Il Memoriale italiano di Auschwitz celebra tutti gli italiani caduti nei campi di concentramento nazisti ed è un monumento di valore artistico eccezionale.

Il Memoriale, voluto dall’ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati), è stato realizzato infatti grazie alla collaborazione di alcuni importanti nomi della cultura italiana del Novecento. Il progetto architettonico, del 1979 (il monumento fu inaugurato nel 1980) è dello studio BBPR, in particolare di Lodovico Belgiojoso, internato a Mauthausen, con cui collaborarono Peressutti e Alberico Belgiojoso, e inserisce nel primo piano del Blocco 21 di Auschwitz I una spirale ad elica all’interno della quale il visitatore cammina come in un tunnel, rivestita all’interno con una tela composta da 23 strisce lunghe circa 60 metri dipinte da Pupino Samonà, seguendo la traccia di un testo scritto da Primo Levi. Dalla passerella lignea che conduce il visitatore nel tunnel sale la musica di Luigi Nono, Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz. Nelo Risi contribuì alla realizzazione con la sua competenza di regista (1).

Ha un valore artistico eccezionale innanzitutto per l’idea della spirale metallica, che in una parte del padiglione si divide in due per la disposizione degli ambienti, in un’altra costituisce un pezzo unico, che ha un fascino straordinario. A cui contribuiscono naturalmente le enormi tele di Pupino Samonà, che usò soprattutto la tecnica dell’aerografo, una delle sue preferite, per costituire una narrazione fatta soprattutto con i colori del giallo e del rosso, e in parte del nero, con dei grandi cerchi che ricordano il sole, che dovrebbe avere un significato positivo, su uno sfondo bianco-grigio. Ma la particolarità di queste grandi tele è che esse non sono soltanto una composizione astratta, ma questa è costantemente “commentata” e contrappuntata da figure reali, che si riferiscono alla recente storia d’Italia e alla vita nel campo.

Si riconoscono infatti i volti di Antonio Gramsci e di Giacomo Matteotti, il simbolo del PCI, prime pagine de “L’ordine nuovo” e de “L’Unità”; e insieme gruppi di soldati tedeschi e di deportati, gruppi di borghesi e tanto altro. La musica di Nono non si sente più, e tutto il monumento avrebbe bisogno di un complesso restauro.

Il Dottorato di Progettazione Architettonica con sede a Palermo, soprattutto per opera di Sandro Scarrocchia e dell’Accademia di Brera, consociata al Dottorato, ha intrapreso da anni un intenso lavoro basato da una parte sull’impegno dei dottorandi interessati, dall’altro sulla promozione costante di iniziative per la conservazione del monumento nel luogo per il quale è stato progettato.

Una dottoranda, esperta in restauro dei tessuti, ha lavorato sulle tele di Samonà, un altro ha studiato un progetto di rimessa in funzione del materiale non più in uso e ha lavorato in generale su quello che a Brera hanno chiamato il “Progetto Glossa”, volto a esplicitare nel modo più chiaro gli intenti dei progettisti.

Abbiamo organizzato vari petizioni e convegni, tra cui l’ultimo a Cracovia, con l’intento di andare il giorno dopo ad Auschwitz. Io, che non potevo andare l’indomani, sono andato di pomeriggio, e sono stato l’ultimo a vedere il monumento, perché gli altri partecipanti, il giorno previsto, hanno trovato il padiglione chiuso per ordine della direzione del campo. Abbiamo ottenuto significativi risultati sul piano delle adesioni, ma, malgrado tutto questo, pare che il monumento stia per essere trasportato a Milano, non si sa dove né quando, perché su questo argomento è impossibile sapere nulla. Il governo polacco e la direzione del Museo di Auschwitz vogliono rendere omogeneo il padiglione italiano agli altri, che presentano varie testimonianze della Shoah (ma per alcuni c’è il sospetto che le tele abbiano troppi riferimenti al comunismo).

Si tratta di una brutta storia, in cui il nostro impegno di Dottorato, volto ormai da molti anni al restauro del moderno, ha perso una significativa occasione per riuscire a ottenere un risultato concreto.

