Il passaggio da studio teorico a operazione progettuale è gestito, tra gli altri, dall’importante tema del montaggio.

L’operazione che ho svolto è quindi quella di legare lo studio bibliografico ad un determinato punto di vista, una angolazione secondo cui guardare due scritti estratti dalla bibliografia di base.

Ma è meglio spiegare in primo luogo la ricerca di base. Tendenziosa poiché proveniente dal Politecnico di Milano, privilegia Palladio si concentra sugli studi di Wittkower, passando per Colin Rowe e la Triennale di Milano del 1951 De Divina Proporzione è poi stata deviata verso l’analisi della scuola di Austin che attraverso John Hejduk, arriva alla matrice del pensiero e del background di Peter Eisenman.

La bibliografia di base, come spiegato prima, è in questa occasione spunto per parlare della relazione “comunicazione – ricerca”.

E il tema della comunicazione è da me stato intepretato con il concetto di montaggio.

Mi avvarrò quindi dell’accezione di montaggio come spiegata da Ugo Polesello in Arc sei, rapporta Ejzenstein a Choisy, il regista scenografo e l’architetto quindi.

In Percorsi architettonici – L’Acropoli di Atene del Bernini, Ėjzenštejn considera e discute quindi la questione del “percorso” a proposito del cinema: “attraverso una molteplicità di eventi, lontani nel tempo e nello spazio, che vengono raccolti in un unico costrutto di senso secondo una certa sequenza. Queste molteplici impressioni passano davanti allo spettatore immobile. (…) Solo la cinepresa ha risolto questo problema sulla superficie piana. Ma indubbiamente il suo antenato sotto questo profilo è l’architettura.”

Nella descrizione, l’Acropoli di Atene è quindi insieme architettonico e montaggio cinematografico.

E il montaggio è qui emblematico, perchè già la collocazione privilegiata dell’Acropoli, rende visibile la stessa dall’intera città.

La sequenza della narrazione mostra quindi nella prima immagine, la simmetria (ottica e non reale) dei propilei, porta di accesso agli spazi sacri.

In seguito, la vista della piazza Atena Promachos permette di inquadrare con lo sguardo il Partenone, l’Eretteo e la grande statua di Atena, punto centrale di questa fase della sequenza.

In seguito il Partenone e le sue viste angolari (favorite dagli antichi) permettono di giungere al punto cardine dell’intera Acropoli, il grande tempio. L’effetto di arrivo en face al pronao del Partenone qui è del tutto intenzionale.

Superando il Partenone si giunge poi all’Eretteo, dove la balconata con le cariatidi diventa figura su uno sfondo in pietra del piccolo tempio. Il confronto col Partenone, alle spalle dello spettatore, risulta così impossibile e le dimensioni diversificate trovano così una coesistenza.

All’interno di una delle sue opere più famose, La corazzata Potemkin, Ejzenstein mostra come il montaggio sia fondamentale per generare una certa idea nello spettatore. La direzione e la lunghezza dell’inquadratura, la relazione tra soggetti (o oggetti) diventano i principali aspetti da tenere in considerazione.

Senza ulteriori indugi, passerò quindi al primo libro scelto per parlare di montaggio, il libro di Rafael Moneo, Inquietudine teorica e strategia progettuale, che analizza le opere di otto architetti contemporanei.

L’aspetto di inquietudine che precede la definizione della strategia di progetto è qui oggetto di analisi da parte dell’autore. La teoria nascerebbe quindi da una inquietudine dell’autore, più che da una sistematicità nei confronti della “costruzione” di un percorso logico.

In ten canonical buildings Peter Eisenman racconta invece le opere da lui definite “canoniche” come capaci di generare rottura, qualcosa che segni il cambiamento.

La svolta è quindi ovviamente l’attenzione all’oggetto anziché all’autore.

Eisenman, seguendo Foucault, racconta di una contraddizione e discontinuità del visibile in grado di segnare il cambio di paradigma.

Il canonico non è quindi per lui un masterwork con una singola direzione di lettura. Ma il suo canonico è un oggetto di architettura che ha letture multiple come condizione critica. Il suo canonico riflette un momento del tempo. La direzione punta alla apertura di nuove traiettorie.

