Ten Canonical Buildings. Di Peter Eisenman

Profili di testo
Casa il Girasole. Luigi Moretti 1947-50.

La casa il Girasole di Luigi Moretti è stata definita da Bahnam come appartente ad una nuova fase di eclettismo romano, in un momento in cui l’autore supera il modernismo per retrocedere ad una soluzione pre-moderna. In realtà, secondo Eisenman, questa abitazione rappresenta la prima opera in grado di mostrare il passaggio tra figurazione ed astrazione modernista. Un primo aspetto ivi approfondito ha un carattere formale: la lettura non è imputabile al solo significato bensì ad una coerenza interna all’opera, che può essere osservata al di fuori rispetto alle necessità storiche, o soltanto programmatiche o ancora di contenuto simbolico. Un ulteriore aspetto presente nell’opera riguarda il testo: qui si mostra un linguaggio post-strutturalista, così come come Derrida lo avrebbe inteso. Tale testo non emerge in modo lineare bensì come tessuto di tracce discontinue e non direzionali. Mentre la narrativa ha un carattere di linearità, il testo può essere letto in modo discontinuo, non direzionale e multivalente. Moretti infatti opera attraverso un testo più complesso per produrre una critica al modernismo iniziale. Sia il linguaggio del cubismo che del modernismo sono qui soggetti a critica. La superficie esterna è infatti modellata al fine di rappresentare il punto di incontro tra volume e superficie, in modo che lo stadio intermedio sia il luogo potenziale per un lavoro di luci e ombre. Il volume esterno, definito da un’unica superficie, risulta in questo modo frammentato agli angoli, enfatizzando i vuoti interni. Questi sono i luoghi di frattura della compattezza del volume. I motivi storici sono invece utilizzati per fare un commento critico sull’architettura: dalla citazione dell’edicola all’uso di texture rustiche, conferma e nega al contempo i valori trasmessi da alcuni elementi formali, quelli che esistono infatti a prescindere rispetto alla sintesi finale.

Il diagramma ad ombrello
Farthworth House. Ludwig Mies Van Der Rohe 1946-61.

Gli aspetti presi in analisi da Eisenman  e rilevanti per comprendere questa abitazione sono sostanzialmente due: il primo consiste nella rappresentazione della struttura, definibile come opposta alla struttura stessa. Il secondo consiste invece nella revisione del concetto canonico di colonna intesa come elemento spaziale -i due concetti sono tra loro in una stretta relazione-. Nella lettura di Alberti a Vitruvio, la struttura non è elemento utile a mantenere un peso bensì elemento che mostra l’apparenza di mantenere un peso, in altre parole essa rappresenta un segno della struttura. Ne consegue che alla colonna si affidano due funzioni: quella di mantenere il peso ed al contempo quella di rappresentare l’idea di mantenere il peso. Le tre categorie di segni proposte da Pierce caratterizzano l’uso di questo elemento strutturale in Mies Van Der Rohe: qui esso è icona, visuale e formale similitudine dell’oggetto, simbolo, che ha invece significato culturale o convenzionale ed infine indice, in grado di descriverne l’attività. Pierce è uno dei primi ad utilizzare il termine diagramma, a causa della sua similitudine visiva con l’oggetto. Gli elementi architettonici visti come simultanei, distruggono la singola lettura ed implicano una lettura di tipo formale (legata alla rappresentazione) e concettuale (intesa come critica) multivalente. In casa Farthsworth è proposto ciò che può essere considerato il primo diagramma di Mies: come diagramma ad ombrello. Esso è distinto dal diagramma di Le Corbusier nella negazione della continuità orizzontale attraverso gli impianti di risalita. Mentre la colonna in Le Corbusier risulta quadrata all’interno e genera valore tettonico rispetto ai diversi ambienti, all’esterno la maggiore omogeneità dell’ambiente spinge all’impiego di elementi strutturali a base circolare. É lo strumento che permette di sottolineare la facciata libera, le dà valore. Per Mies Van Der Rohe la colonna ha invece altra valenza: cruciforme e in metallo riflettente, essa funge da specchio, invertendo la solidità della colonna reale, che diventa invece un vuoto. Serve qui a circoscrivere l’unità spaziale, non a ruotarvi intorno agendo come fulcro. Serve a generare discorso concettuale più che didattico. In seguito, l’articolazione dello spazio prevederà la presenza di un nucleo interno volto a sostenere la copertura, facendo nascere il diagramma ad ombrello. In questo diagramma, tutti gli elementi sembrano essere sospesi da un piano di base. Continuando l’analogia tra opera corbuseriana e miesiana, in Maison Domino il suolo è estensione orizzontale dello spazio, mentre in Casa Farthsworth esso è l’ultima distinzione tra il suolo vero e la copertura e serve ad enfatizzare la presenza della copertura.

