Anche agli occhi di un osservatore scrupoloso, le forme della crescita di Amman possono apparire di difficile interpretazione. Negli ultimi 40 anni la popolazione inurbata è cresciuta a ritmi elevatissimi, soprattutto in conseguenza dei flussi migratori seguiti alle guerre arabo-israeliane. Dei 2,5 milioni di abitanti, circa metà è costituita da famiglie di rifugiati palestinesi. Una così ingente pressione demografica è stata affrontata anche con l’istituzione di campi profughi, ma il progressivo normalizzarsi della situazione ha prodotto un’urbanizzazione non regolamentata, basata su forme di auto-costruzione e su un consumo di suolo sconsiderato. Aree che fino a pochi anni fa erano destinate al pascolo sono oggi insediamenti a cui non sempre sono garantiti servizi adeguati.

Nella crescita accelerata emerge una condizione di generale indifferenziazione, che si riverbera nella straordinaria coerenza morfo-tipologica degli abitati. In questo magma omogeneo le tradizionali categorie interpretative dell’urbano risultano inefficaci. Il tentativo di identificare tessuti consolidati e aree di espansione è fuorviante: situazioni di sfrangiamento e brown fields sono diffusi in ordine sparso in tutto l’agglomerato urbano, entro dinamiche di crescita che hanno luogo sia entro le porosità inedificate della città, sia lungo direttrici periferiche che assecondano la topografia.

Quest’omogeneità riferisce in fondo di una sottile forma di adesione, secondo modalità aggiornate, al modello labirintico della città senza piazze arabo-musulmana. Nel passaggio dal suk al grande canale di traffico non muta l’essenza della strada, elemento funzionale svuotato dei suoi caratteri di rappresentatività, ma che riveste il ruolo di fatto urbano identitario. La strada è il palcoscenico della vita comunitaria, in ragione della carenza di spazi pubblici disegnati quali piazze e giardini. Eppure, come nella città storica la vita pubblica si svolgeva principalmente nel sahn, il patio della moschea, anche nella Amman contemporanea le pratiche sociali hanno luogo all’interno di recinti fortemente connotati dal punto di vista funzionale: i mall, le università, le aree sportive.

I recinti emergono come luoghi notevoli affioranti nell’urbanizzazione estensiva, ma possono configurare l’espressione di mondi opposti. Da Al-Abdali a Baqa’a, urban profit e urban no-profit si servono degli stessi dispositivi di regolazione dello spazio, come due facce della stessa medaglia: parti di città concluse e auto-dedicate, fino al punto di tematizzarsi e diventare l’immagine iperrealista di loro stesse.
Baqa’a, il più vasto campo profughi della Giordania, negli anni da tendopoli è diventata prima un abitato informale e poi un’area parzialmente integrata, che continua però ad essere un luogo di forte disagio sociale e a presentare alti tassi di criminalità e disoccupazione. Agli abitanti degli insediamenti sviluppati come upgrading dei campi profughi, è ancora in parte preclusa la possibilità di condurre un’esistenza da cittadini inquadrati entro uno stato di pieno diritto.
Eppure anche la città del profitto trova nel recinto la sola possibile forma riconoscibile di organizzazione dello spazio. Ad Al-Abdali, una tra le più estese aree di rigenerazione urbana del Medio Oriente, si prevede la costruzione di un distretto mixed-use ad alta densità: un recinto in cui l’immagine asettica dell’architettura dei grattacieli vetrati diventa l’illusorio ideale di promozione sociale offerto alle masse da costruttori e amministratori.

Insieme ai recinti, i rilievi topografici e i grandi nodi di traffico sono gli unici elementi primari di una mappa mentale in grado di mettere a sistema l’insieme caotico dei frammenti di una città che non può essere affrontata con i metodi consolidati dell’analisi urbana.
In tale contesto l’idea stessa di progetto architettonico-urbano perde di significato: al suo posto si fa strada l’opportunità di un progetto “debole”, una serie di interventi coordinati, diluiti nel tempo, atti ad innescare tensioni soggiacenti tra i frammenti già cristallizzati nel magma omogeneo.
Si dovranno operare ricuciture dei tessuti, pratiche di rinaturalizzazione degli spazi aperti disidentificati e interventi di adeguamento infrastrutturale, con attenzione ai rapporti fra le strade e i frammentari isolati urbani.
Se il codice genetico di Amman impone uno sviluppo genericamente indifferenziato, puntellato da recinti, il tentativo di una loro forzatura attraverso il progetto del suolo urbano deve essere assunto come imperativo categorico e indirizzo virtuoso per il futuro, al fine di includere e integrare parti di città oggi incoerenti e segregate.


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