, e di passaggio di energia. Il concetto di ecosistema riesce a dominare sistemi molto complessi, ricchi di cambiamenti, di elementi organici o inorganici, e con una grande profusione di attori e di forme. (Lynch K., ibidem, p. 94)

[12] Lynch K., ibidem, p.117

[13] L’animale-uomo ristruttura coscientemente i materiali di cui dispone e controlla i flussi di energia. Alle caratteristiche familiari di un ecosistema – e cioè, diversità, interdipendenza, contesto, storia, informazione, stabilità dinamica e processo ciclico – dobbiamo allora aggiungere altri aspetti come: valori, cultura, consapevolezza, cambiamento progressivo (o regressivo), invenzione, capacità di apprendimento e di ore e azione. Le immagini, i valori, la creazione di informazioni e il loro flusso giocano un ruolo importante. Possono avvenire cambiamenti repentini, rivoluzioni e catastrofi e si possono intraprendere nuovi cammini.(Lynch, ibidem)

[14] Naveh Z., Lieberman A.S., ibidem e p.74: By human ecosystem we certainly do not mean a virgin, climax, primeval wilderness, which man has utilized, exploited, raped or ruined and which would return to its balance of nature if only man would “preserve” it. This is the archaic view of those scientists who are pegged at the Eighth (Ecosystem) level, and have hit their intellectual ceiling. On the contrary, the idea of the Total Human Ecosystem Ecosphere (THE) is that man and his total environment form one single whole in nature that can be, should be and will be studied in its totality.

[15] Naveh Z., Lieberman A.S., ibidem, p.82

[16] For Lynch, the city is represented as people engaged in activities. Always, these are subjected to modifications in response to changing circumstances in the locality, the wider urban area, or realms beyond. Often this modification in behaviour involves modificationto the use of character of building and open spaces. Sometimes it involves demolition and rebuild. The cumulative effect of an area of a city supporting these modifications of behaviour and built form is that it and the broader city must be considered to be dynamic in nature; not static or in a state of equilibrium. This is contrary to the way most designers think about the city and, for Lynch, it had important consequences for how one should approach designing them. Robustness, or the capacity to sustain change, was a critical issue for him. (Simmonds R., Lynch, the complexity theorist, Joint Centre for Urban Design, Oxford Brooks University)

[17]Metabolismo urbano è l’ effetto dell’azione dell’opera umana sulla topografia locale che nel corso del tempo ha prodotto lo stato odierno attivando nel presente il funzionamento dei territorio, cioè, ciò che è stato conservato o inventato. (Contin A. intervento al Laboratorio Misura e Scala della Città Contemporanea. Grandi Contenitori e Paesaggi, Siviglia, 13/03/2009)

[18]Contin A. intervento al Laboratorio Misura e Scala della Città Contemporanea. Grandi Contenitori e Paesaggi, Siviglia, 13/03/2009

[19] Tutto quanto è avvenuto e avviene nella città a determinare la crescita, le trasformazioni effetto dell’opera umana che lo progetta e produce, fa evolvere il “corpo” urbano nel tempo; lo coinvolge in un processo di “ricambio”, o meglio in un fenomeno di metabolismo primario che nelle stesse costruzioni/demolizioni/ricostruzioni e crescite “segna” il tempo storico della città, i suoi evi, la sua Biografia urbana. (D’Alfonso E., Campagne abitate/Paesaggi d’arte, in in Contin A., Sbacchi M. (a cura di) Canicattì, campagne abitate Paesaggi d’arte, Alinea Firenze 2007 p.80)

[20] Luoghi e alternanze di dislocazioni pedonali e veicolari in vaste aree urbane, praticate secondo oscillazioni pendolari, si distinguono, infatti, per un’equivalenza temporale (D’Alfonso 2010)

[21] Una città consiste nei suoi effetti totali che si estendono al di là dei suoi confini immediati (Simmel, 1903)

[22] La città si trasforma in un dispositivo complesso di punti focali di particolare intensità o carattere che determina un tessuto complesso, senza confini arbitrari. L’insieme dato dal tessuto urbano e dagli spazi aperti è interpretato come una rete, dotata essa stessa di una propria forma, con un grado di interconnessione proprio. (Shane D.G., Recombinant Urbanism: Conceptual Modeling in Architecture, Urban Design and City Theory, Wiley, 2005, trad. it. a cura di Chiara Donisi in Donisi C.M., Composizione urbana contestuale alla scala della net city,(tesi di Dottorato), rel. D’Alfonso E., Politecnico di Milano, Milano 2008 p. 105)

[23]  La parola ecologia (voce dotta composta dalle parole greche oikos e logos, discorso) è un neologismo del 1866 (œcologia, Ökologie) dovuto a Ernst Haeckel, biologo evoluzionista, che definisce la scienza che tratta i rapporti tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui vivono e si sviluppano.