 

 

 

Nota:

(1)

Riportiamo da Wikipedia alcuni dei passaggi fondamentali della storia e delle alterne vicende del monumento:

“Fin dall’inizio degli anni Settanta, l’Associazione Nazionale Ex-Deportati (ANED) aveva avviato una riflessione circa la necessità di un memoriale, sollecitando lo studio di architettura milanese BBPR per la sua progettazione e animato una capillare raccolta di fondi necessari alla sua realizzazione. Il 24 aprile 1971 durante una riunione del Comité International d’Auschwitz, Emilio Foa, rappresentante italiano nel Comité e membro dell’ANED di Roma, aveva comunicato l’assenso ricevuto dal Ministero dell’Arte e della Cultura polacco al “progetto di allestire un’esposizione nazionale italiana ad Auschwitz” e nel febbraio del 1972, la questione del memoriale è posta nell’agenda delle cose da fare. Nel 1975 è presentato un primo progetto dello studio BBPR e nell’estate 1978 viene creato un “comitato operativo”. Tale comitato deve impegnarsi nella raccolta di nuovi contributi e occuparsi della “realizzazione visiva, documentaria e politica” del memoriale. Composto da Gianfranco Maris, Dario Segre, Bruno Vasari, Lodovico Belgiojoso, Emilio Foa, Teo Ducci e Primo Levi, il comitato si riunisce per la prima volta il 7 ottobre presso la sede dell’Aned di Milano. In questa riunione sono discusse “le linee generali delle tematiche che, attraverso la Sezione italiana, s’intende proporre all’attenzione dei visitatori” e Primo Levi è incaricato di “redigere un testo-base sul quale proseguire le discussioni”. Il 13 novembre del 1978, in una seconda riunione del comitato presso la sede dell’Aned di Torino, il testo di Levi viene discusso: il comitato si riconosce nelle parole di Levi, che diventano la voce della deportazione italiana ad Auschwitz. Inviato immediatamente a Auschwitz, il testo di Levi viene trasmesso a Lodovico Belgiojoso e a Nelo Risi, il quale è stato nel frattempo sollecitato per curare la regia del memoriale. La riunione del comitato nello studio BBPR il 24 gennaio 1979 segna l’avvio dell’ultima fase di realizzazione del progetto. In generale, si decide definitivamente che “il criterio del memorial italiano non sarà un duplicato delle tante mostre della deportazione, ma un luogo di raccoglimento e di ricordo.” L’illustrazione della striscia è affidata a un unico artista: Pupino Samonà.
 Nell’estate del 1979 tutto è pronto e l’Aned provvede al trasferimento ad Auschwitz non solo dell’opera, ma anche degli operai incaricati del suo effettivo montaggio. I lavori si protraggono per tutto il mese di agosto, con alcuni ultimi ritocchi nel mese di ottobre. Per finire, viene sollecitato Luigi Nono che nel marzo del 1980 concede il suo accordo all’utilizzo permanente del suo nastro Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz. Il 3 aprile 1980 l’Aned tiene una conferenza stampa di presentazione del progetto suscitando una certa eco sui giornali, il 13 aprile il memoriale è inaugurato con una solenne cerimonia e il 24 maggio viene trasmessa sulla Rai Testimonianze del terrore: dentro la spirale, filmato girato da Massimo Sani e Paolo Gazzarra in occasione dell’inaugurazione.

Il cantiere Blocco 21

Oggi, a trent’anni dalla sua inaugurazione, il memoriale versa in stato d’abbandono ed è stato oggetto di pesanti critiche e di un’azione legislativa che, all’inizio del 2008, ha messo in discussione la sua stessa esistenza. L’Aned si è mossa per difendere sul piano giuridico la sua opera, mentre l’Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (ISREC Bergamo) ha coinvolto la Scuola di Restauro dell’Accademia di Brera e i sindacati edili di CGIL, CISL, UIL (Lazio, Lombardia, Nazionale) per un’azione di sensibilizzazione in collaborazione con l’Aned: è stato lanciato un manifesto per la salvaguardia del memoriale e organizzato il Cantiere Blocco 21, laboratorio di studio e conservazione, che nel settembre si trasferisce ad Auschwitz e, grazie al lavoro di 32 allievi della Scuola di Restauro di Brera, compie i rilievi e spazza via almeno vent’anni di polvere. Il lavoro del Cantiere porta all’allestimento di una mostra itinerante (Blocco 21) e all’elaborazione di un progetto di conservazione e integrazione del memoriale (il Progetto Glossa) che è approvato dall’Aned riunita nel suo XIV Congresso e presentato alle autorità italiane. Benché il manifesto raccolga firme di importanti studiosi, italiani e stranieri, tuttavia il Cantiere non riesce a smuovere l’attenzione collettiva e non sono noti i criteri che muovono oggi le scelte delle autorità italiane rispetto a un’opera che è di proprietà dell’Aned, ma la cui eredità culturale è dell’intera nazione”.