Eresie Testuali.
Palais de Congrès-Strasbourg. Le Corbusier 1962-64.

Nel suo più noto disegno, fatto ai tempi di Viaggio d’Oriente, Le Corbusier mostra il Partenone emergergente come figura da un fondo identificabile come piano cartesiano verticale. Questa rappresentazione mostra già l’interesse dell’architetto verso la dialettica tensione tra forma e griglia, caratterizzante il momento di transizione tra la rappresentazione di figure bidimensionali ad altre sviluppate sulle tre dimensioni. In ambito post-strutturalista tale visione emerge radicalmente, Gilles Deleuze ne discute infatti in merito alla pittura di Francis Bacon, nel cui disegno è possibile distinguere figurazione e figurale. Mentre la figurazione fa riferimento alla forma legata all’oggetto che deve essere rappresentato, il figurale è ciò che ha prodotto un registro di forze. La figura, infatti, in Bacon risulta distorta da una serie di pressioni interne. In tal caso, il figurale ha il compito di esprimere le forze fisiche e psicologiche. Far lavorare insieme figurazione e figurale diventa il modo per rappresentare una forma finale che mischi tela e rappresentazione, in una forma indistinguibile fatta di tensioni. La prima architettura di Le Corbusier tende infatti a trascendere i limiti della pittura, come emerso nel suo libro After Cubism scritto con Ozenfant. A partire da qui l’architetto svizzero lavora sull’incorporare la tensione cubista in uno spazio davvero tridimensionale. Ciò è evidente già nella maison-domino in cui egli introduce la griglia cartesiana come sistema strutturale in grado di produrre infinite estensioni tridimensionali dello spazio. Mentre il lavoro prebellico mostra come le figure lineari gradualmente diventino tridimensionali, in seguito la figura diventa nettamente articolata e deformata in una serie di figure parziali. Ed è in questo caso che Strasburgo può essere letta come eretica rispetto ai suoi testi di architettura (la presenza di brise soleil che rimpiazzano la facciata libera ne sono un esempio). A Strasburgo non vi è più relazione dialettica tra figura e griglia. Il tutto è sostituito in termini di diagramma. Il paradigma generale della sua architettura postbellica è la figura, che da un intero sviluppa una serie di elementi discreti che mettono in dubbio la necessità dell’intero stesso. L’elemento di circolazione a Strasburgo fa emergere una forza centripeta e centrifuga al contempo. Nello schema del ‘62 la rampa era in effetti una distinta forma in grado di generare un loop attorno all’edificio, che al secondo piano emerge come elemento addirittura indipendente. Egli sta esplorando il potenziale delle figure parziali. L’edificio in questione è un oggetto che è contenitore volumetrico di una serie di forze manifestate attraverso le singole facciate dell’oggetto. All’interno il soggetto continua nel suo percorso di circoscrizione del volume. Il suo compito – a Strasburgo- è di catalizzare la visione dello spazio sostituendola con il movimento nello stesso. Il percorso di Le Corbusier lo porta quindi ad articolare tanto i suoi programmi architettonici fino a superare le sue stesse previe posizioni.

Da griglia piana a Spazio diacronico.
Adler & De Vore Houses. Louis Kahn 1954-55.