Ambiente (dal latino ambiens – ambientis, participio presente del verbo ambire, circondare) fu usato nel 1538 in francese (ambiant: qui entoure de tous côtés, constitue le milieu où on se trouve) e in italiano da Galileo Galilei come termine scientifico. (Vercelloni, V., Ecologia degli insediamenti umani, Jaka Book, Milano 1992 p.13)

[24] D’Alfonso E., Architettura e paesaggi, in Arc 3 Maggio 1998

[25] Romani V., Il paesaggio dell’Alto Garda bresciano, Studio per un Piano paesistico, Grafo Edizioni, Brescia 1988, p. 35

[26] Romani V., ibidem, p. 35.

[27] Naveh Z., Lieberman A.S., ibidem, p.5.

[28] D’Alfonso E., Architettura e paesaggi, in Arc 3 Maggio 1998.

[29] Lassus B., Architettura e paesaggi, in Arc 3 Maggio 1998.

[30] Lassus B., The landscape approach, Penn University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1998

[31] Romani V., Il paesaggio dell’Alto Garda bresciano, Studio per un Piano paesistico, Grafo Edizioni, Brescia 1988, p. 39

[32] Se il paesaggio è un insieme correlato di sistemi, soprattutto viventi, in continua mutazione, il metodo, a partire dalla fase iniziale di indagine, dovrà necessariamente cogliere: gli aspetti relazionali dei vari elementi, i legami funzionali che connettono fenomeni e processi, nonchè la loro gerarchia, rispetto all’importanza e al tempo, la dinamica dell’insieme, la continuità fra mutazioni passate, in atto e future, l’unitarietà inscindibile del paesaggio, al di là di qualsiasi scansione disciplinare o settoriale.(Romani V., ibidem, p. 62)

[33]  Shane D. G. , On Landscape, The emergence of Landscape Urbanism, Harvard Design Magazine, Fall 2003/Winter 2004 n.19

[34] a branch of landscape ecology, concentrating on the organization of human activities in the natural landscape.  (Shane D. G. , ibidem, 2004).

[35] Charles Waldheim, turned this landscape ecology approach towards the city in a Landscape Urbanism exhibit of 1997, the year he established a new landscape urbanism option for undergraduates at the University of Illinois at Chicago. (Shane D. G. , ibidem, 2004)

[36] cui partecipano, fra gli altri, Adriaan Geuze/West 8, Michael Van Valkenburgh, Patrick Schumacher, Alex Wall, e diversi architetti paesaggisti di Barcellona come Enric Batlle e Joan Roig

[37] Landscape urbanists are just beginning to battle with the thorny issue of how dense urban forms emerge from landscape and how urban ecologies support performance spaces. (Shane D. G. , ibidem, 2004)

[38] Lynch’s emphasis on large scale thinking has continued in Landscape Ecology and in the emerging Landscape Urbanism movement, which looks broadly at the organization of industrial society and its use of natural resources as constituting an urban landscape far beyond the scale of the traditionally bounded European city. (…) The Landscape Urbanism movement embodies many of lynch’s global, regional and ecological concerns. (Shane D.G., Recombinant Urbanism: Conceptual Modeling in Architecture, Urban Design and City Theory, Wiley, Chichester, Great Britain, 2005 p. 69-70).

[39] Landscape Urbanists drawn on the research of German ecological planners from the 1930s and 1940s with their aerial perspectives, creating a global, panoptic vision of industrial and settlement pattern in the landscape (…) . They also drew on American ecological research into the migration patterns of species, seeing the landscape in terms of a series of largely manmade “patches” of agricultural and rural order through which species must flow to migrate. Each “patch” has its own ecology and dynamics, forming a platform of shelter and resources spaced at intervals. There is an obvious analogy with the flows and ghettos of the American city of immigrants and the splintering post-modern global patchwork of highly differentiated urban enclaves connected by highspeed communications and transportation routes. (Shane D.G., ibidem, p. 69-70).