Per comprendere i metodi utilizzati dai due autori nel montaggio dei testi, approfondirò due autori comuni ai due scritti, con il fine di creare nella sintesi un paragone: essi sono James Stirling e Aldo Rossi.

L’autore inglese è da Moneo analizzato sotto il profilo dell’ “inquietudine”, che si manifesta nella necessità di trovare una nuova struttura per l’architettura moderna.

Struttura che sia più aderente al suo percorso e al background culturale vissuto dall’autore.

La strategia progettuale è quella di un passaggio alla sezione in grado di definire recinti o clusters. Si parla in questo caso di “sezione operante” perchè in grado di definire l’intero oggetto architettonico.

In seguito, Stirling tornerà, sotto il profilo teorico ad analizzare la città antica, il collage e il paesaggio. Progettualmente egli adotta un ritorno alla pianta, un uso della promenade come strumento narrativo e pedagogico.

Per Eisenman, Stirling adotta una visione multipla di tipo cubista, all’interno delle sue opere.

Egli instaura un rapporto di astrazione modernista e “realtà” postmoderna attraverso la matericità dell’opera.

Parla quindi di “spazio solidificato” in relazione ad un articolo scritto sui calchi in gesso di Moretti. La materialità è la vera critica al moderno. I suoi materiali sono quindi concettuali e critici: l’uso del vetro opaco, che procede addirittura al di là del marcapiano si differenzia dal vetro moderno, un vetro trasparente.

I mattoni sono disposti verticalmente, ad invertire le convenzionali qualità materiche. I materiali si definiscono quindi per un uso testuale, concettuale più che fenomenico.

All’interno delle sue letture generate attraverso le rappresentazioni grafiche dell’oggetto, l’attenzione si concentra nella composizione volumetrica del Leicester Engineering Building.

Qui l’oggetto architettonico si compone di volumi incastrati tra loro, in grado di identificare una forza centrifuga nel vano scale, come emerge nell’immagine.

Gli spigoli smussati dei volumi sottolineano ancora una volta la differenza tra volume puro modernista e architettura di critica al moderno, dove la tridimensionalità dell’oggetto diventa quindi l’elemento da enfatizzare.

Altro autore scelto è Aldo Rossi, proprio con la volontà di attenzione nei confronti delle proposte emerse in Italia dalla seconda metà del ‘900.

Rafael Moneo tratterà della sua critica al modernismo, che si differenzia rispetto a quella di Stirling perchè più astrattista e teorico, rispetto alle più operative proposte di Stirling.

Per lui, l’architettura è una scienza positiva che ha fede nei confronti dell’oggettività ed è atemporale, come immagine universale per l’uomo.

La strategia di progetto per queste idee è quindi un ritorno al passato come vocabolario utile al moderno.

Ma più che alla conoscenza oggettiva, per Moneo si giunge ad una sorta di sentimentalismo. Un sentimento di ritorno.

Per Eisenman l’elemento vincente è invece la visione diacronica dei momenti della storia. La città di Rossi è una città costruita per layers nel tempo.

La scala diventa quindi strumento fondamentale per la distinzione, l’aspetto formale si lega quindi a quello simbolico. La relazione tra simbolismo e astrazione sono infatti tipiche del pensiero di Jung, un pensiero analogico, arcaico e inconscio.

Reintroducendo la nozione di tipo proposta da Durand, l’aspetto di forma si lega a quello di significato.

Infine, una sintesi.

La principale differenza è la differenza nel modo di raccontare autori e opere all’interno dei due scritti.

In Moneo, il contesto, background artistico e il rapporto tra diversi autori sono strumenti fondamentali per generare identità.

La strategia deriva da una inquietudine personale, legata al percorso dei singolo artista.

Il caso di Peter Eisenman è del tutto differente.

La lettura è sensibile al testo più che al contesto.

Fondamentali sono i campi che intrecciano la lettura dell’architetto con ambienti filosofici, sociologici, semantici, altri.

La lettura chiusa di Eisenman è applicata all’opera, non all’ “operatore” e i protagonisti dello scritto sono oggetti e concetti sganciati dal proprio autore.

La modernità di questi scritti è offerta dalla possibilità di generare diversi metodi di lettura, in grado di far emergere aspetti nascosti, aspetti che diventano, per il rilievo che ora assumono, i nodi principali della narrazione.