 

 

 

Museologia e luogo di memoria:

il caso del Memoriale italiano nel Museo di Auschwitz-Birkenau

Sandro Scarrocchia (Accademia di Brera – Dottorato di Palermo e sedi consorziate)

 

Il Memorial in onore degli italiani caduti nei campi di sterminio nazisti, iniziato nei primi anni Settanta e realizzato nel 1980 dall’Aned, simbolo in Auschwitz della memoria italiana della deportazione e dello sterminio, è stato chiuso dalla direzione del Museo il 31 luglio 2011.

Benché l’opera rappresenti una testimonianza unica e originale e sia frutto della collaborazione di alcuni grandi nomi della cultura italiana (Primo Levi, scrittore e sopravvissuto di Auschwitz, Lodovico Belgiojoso, architetto e sopravvissuto di Mauthausen, Pupino Samonà, pittore, Luigi Nono, musicista, Nelo Risi, poeta e regista), il Memoriale è diventato un monumento conflittuale. La dichiarazione con la quale la Direzione del Museo di Auschwitz-Birkenau ne ha decretato la chiusura, in cui viene declassato a opera d’arte priva di qualsivoglia valore didattico-pedagogico, cozza brutalmente con la Mozione approvata dal Consiglio Superiore del Mibac del 23 marzo 2012, che ne ribadisce l’alto valore di testimonianza diretta e sottolinea il profondo insegnamento insito nella scelta espositiva allora compiuta.

La Mozione del CS risponde alla richiesta di Dichiarazione di interesse culturale avanzata al Ministro dei Beni Culturali dall’Accademia di Brera e dal Dottorato in progettazione architettonica “Restauro del Moderno” delle Facoltà di architettura di Palermo e sedi consorziate di Napoli “Federico II”, Reggio Calabria, Parma, in occasione della Giornata della Memoria 2011, appoggiata ufficialmente dal Consiglio Nazionale degli Architetti e da ben tre manifesti/appelli sottoscritti da Università, istituzioni e personalità della cultura italiana e internazionali.

Si tratta di un primo positivo risultato di quattro anni di ininterrotta e intensa battaglia per la difesa e conservazione integrale e in situ del Memoriale, di cui danno conto quattro tesi dottorali in corso (due presso l’Accademia Jan Matejko di Cracovia e due presso il Dottorato di Palermo) e una ricca bibliografia prodotta, che a sua volta rappresenta un caso eccezionale e un contributo alla discussione pubblica.

Emergono le seguenti problematiche: il rapporto tra l’esperienza dei Testimoni, autori e committente del memoriale, con quella delle generazioni successive; la necessità di rispettare il monumento-documento, di conservarlo integralmente, ma anche di innovarlo con le necessarie integrazioni didattico-pedagogiche che rendano conto del mutato contesto della fruizione e dei progressi della ricerca storica; il conflitto tra esigenze espositive del Museo di Auschwitz-Birkenau ed esigenze di rispetto della integrità di Auschwitz (e di Birkenau) come luogo di memoria (sito Unesco), dunque tra museo e archivio.

 

Nove domande dal Memoriale italiano di Auschwitz

Poiché il Memoriale italiano incrocia più vicende storiche, sviluppi nazionali e internazionali di enorme rilevanza politica, culturale e sociale, anche simbolica, e fa parte integrante di Auschwitz, della sua costituzione materiale e della sua ricezione passata e contemporanea, soltanto partendo da un interrogarsi aperto, senza pregiudizi e senza scopi revisionistici, si può sperare di riaffermarne e ricostruirne il magistero, ora misconosciuto e messo esplicitamente in dubbio dalla Direzione dell’ex campo di sterminio. Come invocato da Levi: noi non possiamo considerarci estranei!