Maurice Blanchot descrive Ricordarsi di cose passate di Marcel Proust come opera in cui si realizza una distruzione del tempo narrativo. In particolare, il tempo è lì visto non come memoria ma come tempo reale, vero. Evocare qualcosa che non ha una sincronia lineare nella memoria bensì in grado di esprimere una diacronicità, una esperienza simultanea e non lineare. Nelle abitazioni Adler and De Vore, Louis Kahn sperimenta ciò che può essere considerato un testo di architettura in uno spazio diacronico. Ciò avviene attraverso la sovrapposizione di spazio classico e spazio moderno. E lo rende possibile senza che sia visibile alcuna disgiunzione dall’esperienza di spazio, nessuna rottura nel sovrapporre le due posizioni. In queste opere infatti Kahn presenta l’architettura sia come oggetto complesso sia come potenziale opportunità per il soggetto di fare l’esperienza percorrendo uno spazio reale ed immaginato al contempo.

Diagramma dei nove quadrati e le sue contraddizioni.
Vanna Venturi House. Robert Venturi, 1959-64.

Il testo Complessità e contraddizione in architettura, redatto nel 1966 marca un cambiamento culturale che si manifesta espressamente dal 1968. Questo testo, insieme agli scritti di Rossi, Guattari, Debord, hanno una influenza particolare sugli architetti americani, i quali per primi mostrano un cambiamento di approccio all’architettura, dapprima vista come sola pratica pragmatica. Se per Le Corbusier il piano è l’elemento generatore, inizia ora una critica alla visione del tutto come somma delle nove quadrati altera lo schema palladiano, processo evidente anche nell’architettura di Venturi.  Riprendendo l’architettura barocca, lo spazio centrale appare spesso caratterizzato dalla presenza di una edicola, un arretramento della facciata interna data dal vuoto lasciato dal camino. Questi elementi al contempo manifestano una lettura della storia e ne propongono una negazione, questionandone la potenza ed il valore da attribuire. In questa circostanza la facciata appare  compressa da una serie di vettori. Ciò che risulta interessante rispetto a ciò è l’estensione della facciata come superficie che finisce per negare ogni angolo volumetrico. Esso diventa uno schermo che maschera lo shed. Questo mostra una delle prime abitazioni americane che incarnano l’idea di processo, perchè la versione finale inscena tutti i passaggi che sono stati esemplari per la costruzione dell’interno. Ciò che appare innovativo qui è l’uso della storia con un metodo differente rispetto al part-to-whole. Elementi classici e moderni dialogano simultaneamente. Ne evince l’impossibilità di manifestare una unica ideologia all’interno di un’opera, sull’esempio di quanto altri architetti modernisti hanno precendentemente fatto. Il caso di Vanna Venturi appare così come esatta traduzione architettonica del testo Complessità e contraddizione in architettura.

Inversioni materiali.
Leicester Engineering Building. James Stirling, 1959-63.

L’opera realizzata da James Stirling personifica il passaggio tra astrazione modernista e realtà postmoderna. La formazione di Stirling è di tipo classicista ed al contermpo sensibile al modernismo, grazie anche al percorso intrapreso in prima persona dal suo maestro Colin Rowe. Stirling, subito attratto dal modernismo tanto quanto dall’estetica espressa dai protagonisti del Team Ten, concentra l’attenzione sull’impiego dei materiali in architettura, prendendo spunto tanto dalla Maison Jaoul di Le Corbusier quanto dall’architettura nordica.
L’uso dei materiali in Stirling è di tipo concettuale e critico, specie nei confronti del modernismo, e ciò risulta evidente in tre aspetti: nell’uso del vetro, negli elementi modulari in ceramica (siano essi mattoni o piastrelle) ed infine nell’organizzazione compositiva delle masse.
Nell’architettura moderna infatti il vetro è utilizzato e usato come vuoto letterale e fenomenico, così come discusso da Colin Rowe nell’articolo “Trasparenze: Letterale e Fenomenico.” pubblicato in Perspecta del 1963. Nell’edificio di Stirling esso è utilizzato per suggerirne piuttosto un uso solido e volumetrico. Leicester marca in questo modo il passaggio da vuoto a solido. Un ulteriore cambiamento è visibile nel muro cortina dell’edificio della torre, in cui la fascia di mattorni si colloca al di sotto rispetto alla fascia vetrata. In sostanza, gli elementi che nel modernismo erano letti come trasparenti piatti e vuoti sono qui invece letti come opachi, volumetrici e solidi. La chiara tessitura esposta dai materiali ceramici mostra come il disegno da questi composto sia più rilevante che non l’aspetto strutturale dagli stessi esprimibile. Esiste quindi questa contraddizione nell’uso materico: il vetro usato come elemento solido e con compattezza quasi strutturale e di contro la presenza di unità di mattoni