[40] Corner J., Terra fluxus, in Waldheim C., The landscape urbanism reader, Architectural Press, 2006 p.11

[41]Waldheim C., The landscape urbanism reader, Architectural Press, 2006, p.38.

[42]Corner J., MacLean A.S., Taking Measures Across the American Landscape , New Haven: Yale University Press, 2000

[43] Shane D.G., Recombinant Urbanism: Conceptual Modeling in Architecture, Urban Design and City Theory, Wiley, Chichester, Great Britain, 2005

[44] Everywhere is city: we still conceive of cities as discrete objects, separate from their surroundings. That’s no longer true. There is no exterior to the global city that connects and sustains us all (Mau B., Massive Change, Phaidon 2004)

[45] Airstrips, information centres, public performance spaces, internet and worldwide web access all point to a redefinition of received ideas about parks, nature and recreation in a 21st century setting where everything is “urban”, even in the middle of the wilderness. (Tschumi B., Project statement for Downsview Park Competition, 2001)

[46] Perhaps most importantly, it marks a productive attitude towards indeterminacy, open-endedness, intermixing a cross-disciplinarity. (…) Landscape Urbanism views the emergent metropolis as a thick, living mat of accumulated patches and layered systems, with no singular authority or control. (Corner J., Landscape Urbanism, in Mostafavi M., Najle C., Landscape Urbanism a manual for the machinic landscape, AA press, London 2003)

[47] Naveh Z., Lieberman A.S., Landscape Ecology. Theory and Application, Student Editing. Sprinter-Verlag, New York 1990.

[48]Cozza C., Paradigmi per il progetto della città contemporanea, (tesi si Dottorato), rel. D’Alfonso E., Politecnico di Milano, Milano 2008.

[49] Lynch K., Managing the Sense of a Region, Mit Press, Cambridge, 1976; tr. it. A cura di Maria Parodi Il senso del territorio, Il Saggiatore, Milano, 1981.

[50] Waldheim C., The landscape urbanism reader, Architectural Press, 2006.

[51] In conceptualizing a more organic, fluid urbanism, ecology itself becomes an extremely useful lens through which to analyze and project alternative urban futures. The lessons of ecology have aimed to show how all life on the planet is deeply bound into dynamic relationships. Moreover, the complexity of interaction between elements within ecological systems is such that linear, mechanistic model prove to be markedly inadequate to describe them. Rather, the discipline of ecology suggests that individual agents acting across a broad field of operation produce incremental and cumulative effects that continually evolve the shape of environment over time. (…) Consequently, apparently incoherent or complex conditions that one might initially mistake as random or chaotic can, in fact, be shown to be highly structured entities that comprise a particular set of geometrical and special orders. In this sense, cities and infrastructures are just as “ecological” as forest and rivers. (Corner J., Terra fluxus, in Waldheim C., The landscape urbanism reader, Architectural Press, 2006, p.29).

[52] The promise of Landscape Urbanism is the development of a space-time ecology that treats all forces and agents working in the urban field and considers them as continuous networks of inter-relationships. (Corner J., ibidem, p.30).

[53] Shane D. G. , On Landscape, The emergence of Landscape Urbanism, Harvard Design Magazine, Fall 2003/Winter 2004 n.19 p.4

[54] Corner J., ibidem, p.30.

[55] Il concetto di “campo” in italiano, come traduzione di staging (horizontal) surface, fa riferimento alla fisica: il campo magnetico è dato dalle forze agenti nello spazio fra due o più magneti. Del resto anche la Lyster parla dei collisive sites come new magnets. Probabilmente quindi “campo” è un termine che rende bene l’idea di una superficie in cui accadono previste e impreviste relazioni fra gli attori.

L’altro riferimento è l’ecofield di Almo Farina (cfr. cap.1). Egli infatti parla di “campo di esistenza geografico spaziale”, ad indicare il teatro spaziale-sensoriale di funzioni secondo cui si muove una specie.

[56]Corner’s project in the Landscape Urbanism exhibition illustrates his concept of a “performative” urbanism based on preparing the setting for programmed and unprogrammed activities on land owned in common. (Shane D. G. , On Landscape, The emergence of Landscape Urbanism, Harvard Design Magazine, Fall 2003/Winter 2004 n.19, p. 4).

[57] Shane D.G., Recombinant Urbanism: Conceptual Modeling in Architecture, Urban Design and City Theory, Wiley, Chichester, Great Britain, 2005, p. 69-70.

