La situazione contemporanea si configura come una fase di profonda crisi dei modelli urbani del XX secolo, in cui la città è costretta a cambiamenti di scala urbana inediti e repentini che ne ridisegnano lo spazio. La fine della società fordista e la contemporanea crisi economica esigono una ridefinizione di presupposti e categorie tradizionali e consolidate, come ad esempio i concetti di: identità, appartenenza, cittadinanza, rappresentanza.

Allo stesso tempo la rivoluzione elettrotelematica con l’affermazione di nuove reti informatiche, di trasporto e di comunicazione comporta la smaterializzazione della città, l’incrinamento del rapporto tra pianta e funzioni nello sconvolgimento del disegno urbano, il dissolversi dei confini tra spazio pubblico e privato, la disgregazione dell’urbs in una progressiva perdita di identità tra spazi fisici e virtuali. La mobilità liquida dell’era di internet ha ancora bisogno di luoghi ma i confini di questi spazi diventano sempre più aperti e fluidi generando una città frammentata e frattale che raccoglie in se i flussi e le istanze più differenti. Proprio in questo contesto la presente tesi vuole offrirsi come uno spunto di riflessione e di confronto con tematiche di forte attualità. Partendo dallo stimolo offerto dall’articolo di Michele Sbacchi “Casbah + Meccano”, il lavoro analizza la ricerca architettonica effettuata dal Team Tena partire dagli anni ‘60 del Novecento, in una fase di passaggio tra Modernismo e Postmodernismo, ricerca che ancora oggi non è esaurita come testimoniano le sperimentazioni su progetti contemporanei che vengono qui proposti. Con l’aiuto della pubblicazione di Robert Oxman “Casbah: a brief history of a design concept” si cerca quindi di analizzare nel suo contesto storico la visione e la sperimentazione del variegato gruppo di architetti fuoriusciti dai CIAM e in particolare di Aldo Van Eyck rispetto alla forma collettiva ispirata dall’architettura spontanea come il più alto gesto architettonico. Insieme i membri del Team Ten sostengono una intensa critica alle megastrutture moderniste, all’estremo e sterile funzionalismo, all’urbanistica creatrice di spazi discontinui e propongono una nuova apertura umanistica che trova nella casbah, o nucleo fortificato delle città islamiche, una fonte di ispirazione rispetto all’organizzazione spaziale complessa. La casbah, con la sua forte valenza eterotopica di spazio altro, si mostra quasi come una miniature city  che contiene e riflette in sé gli elementi necessari a costruire un sistema urbano. Il suo sviluppo orizzontale per ripetizione di cellule, la commistione di funzioni pubbliche e private, la complessità dei rapporti tra pieni e vuoti, il sistema di circolazione rizomatico, hanno fatto si che divenisse un modello di sperimentazione per l’articolazione sia di edifici che di spazi pubblici a più ampia scala. Come antitipologia della città verticale la casbah assorbe tutte le aspirazioni di riconcettualizzazione del tema di habitat secondo un modellogerarchicamente organizzato che riconferisca leggibilità e identità al luogo e che raccolga le istanze sociali in forme collettive. Il cosiddetto casbah concept ci pone davanti a una serie di tematiche ed interrogativi del tutto attuali rispetto alla crisi dello spazio della città contemporanea e ci introduce a stimolanti