disposti verticalmente che negano la loro possibilità strutturale. Queste inversioni possono essere considerate inversioni testuali anzichè formali. Il carattere didattico mostrato a Leicester svela anche ciò che può essere considerata l’estetica modernista di una composizione centrifuga, in grado quindi di muovere i suoi elementi dal centro verso la periferia. A Leicester, l’organizzazione delle forze è di tipo centripeto, in particolare gli elementi spingono in direzione dell’interno. In secondo luogo una sorta di rotazione dinamica rivela l’influenza di Melnikov Workers Club, nella presenza dei due volumi. Ma vi è una importante differenza tra i due progetti: mentre l’edificio di Melnikov mostra una serie di volumi che sembrano collassare verso l’interno, nell’opera di Stirling si assiste ad una rotazione dei volumi giustapposti. Mentre i volumi di Melniow sembrano fluttuare liberi, quelli di Stirling sembrano appuntati dalla presenza della torre.
L’inversione materica è quindi il principio che permette di costruire un volume vetrato unico inteso come solido ed al contempo una torre che, sostenuta all’interno da pilastri in cemento, mostra esternamente una cortina vetrata che sembra sostenersi sul solo muro in mattoni sottostante. Questo costante spostamento di significato e funzione di materiali provoca la necessità di leggere i materiali come elementi concettuali più che fenomenici e fisici, producendo un edificio leggibile non come insieme pittoresco di elementi o espressionista bensì come testo. Il flusso e le forze interne ai volumi negano una relazione statica tra lo spettatore e l’edificio.
In Leicester, il senso di rotazione fornisce una dimensione spaziale e temporale che non è più soltanto formale nel suo dominare il discorso. Le numerose inversioni negano le intepretazioni architettoniche tradizionali fatte di facciate, stasi e materialità letterale.

Testo dell’analogia.
Cimitero di San Cataldo. Aldo Rossi. 1971-78.