[58] citato da Lessig L., The future of ideas, the fate of the commons in a connected world, Vintage Books, New York, 2002, p.19.

[59] citato da Lessig L., ibidem, p.20.

[60] Corner J., ibidem, p.31.

[61] Corner J., ibidem, p.29.

[62]Corner J., ibidem, p.32.

[63] Franz Oswald and Peter Baccini at the Eidgenossische Technische Hochschule (ETH, Swiss Federal Institute of Technology) in Zurich, Switzerland, have arrived at a similar methodology involving the city as a layered structure in the landscape (Netstadt: Designing the Urban, 2003). (Shane D.G., Recombinant Urbanism: Conceptual Modeling in Architecture, Urban Design and City Theory, Wiley, Chichester, Great Britain, 2005, p. 69-70).

[64] Corner J., ibidem, p.32

[65]Contin A., Una visione per Canicattì cura del suolo e network di processi, in Contin A., Sbacchi M. (a cura di) Canicattì, campagne abitate Paesaggi d’arte, Alinea Firenze 2007 p.52.

[66] Kuper M., Nine+One: Ten Young Dutch Architectural Offices, NAi Publishers, Rotterdam 1997 e Lootsma B., Adriaan Geuze, West 8 Landscape Architecture, 010 Publishers, Rotterdam 1995

[67] Each plateau was covered in beds of seashells. Geuze insisted on two types of shells: mussels and cockles, which are black and white. “We knew that when you cover such a plateau-a flatland covered with shells-a bird colony will appear.” Beds of shells are the ideal resting places for coastal birds at high tide. And since the shells were waste materials from nearby fishing industries, they were obtained at no cost. As they were designing these shell patterns, the perception of the motorist became very important. “When driving over or through those plateaus, you are facing a rhythm of black and white shells and black and white birds,” Geuze explains. “In my view, this project is a beautiful example of the relation of technology-the citizen speeding in a car-with the ecology of the Delta.” These plateaus offer the driver not only a perspective of living graphic patterns, but open panoramas across the sea. Beds of shells are the ideal rest place for coastal birds at high water. They choose the field that gives the best camouflage, white birds choosing white shells and black birds choosing black shells. (Geuze A., Black and White, intervento al Doors of Perception 3 Conference, 1995)

[68] anche questo saggio è contenuto nel testo Waldheim C., The landscape urbanism reader, Architectural Press, 2006..

[69]These exchange networks (Roman, medieval, industrial, and modern) and their corresponding forces of mobilization (power, geographic intelligence, technology, and production) are responsible for the material and operational specificity of territories that have in turn determined the morphology and occupation of our current urban and exurban landscapes. (Lyster C., Landscapes of exchange: re-articulating site, in  Waldheim C., The landscape urbanism reader, Architectural Press, 2006 p.221).

[70] Since the new processes that mobilize and deploy exchange operate through, between and over multiple sites and disciplines – to the point that urbanism, landscape, infrastructure, economics, and information are now inseparable in terms of their influence on the organization of the public realm – they cannot be solely defined through or against traditional design conventions, resulting in a difficulty, therefore, in synthesizing their operation into a new articulation of public site(s). The plasticity of contemporary ecology of exchange has resulted in the relationship between public space and commerce progressing from a site/object relationship to a more organizational one that exists “across” or between multiple sites of occupation. It is in acknowledging this shift from “at” (singular) to “across” (plural) site(s), that our uncertainty with the interpretation and territorial articulation of these new processes will be alleviated. (Lyster C., ibidem, p.223).

[71]Corner J., Landscape Urbanism, in Mostafavi M., Najle C., Landscape Urbanism a manual for the machinic landscape, AA press, London 2003 p.63.

[72] Corner J., ibidem, p. 30.

[73]Today, however, it is not merely an interest in vegetation, earthworks, and site-planning that we see espoused in various schools of design and planning, but also a deep concern with landscape’s conceptual scope, with its capacity to theorize sites, territories, ecosystems, networks, and infrastructures, and to organize large urban fields. In particular, thematics of organization, dynamic interaction, ecology, and technique point to a looser, emergent urbanism, more akin to the real complexity of cities and offering an alternative to the rigid mechanism of central planning. Waldheim C., The landscape urbanism reader, Architectural Press, 2006, p.23

[74] Mostafavi M., Najle C., Landscape Urbanism a manual for the machinic landscape, AA press, London 2003 p.58

