Perché duplice visione i miei occhi vedono.
E una duplice visione è sempre con me:
Per il mio occhio interno è un vecchio canuto;
Per quello esterno è un cardo lungo il mio cammino.

W. Blake, da Lettera a Thomas Butts*

 

Tra le pieghe della città si ritrovano circostanze curiose e bizzarre. Senza rilievo di cronaca, e generalmente prive di attenzioni, esse emergono in modo casuale: talvolta sono sovrapposizioni inaspettate, di tanto in tanto interferenze accidentali, oppure semplici imprevisti. Più di rado si osservano su questi contorni ormai compromessi dei fondi aperti, vergini a loro modo, apparentemente orgogliosi, come sfiorati da quel gusto tutto aristocratico di non piacere. L’osservatore disapprova, è vero, ma poi consuma, semplifica e sfoca, fino a far entrare tutto nel miscuglio quotidiano delle immagini di fondo, abitudinarie e uguali a se stesse. HOV ama intervenire in questi ambiti diseredati ma dolcissimi, indipendentemente – e come potrebbe essere diversamente? – da committenti occupati altrove. Oggetti senza tempo sospesi nella mia duplice visione.

 

*frase in exergo tratta dal racconto Duplice Visione di Michele Gabbanelli


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