La relazione tra Aldo Rossi ed il ritorno alla figurazione in Italia è un fatto ormai noto, i valori umanisti del neorealismo sono presenti nella formazione dell’architetto, che si affida ad un ritorno agli studi tipologici. Già all’interno dei suoi primi lavori, nell’epoca dei concorsi post-lauream l’impiego di forme geometriche pure -siano esse cerchi, triangoli isosceli, quadrati- estrusi, diventano tema dominante della sua architettura. Le forme sono qui ridotte a geometrico architipo ed utilizzate in maniera pura. Rossi e Venturi, di cui gli scritti sono pubblicati nello stesso periodo, condividono un interesse  al tempo innovativo ed espresso nei loro postulati teorici in cui si descrive l’irriducibilità della città rispetto ad ogni visione totalizzante di tipo modernista. Nel caso di Rossi egli adotta un metodo analitico che propone l’isolamento degli artefatti urbani. Tali artefatti includono elementi della città la cui continuità, sia essa funzionale come nel caso del tessuto residenziale o simbolica come nel caso dei monumenti seguono la loro permanenza nella storia della città. Questa dialettica di permanenza e crescita proposta da Rossi revede una comprensione di quelli che sono i diversi momenti nel tempo che suggeriscono una espressione diacronica dei momenti della storia. Uno dei libri critici nel pensiero della relazione tra architettura e città è il libro Architettura della città di Aldo Rossi. Vi si trovano all’interno delle analogie con quanto proposto da Colin Rowe nel suo Collage city. Uno dei punti di contatto consiste nell’asserire, da parte di Rowe una condizione di verità intrinseca al tessuto esistente. In questo caso, considerato il “set pieces” preesistente ogni elemento successivamente aggiunto all’origine deve essere considerato rispondente rispetto a tali presenze.  In Collage City Rowe seleziona un set di “pezzi” come una rotonda o un quadrato o anche una megastruttura come l’Hofburg di Vienna e li inserisce in un altro contesto, in maniera analoga a quanto fatto da Piranesi all’interno del Campo Marzio. L’idea di Rowe secondo cui un è possibile collegare il contestualismo all’idea di collage. La proposta strategica di Rowe risulta ancora differente rispetto a quella di Piranesi, che modifica invece il set esistente non fornendogli un valore a priori. Nel caso di Rossi, egli concepisce la città come insieme di elementi tipologici le cui geometrie semplici possono essere lette come risultato della rimozione di lauer sovrapposti nel tempo. In questo senso egli ripensa l’intera nozione di tipologia sviluppata da Durand nel diciannovesimo secolo e fu il primo architetto dal dopoguerra a reintrodurne la nozione. La sua reintrodizione fa i conti non soltanto con l’aspetto formale ma anche con quello di significato. Gli oggetti che hanno quindi diverse scale assumono significato in relazione alla loro ripetizione, utilizzando forme iconiche che sono in realtà spogliate della loro iconicità. La scala per Rossi è il tema che permette di distinguere il programma sia esso simbolico o funzionale. La realizzazione del cimitero di San Cataldo vede quindi la presenza di una serie di elementi che distruggono la composizione per parti di un insieme, gli oggetti simbolici fondono la scala urbana e quella del domestico sia nella spazialità che nella trama: attraverso le facciate che utilizzano un cambio di scala è possibile avere una vista da una finestra o semplicemente una trama che costituisce la tessitura della facciata. La relazione simbolismo-astrazione denota la peculiarità del pensiero analogico di Jung, per cui l’arcaico, l’inconscio risulta esprimibile mediante un monologo interno.

Strategia del vuoto.
Jussieu Library. Rem Koolhaas. 1991-92.