[75] Lyster C., ibidem, p. 227

[76] Exchange networks that depend on simultaneous large-scale deployment over a wide field of play colonized territory that enables maximum mobilization as well as an amplification of exchange across other networks. (…) High-speed infrastructural networks such as distribution hubs, airports, rail yards, highway interchanges, and inter-modal facilities are natural collisive sites. Collisive territories tend not to occur accidentally but instead accumulate upon each other over time and are commonly coincident to pre-existing sympathetic conditions such as infrastructure, geographical features, natural resources, and program; that is, they reconfigure and magnetize existing topography rather than develop it from scratch. Exchange is thus multiplied and accumulated across multiple networks that occupy these collisive sites, suggesting a larger scale of transfer or inter-exchange at a specific moment in time. Lyster C., ibidem, p. 227

[77] Contemporary exchange networks instead have the tendency to procure a more phased articulation across territory to accommodate the multiple intersections that are now indispensable to their operational success, as much to serve their own internal points of interchange as well as those with, between, and across other points of collision. Lyster C., ibidem, p. 230-231

[78] The temporary refugee base in Sangatte exemplifies an unintended occupation of territory that emerges as a reaction to a particular collisive context. (…) From a planning point of view, the question therefore arises whether there is a way to predict and orchestrate the progressive accumulation of pre-existing collisive sites in advance of the emergence of unintended and reactionary occupation, so that the less intentional spatial operations – which are often the most spatially provocative, as illustrated above, can in some way be more appropriately staged. (Lyster C., ibidem, p. 229)

[79] Lyster C., ibidem, p. 230-231

[80] un progetto di riferimento in questo caso è quello della The Promenade Plantée di Parigi.

[81]  Choay F., Le patrimoine en question anthologie pour un combat, lezione al Politecnico di Milano Dottorato Dopau, Milano, giugno 2009.

[82] il Seminario Internazionale dal titolo The rehabilitation of urban edges and the sustainability of the identity si è svolto a Cadice dal 3 al 10 settembre 2009. La sfida proposta agli studenti, suddivisi in quattro gruppi di nazionalità mista, è stata quella di produrre idee progettuali nella reazione a caldo dei tempi ristretti del Workshop e di restituirle graficamente in una tavola in formato A0 corredata da una presentazione digitale. Oltre al Politecnico di Milano erano presenti rappresentanti della Kingston University di Londra, della Escuela tecnica superior de Arquitectura di Siviglia e della Bilgi University di Istanbul, con il patrocinio dell’Ordine degli Architetti di Cadice e della Consejeria de Arquitectura y Vivienda della Junta de Andalucia

[83]  con il termine molinos de marea si intendono i mulini costruiti per sfruttare l’energia derivante dallo scambio di acque durante le diverse maree; casas salineras sono invece le tipologie insediative agrarie di controllo e gestione di porzioni definite di territorio.

[84] http://www.youtube.com/watch?v=3KFPoYPdBx4&feature=player_embedded, interview with Michael SchwarzeRodrian, former director of the masterplan for Emscher Landschaftspark 2010, in Essen, Germany.

[85] Couch C., Fraser C., Percy S., Urban Regeneration in Europe, Blackwell Science 2003.

[86] A train ride from Dortmund to Gelsenkirchen rattles through what seems like one enormous tract of developed land: a dense fabric of coal mines and steel works, factories blending into housing and small commercial centers, criss-crossed by autobahns, railways and sewage channels; and though it all the Ruhr and Emscher rivers run to join the Rhine at the huge sprawl of harbors at Duisburg. (Ingerid Helsing Almaas, Regenerating the Ruhr – IBA Emscher Park project for the regeneration of Germany’s Ruhr region, Architectural Review, The, Feb, 1999)

[87] Farina, A., Verso una scienza del paesaggio, Alberto Perdisa Editore, Bologna 2004.

[88] Il concetto di ecofield viene applicato nel presente studio in considerazione del potere catalitico-rigenerativo di determinate operazioni metaboliche sul tessuto urbano non riferito, come vorrebbe l’origine del termine, a speci animali o vegetali, ma ad ingredienti inorganici e tecnologici del paesaggio.

[89] società privata a capitale pubblico a cui è stata affidata la realizzazione della maggior parte della stazioni del Tgv in area mediterranea.

[90] Moutard L., Lezione tenuta al Politecnico di Milano, 23 giugno 2005.