riflessioni sul modo di affrontare il disegno architettonico e urbano di una città che sembra aver perso la capacità di dare corpo alla società, di mostrare le diversità e le interdipendenze. Prima importante riflessione è quella sul tentativo di ridare scala umanaagli spazi generati dalle utopiche megastrutture dell’architettura modernista che a beneficio di razionalizzazione e standardizzazione aveva dimenticato i più complessi bisogni dell’uomo. I sostenitori del casbah concept si propongono di studiare gli aspetti più nobili dell’architettura vernacolare in quanto sapienza umana di costruzione nel tempo attraverso la ricerca, sostenuta dall’antropologia sociale, per l’individuazione di una struttura intrinseca o pattern con un conseguente recupero e valorizzazione dell’identità del luogo. Necessaria è quindi la questione del suolo: slegato dal costruito, reso intoccabile e quasi sacralizzato dall’architettura modernista viene qui recuperato come elemento fondamentale di radicamento dell’habitat umano. Altra riflessione è quella sul rapporto tra spazio pubblico e privato che ritrova identità e determinazione in una commistione di funzioni non più isolate da rigido zoning ma inserite in spazi misti e multifunzionali di relazione e interscambio continuo. Tale relazione è garantita dalla strategia dell’utilizzo di un pattern, una struttura riconoscibile e ripetibile, generato da una ripetizione variata di cellule che ricostruisce il rapporto complesso tra cluster e città. All’interno di questo pattern le cellule si moltiplicano per gemmazione, quasi come si trattasse di un organismo biologico che si riproduce con la ricombinazione del patrimonio genetico, in uno schema non fisso ma articolato e complesso che consente a ciascuna cellula di mantenere la propria identitàall’interno di un gruppo significante più ampio. Tutto ciò rimanda chiaramente all’architettura organica e al problema di definizione del suo modus operandi, da una parte vista come moltiplicazione di elementi e dall’altra come divisione in elementi più piccoli di un unico organismo. Infine il tema della moltiplicazione di cellule fornisce un’importante presupposto storico alla ricerca dell’architettura parametrica: come affrontare questa moltiplicazione di cellule che devono mantenere la loro propria identità ma variare all’interno di un pattern più ampio conservando una organicità e unità gobale? come individuare algoritmi genetici generativi di forme complesse che possano progettare la morfogenesi di edifici e città? La parte conclusiva di questo lavoro infine, vuole proporre una riflessione sui limiti e le difficoltà di questa ricerca. Per quanto attuali siano gli stimoli, il corpus elaborato dal Team Ten non riesce a operare un salto di scala confrontandosi con lo spazio della città contemporanea. Ci si trova quindi davanti al problema di come comporre questo spazio eterotopico, questa struttura estratta in una struttura urbana più grande che possa funzionare nello spazio metamorfico della molteplicità contemporanea. Il tema torna quindi al confronto con lo spazio pubblico, lo spazio di connessione o di contatto, e a come la moltiplicazione di cellule possa interagire con esso attraverso nuove forme di assemblaggio che valorizzino flussi, reti e connessioni in una struttura multifocale fatta di inedite relazioni.