Walter Benjamin aveva già espresso come l’architettura sia vissuta in uno stato di distrazione, di conseguenza l’elemento iconico diventa prevalente come riflesso di questa condizione. L’edificio iconico lega due fattori: il primo consiste in una tendenza a trattare il diagramma come un’icona, il secondo vede il diagramma iconico come diretto generatore della forma. Negli edifici di Koolhaas, il diagramma iconico ha una similitudine visiva con il diagramma funzionale. Ma è con il progetto per la Jussieu Library che Koolhaas marca un punto di inflessione tra questi due tipi di diagramma passando da un diagramma simbolico ad uno di tipo iconico, che registra, oltretutto, una critica nei confronti dei precedenti diagrammi di Le Corbusier e di Mies Van Der Rohe. Il palazzo di Strasburgo di Le Corbusier è visto come importante precedente per il progetto, anche grazie alla sua continuità tra suolo e copertura,.Tuttavia tale continuità sezionale risulta negata da Koolhaas, che concepisce un suolo malleabile come un tessuto, capace di giungere fino in copertura. Il vuoto in Koolhaas è una inversione del pochè, che risulta una armatura concettuale in una serie di progetti che conducono alla Jussieu Library.. Tale attenzione allo spazio vuoto conduce inoltre a ripensare una relazione tra il soggetto e l’oggetto in architettura ed in ultimo di suggerire una ulteriore forma di lettura chiusa. Mentre Rossi e Venturi adottano una strategia di frammentazione e materialità per criticare l’idea modernista di insieme, il frammento può aiutare a ricostruire un assente “intero”, come era successo storicamente. Ciò che avviene in seguito al 1968 è una differente idea di dialettica del parte del tutto, che riflette modi alternativi di vedere il soggetto, costruiti su teorie strutturaliste e post-strutturaliste. Un secondo aspetto della strategia di Koolhaas consiste nella realizzazione di uno spazio vuoto in grado di generare situazioni in cui è possibile intuire la presenza di una serie di elementi che danno una visione diretta ed altri in grado di oscurare la presenza di alcuni oggetti interni. Più importante rispetto all’alzare il suolo della strada è l’aspetto di infrastruttura vista come oggetto layer. Per smantellare la logica classica del “parti di un insieme” Koolhaas proporne un diagramma che modifica la usuale visione di adiacenza delle parti. In particolare egli suggerisce come la presenza di un ascensore definisca la continuità tra parti che sarebbero in realtà discontinue, spazialmente non vissute in sequenza diretta. Tale diagramma che può essere chiamato “discontinuità contigua” appare anche nel contest del Parc de la Villette di Koolhaas, parco che è dipinto come una serie di programmatiche strisce orizzontali. Tale visione non necessita di una relazione di continuità spaziale. Tornando alla biblioteca di Juisseu essa risulta concepita come una serie di sezioni caratterizzate da piani orizzontali che non hanno contiguità di programma dal livello del suolo ad un altro piano. Le nove colonne, seppur presenti, non garantiscono uno spazio regolare per la figurazione della forme libere. La tematica delle colonne appare e scompare “casualmente”, in relazione a come queste si leghino ai muri. La modulazione classica in sezione crea una condizione di spazio in cui il soggetto diventa osservatore di uno spazio ed al contempo nascosto rispetto all’occhio di un altro osservatore. Il risultato di questa visione periferica sposta il focus ottico dall’oggetto fisico al soggetto. Jeffrey Kipnis chiama discorso performativo. Ciò consiste in una manipolzione del campo visivo che inizia con la Jussieu Library e continua con la Seattle Library. Le influenze dei diagrammi di Le Corbusier e Mies sono invertite, diventando qui figure, volumi, oggetti di una strategia del vuoto. I progetti che seguono sembrano negare queste condizioni iniziali. Smettono di produrre letture chiuse per l’immediatezza della forma ed un appeal più popolare: il diagramma come logo o branding.

La decostruzione degli assi
Jewish Museum, Daniel Libeskind 1989-99.

Nel 1970 Rosalind Krauss redige uno scritto titolato Note sull’indice. Tale discussione sull’indice veste una distinzione tra icona, simbolo e indice, già definita da Peirce. Per Pierce, l’icona ha un collegamento visivo con l’oggetto mentre il simbolo ha un collegamento legato al significato. L’indice è invece una registrazione di un evento o processo ed è strettamente legato ad una condizione di assenza o presenza. Secondo Krauss, il linguaggio ci presenta un contesto storico preesistente a cui si unisce un linguaggio metafisico. L’idea di un linguaggio architetturale diventa problematico quando assume che ogni contesto storico è una entità stabile. L’indice è importante quando registra la presenza fisica di un oggetto come traccia fisica di un altro oggetto e non un segno o una rappresentazione della cosa stessa. Krauss descrive l’indice come presenza di un evento non codificato, che opera senza le convenzioni. Se la forma di una abitazione ha significato metafisico e legato all’immagine e alla funzione di rifugio, allora questo significato è distrutto da ogni tipo di processo, spesso identificato con il taglio. Non solo l’atto di tagliare ma anche la traccia del taglio riducono il suo contenuto metafisico. La logica di questi segni indicizzati tende ad indebolire gli aspetti simbolici ed iconici, e ancora l’indice può essere trasformato in una icona stessa della indicizzabilità. L’indicizzazione di Libeskind è evidente in Micromegas, disegni realizzati per analizzare lo spazio cartesiano e classico. Le linee sono in questo caso già elementi tettonici. Tutti gli edifici hanno in questo caso assi in grado di legare l’edificio al movimento del soggetto. Gli assi sono qui una traccia. Siamo abituati infatti a vivere lo spazio in sequenze simmetriche, quindi per destabilizzare la continuità delle parti viste come un insieme fa mancare anche questa simmetria locale. In Le Corbusier tali simmetrie servono ad identificare un percorso con il soggetto mentre l’asimmetria fa in modo che il movimento del soggetto e il tempo degli oggetti coincidano. Il percorso del soggetto non corrisponde alla forma dello spazio. Libeskind,come Henri Bergson prima di lui, sperimenta la relazione tra tempo dell’oggetto e tempo del soggetto. Il progetto per Berlino rappresenta in realtà la frammentazione di una stella ebraica o è un indice dei punti di Berlino dove gli ebrei erano trasportati fuori dalla città. Inizialmente gli angoli in cui si spezzano questi assi sono ortogonali quindi finiscono per invertirsi l’uno con l’altro. Ancora, l’opera può essere intesa come gesto senza significato, che lo trasforma in una analogia delle uccisioni di massa. In questo senso, i tagli stabiliscono una condizione di arbitrarietà che lega ad un significato reale e che in ultima condizione è arbitrario. L’insieme dell’edificio è qui negato dalle singole parti. Il museo si mostra come oggetto iconico ed al contempo gesto espressionista. Esso rappresenta infatti il punto di incontro tra l’indicizzante e l’iconico.