 

1. Auschwitz è rappresentabile ?

Il Memoriale è lo sforzo eroico di dare rappresentabilità al non rappresentabile, secondo Adorno, Bruno Zevi e Matteo Cavalleri. Per questo merita rispetto: per lo sforzo di dare rappresentabilità ad un’esperienza, quella concentrazionaria, che ha costituito una “crisi ultima della rappresentazione” (ad Auschwitz si è verificata una deprivazione estetica di qualsiasi dimensione di senso: “Il morire era onnipresente, la morte si sottraeva”, scrive Jean Améry). Esattamente come, ma giocoforza diversamente da, Peter Eisenman all’Olokaust Mahnmal di Berlino, che non a caso scorpora didattica ed esperienza, archivio e monumento rieglianamente inteso come performance che sempre si rinnova nella fruizione. Primo Levi, nell’Epigrafe del Memoriale: “Visitatore tu non sei estraneo”.

 

2. Corrisponde alle linee seguite dalle altre esposizioni nazionali?

Risposta di Lodovico Begiojoso: “No”. Il Memoriale è Testimonianza diretta, espressa in forma originale per volere dei testimoni. E perigliosa! L’esperienza diretta del campo, secondo lo stesso Belgiojoso, se per un verso ha facilitato l’elaborazione del Memoriale, dall’altro l’ha resa più complessa, perché ha imposto che l’oggetto esperienziale soggettivo passasse attraverso un travaglio stilistico, in grado di trasformarlo in un risultato “sintetico” (sono sempre parole del grande architetto), in grado di parlare ad Altri: quanto siamo lontani dalla retorica odierna della testimonianza come atto immediatamente apofantico!

Ideato e realizzato contestualmente alla Dichiarazione di Auschwitz sito Unesco (1979) ne fa parte integrante.

Se Auschwitz non è soltanto museo ma archivio e luogo, archivio perché luogo, questo documento va conservato nella sua integrità, adottando la stessa cura che si adotta ora per il restauro dei padiglioni A1 e A2 ad opera del MIK, secondo Grazina Korpal.

 

3. Il Luogo può essere sacrificato alle esigenze del Museo?

La critica infondata della Direzione del Museo di Auschwitz posta a base della chiusura del Memoriale si riversa contro l’operato della Direzione medesima. C’è la necessità di ponderare nel Museo di Auschwitz-Birkenau la conservazione del Luogo, dichiarato Sito Unesco, del Museo e dell’Archivio. Le esigenze allestitive ex novo vanno spostate fuori dal Luogo, in esso sono fuori luogo e álterano il Luogo come Archivio della memoria, secondo Grazina Korpal.

 

4. Quanto durano i nuovi allestimenti?

Durano pochissimo, molto meno della durata dell’artigianalità del Memoriale. Quanto è illusoria la vulgata che le nuove tecnologie possono superare il tempo, aspirare cioè a una contemporaneità diversa, che non conosce l’invecchiamento? Molto illusoria: il riallestimento francese, ungherese e quello olandese che li ha preceduti sono più obsoleti del Memoriale, proprio perché sforzatamente più recenti.

 

5. Il 1989 può agire retroattivamente?

Può farlo soltanto come neorevisionismo, neocolonialismo, e, duole constatare, neoimperialismo quando questa azione vuole plasmare l’Archivio, cioè distruggere e riscrivere documenti. Il Memoriale insegna che la storia non comincia con il 1989 e la caduta del Muro e non perché fu realizzato dieci anni prima, ma perché realmente questa storia inizia con la trasformazione in KZ ad opera dei nazisti dell’ex casermaggio absburgico negli anni Trenta.

 

6. La Shoah è un avvenimento unico o un nuovo paradigma?

Il Memoriale non è un monumento alla Shoah e non perché il riconoscimento di quest’ultima si è imposto nei decenni successivi alla sua ideazione (primi anni 70), ma perché è ricordo unitario dei sopravvissuti di tutte le componenti e fedi. Primo Levi: “Noi non amiamo queste distinzioni”. Inquadra l’unicità dell’evento, la Shoah nel suo più intimo significato, in un contesto. Certo, con tutti i limiti del “suo” tempo, del tempo del ricordo, di “quel” ricordare consapevole che chiama in causa e coinvolge in questa azione “Noi”. Pertanto esso si carica di un valore, anche didattico, aggiunto: sta a baluardo perché il ricordo della Shoah non diventi né una religione civile, né una ideologia che soppianta il riconoscimento delle varie componenti che furono soggette allo sterminio (Rom, gay, politici). Quel noi che Primo Levi enuncia ripetutamente nel testo che accompagna il visitatore del Memoriale, come nota con grande sensibilità Sergio Luzzatto in un articolo di alcuni anni fa, esprime una duplicità semantica: è «scrupolosamente distintivo o meravigliosamente inclusivo».