 

[91] Naveh Z., Lieberman A.S., ibidem, p.78

[92] The entire landscape can be visualized as being composed of such small landscape elements. This picture is comparable to the elaborate mosaic designs on the wall of Byzantine churches, which are made up by little cubes, dice or prisms called tesseras. We shall use the same term, tessera, for a small landscape element.  Jenny, 1958 in Naveh Z., Lieberman A.S., ibidem, p.79.

[93] Forman R., Godron M., Landscape Ecology, Wiley, New York Chichester, 1986 p. 13

[94] Naveh Z., Lieberman A.S., ibidem, p.80

[95] Ogni tessera del paesaggio può esser guardata come una comunità nella quale la produttività, la diversità e la somiglianza sono determinate come un ecosistema nel quale studiare il ciclo di energia/materiale; ma soprattutto, inscritta in un processo inventivo con l’uomo che la abita e quindi, unità ben definita spazialmente, di un paesaggio che è unità spazio-tempo ecologica, topografica e geografica, composta da elementi che continuamente ri-creano tra loro nuove formule di relazione e sempre pensata in una relazione dinamica con le altre tessere del mosaico del paesaggio. Ciò che va indagato, allora, sono le regole di innesto tra i diversi livelli. (Contin A., Sbacchi M. (a cura di) Canicattì, campagne abitate Paesaggi d’arte, Alinea Firenze 2007, p.48)

[96]  La fase più importante di tutto il rito di fondazione era il tracciamento del sulcus primigenius, eseguito dal fondatore con un aratro di bronzo (…) in modo che la terra smossa cadesse all’interno del recinto (…). A questo punto la nuova città era pienamente costituita: gli abitanti avevano preso possesso del luogo, scacciandone gli spiriti ostili che vi erano insediati, avevano imposto alla città un nome e invocato la divinità protettrice, avevano acceso il focolare cittadino e delimitato i confini. (Rykwert, L’idea di città, Adelphi, Milano 2002 p.63)

[97]  Contin A., Il partito dell’immagine, C.U.S.L. Milano, 2003 p. 59.

[98]  Per gli antichi il processo di fondazione e il sistema di nozioni ad esso legato era il rito in base al quale gli abitanti sentivano un determinato territorio come loro patria. Inauguratio, conregio, conspicio e contemplatio erano i momenti della prassi romana per fondare la città. Le tracce, quindi, valevano in quanto segno di una relazione con una intenzione di origine, che si assumeva come valore paradigmatico. Oggi la desacralizzazione del suolo si è compiuta ed è venuto meno il valore simbolico della terra e della sua violazione, che fondando, insediando lì una determinata forma, unisce l’uomo ad un particolare territorio. E ancora, si è persa l’idea che una istituzione, collocando un architetto al posto di un legislatore, possa legare una città, attraverso il rito della sua fondazione, alla cosa pubblica e al sacro. (Contin A., ibidem, p. 1-2).

[99] Contin A., ibidem, p. 65.

[100] Contin A., ibidem, p. 66.

[101] Frampton K., Studies in Tectonic Culture: The Poetics of Construction in Nineteenth and Twentieth Century Architecture, (editor John Cava), MIT Press, Boston 1995.

[102]  Il termine earthwork indica specificamente la lavorazione del sottosulo operata in coincidenza della megaform (Frampton, 1999), ossia del nodo urbano a scala superiore della net city: corrisponde infatti al modo di gestire i dislivelli e gli agganci fra le reti tecnologiche e le quote dell’intorno. Il roofwork intende invece la trattazione del problema della copertura come soluzione della questione dell’illuminazione, dal top-lightning zenitale al core-lightning di piazze e patii interni, capaci di integrare il side-lightning e di garantire un comfort ambientale adeguato. (Frampton K., Megaform as Urban Landscape, The University of Michigan Taubman College of Architecture and Urban Planning, Kenneth Frampton, New York 1999)

[103] Noi sappiamo bene che il paesaggio, non solo quello antropogeografico, è sempre storicamente costruito in quanto decisione di destinazione o di residuo, a meno del puro deserto: siamo in grado di riconoscere e di distinguere il paesaggio toscano da quello svevo anche se sono simili dal punto di vista della geografia fisica perchè la storia dell’attività umana su quel supporto geografico lo ha parzialmente e coerentemente costruito come paesaggio. (Gregotti V., Il territorio dell’architettura, Feltrinelli, Milano, 2008, p.64).

[104] Contin A., Il partito dell’immagine, C.U.S.L. Milano, 2003, p. 95

 


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