Il leggero diagramma ad ombrello
Peter Lewis Building, Frank o. Ghery, 1997-2002.

Mentre i diagrammi proposti in precedenza si mostrano come modifica di diagrammi esistenti, Greg Lynn propone un diagramma che non ha condizioni iniziali. Egli le nomina come forme con una propria diagrammatica necessità. In tal caso, sarebbe possibile produrre diagrammi che non si riferiscono alle logiche esterne bensì alle loro stesse operazioni. Esse possono infatti non dipendere dal luogo o dal programma, necessariamente. La necessità di parti di un insieme è infatti non determinata e il lavoro di Lynn si basa più che altro su una componente presa come elemento infinitamente ripetibile. Le componenti non hanno necessarie relazioni con il tutto, bensì esse mostrano come risultato di un set di logiche computazionali o interne. Le operazioni algoritmiche operano come simbolo e indice e ciò significa che sono leggibili come rappresentazioni di un insieme di processi che in queste operazioni prendono posto nel tempo e sono registrate in maniera indicizzata. Secondo Lynn, le condizioni non hanno necessariamente rilevanza rispetto al futuro, dato che i processi algoritmici sono unifamiliari in architettura. Ciò comporta uno slegarsi rispetto alla storia. É tuttavia importante distinguere l’idea di digitale di Lynn rispetto a quella di Ghery: per il primo si tratta di un procedimento concettuale, per il secondo di un procedimento fenomenologico. Ma l’approccio adottato da Ghery è in realtà del tutto personale: egli mischia l’approccio espressionista a quello del processo digitale. I suoi diagrammi hanno origine secondo un metodo analogico e il conseguente lavoro digitale è uno delle riproduzioni di queste forme. La principale differenza tra fenomenico e concettuale risiede nel dominio della lettura chiusa: dall’occhio alla mente in uno e dalla mente all’occhio nell’altro. Il diagramma di Ghery è qui chiamato “soft umbrella” in ricordo dell’approccio di Mies, a causa della sua organizzazione spaziale interna. Questo tipo di diagramma si basa in particolare sulla articolazione della copertura e sull’impatto che questa ha rispetto alla sezione. Il piano diventa residuale rispetto al processo. Il diagramma concettuale rimane quindi analogico mentre il processo digitale genera la forma. La tensione generata tra biomorfico ed ortogonale è catturata nei suoi schizzi. Le forze contenute negli schizzi possono essere centripete o centrifughe. In particolare, le letture rivelano una rottura con la lettura chiusa, intesa come in grado di definire la parte dell’insieme. Tale lettura suggerisce un ripensamento del canone che è stato prodotto da una serie di letture chiuse. Per mettere in dubbio queste idee è forse necessario osservarle con un canone di oggi.