 

7. Cosa c’entra il Memoriale con la Giornata della memoria?

Il Memoriale ci dice, perciò, che la Giornata della memoria come dies academicus in cui l’Università si apre alla cittadinanza per ricordare le vittime dello sterminio nazifascista è giornata nazionale di profilo europeo, come ricorda il titolo della Legge Istitutiva n. 211 del 2000. Il ricordo della Shoah e dello sterminio di altre componenti politiche, culturali e religiose ne costituisce elemento fondamentale che contribuisce a evidenziare la natura del Nazismo e del Fascismo. Il Memoriale ci ricorda anche di non dimenticare che questo evento terribile, definito sterminio, Shoah, Porajmos, ha avuto un’origine e una sconfitta ad opera della Resistenza e degli Alleati. Non si vorrà che gli studenti di oggi pensino cha a liberare il campo siano stati gli Americani, come accade nel film di Benigni La vita è bella.

 

8. Quali sono le implicazioni delle attuali scelte della direzione del Museo di Auschwitz-Birkenau?

Le esigenze di partecipazione, di allestimento coinvolgente e interattivo, rizomatico ed esperienziale richiesto tanto dalla didattica della Schoah che dal dibattito sul modello museale post-coloniale debbono misurarsi con quelle di conservazione dei documenti storici, se si vogliono evitare esiti revisionisti e neo-coloniali. Qui viene al pettine il nodo del Memoriale: per portare avanti la politica di trasformazione di Auschwitz-Birkenau in Museo totale, il Memoriale deve essere rimosso e, per questo, screditato. L’esigenza museale vuole prevalere sulla Storia.

 

9. Quale interdisciplinarietà ad Auschwitz?

Il dibattito degli storici deve confrontarsi con la conservazione come disciplina autonoma, ma anche come disciplina storica essa stessa, dotata di operatività (non riducibile a restauro) e statuti, riportando le suggestioni decostruzioniste e revisioniste della memorialità sul ruvido terreno della testimoninaze, delle opere, dei monuneti/documenti, dell’archivio.

 

 

 

Nota

Il testo che qui si presenta è la trascrizione dell’intervento ai Tavoli tecnici della Rete Universitaria per il Giorno della Memoria, 4 giugno 2012 – Roma, Camera dei Deputati, Tavolo n. 2 Museologia della Shoah e luoghi della Memoria, moderatore Paolo Coen, relatori: Franco Bonilauri, Museo Ebraico di Bologna; Lorenzo Canova, Università del Molise; Paolo Carafa, “Sapienza” Università di Roma; Carolina Delburgo, Comitato Sanità e Conoscenza, Bologna; Michela di Macco, “Sapienza” Università di Roma, Francesco Fait, ex Risiera di San Sabba, Trieste; Doris Felsen-Escojido, Shoah Foundation Institute for Visual History and Education, University of Southern California, Los Angeles; Ariel Haddad, Museo ebraico “Carlo e Vera Wagner”, Trieste; Marzia Luppi, Fondazione ex campo di concentramento di Fossoli, Carpi; Francesco Panebianco, Museo della Memoria Ferramonti di Tarsia, Cosenza; Sandro Scarrocchia, Accademia di Brera, Milano.

“Il tavolo si proponeva in prima istanza di mettere a fuoco le varie posizioni e, dopo un confronto costruttivo con il plenum della Rete, in seconda istanza di pubblicare un documento che sintetizzasse le posizioni emerse e i suggerimenti per i contesti didattici della Scuola e dell’Università in rapporto ai vari musei della Shoah, ubicati vuoi dentro, vuoi fuori dall’Italia” secondo il coordinatore Paolo Coen.

Ringrazio Giuseppe Arcidiacono e Matteo Cavalleri per la revisione del testo e la pluriennale condivisione degli argomenti qui esposti.


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