CASBAH CONCEPT:

la ricerca di un pattern configurativo nell’esperienza dell’architettura spontanea.

“Vers une casbah organisée…”: l’iscrizione della pagina finale del primo numero della rinnovata rivista Forum accompagna due evocative immagine del pueblo sudamericano di Taos. L’immagine del pueblo e meglio ancora la più nota immagine della casbah mediorientale, vuole essere emblematica di una struttura formale rappresentativa di uno spazio denso e compatto a sviluppo orizzontale temperato da un vivo sistema di circolazione.

Il termine casbah raccoglie una serie di concetti sviluppati nei primi anni 60 dal TEAM X e in particolare dalla figura di van Eyck, vero e proprio ideatore del concetto, relative alla disciplina configurativa e all’architettura degli insediamenti vernacolari. La ricerca di Van eyck sulla struttura della casbah sposta l’attenzione sull’importanza dell’architettura spontanea nel tentativo di trovare nelle forme dell’architettura storica e naturale una soluzione agli spazi di risulta creati dalla politica urbanistica dei CIAM. In particolare il termine fa riferimento una complessità spaziale realizzata attraverso l’utilizzo di principi compositivi additivi e ripetitivi che supera il concetto di tipo nell’edificio e lo sostituisce con quello di matrice spaziale. Il modello preferito per la realizzazione di questo nuovo pattern di disegno urbano diventa l’edificio basso, denso, contiguo e multifunzionale. Il termine chiave per la comprensione di questo nuovo concetto è quello di struttura, con chiaro riferimento alla contemporanea antropologia strutturale di  Claude Levi Strauss che individua nel modello lo strumento fondamentale per passare dal piano dell’osservazione empirica a quello di individuazione della struttura, elemento chiave della nuova antropologia. Sostenitore dell’importanza della ricerca antropologica e dell’analisi dei bisogni sociali, viene fortemente influenzato dalla contemporanea antropologia strutturale di Claude Levi Strauss. La metodologia Lévi-straussiana individua nel modello lo strumento fondamentale per passare dal piano dell’osservazione empirica a quello di individuazione della struttura, elemento chiave della nuova antropologia. Allo stesso modo Van Eyck sostiene questa nuova apertura al passato come fonte di conoscenza e promuove l’idea di superare l’osservazione e la ricerca sulle forme del costruito per individuare un livello più profondo di pattern o struttura che restituisca leggibilità al luogo. Una struttura da ritrovarsi nei complessi ordini sottostanti gli antichi insediamenti vernacolari e da esprimere come un pattern bidimensionale o anche matrice di spazio tridimensionale. Origine del processo creativo diventa la conoscenza e l’interpretazione di questi pattern complessi derivati dallo studio della storia degli insediamenti umani. L’efficacia culturale e progettuale di questi pattern viene accresciuta dalle intrinseche proprietà  di mutabilità e potenziale evolutivo che permettono al casbah concept di lavorare su più scale come mezzo di mediazione tra città e casa. La famosaaffermazione  “the houseis a city and the city is a house” ben esprime questa visione di urbanistica continua che ricerca nella configurazione spaziale della casbah uno strumento di disegno secondo nuove forme di ripetizione e accostamento. Sottolineando le virtù della casbah Van eyck scrive: “..itisnowpossible to inventdwellingtypes, which do notlosetheirspecificidentitywhenmultiplied, but, on the contrary, actuallyaquireextendedidentity and variedmeaning once they are configuredinto a significantgroup…Eachindividualdwellingpossesses the potential to develop, by means of configurativemultiplication, into a group (sub cluster) in wich the identity of eachdwellingisnotonlymantainedbutextended in a qualitqtivedimension..”.

Il casbah concept provoca vivaci discussioni che portano alla riconsiderazione del concetto di habitat e di città verticale imposta dal modernismo. Esso spinge da una parte a una disposizione più socialmente orientata del processo progettuale e dall’altra a una innovativa sperimentazione morfologica fatta di mediazione tra cluster e megastrutture, in cui grande importanza gioca l’attenzione per una organizzazione gerarchica delle cellule spaziali. Questa particolare organizzazione ripetitiva di elementi attaccati al suolo che garantisce un adeguato livello di privacy all’interno di dense aggregazioni a sviluppo orizzontale diviene la struttura base del modello di housing a bassa densità. L’attrattività dello schema è assicurata dalla flessibilità e dalla varietà delle forme che forniscono potenziale espressivo realizzato attraverso sperimentazioni sull’aggregazione in forme aperte di case a patio introspettive.

Una delle più discusse sperimentazioni su questo tipo di housing per il grande numero è il progetto di Candilis-Josic-Woods per l’estensione urbana di Toulouse-Le Mirail, sviluppato tra il 1961 e il 1971. Il progetto è il risultato di un concorso promosso dal sindaco di Tolosa, che prevedeva il disegno di un nuovo quartiere per 100000 persone in una zona verde a sud della città di Tolosa per venire incontro alla enorme crescita registrata nel periodo successivo alla guerra. La struttura verde esistente, caratterizzata da una altura che corre nord sud e da un piccolo corso d’acqua che attraversa l’area da est a ovest, è presa come punto di riferimento per tracciare lo stelo del complesso, elaborato come un boulevard continuo che connette tutte le differenti funzioni ed è accessibile esclusivamente ai pedoni. Lo stelo si sviluppa lungo questi dati geografici trasformandosi a una certa distanza in “dalle” o strada nell’aria che contiene funzioni collettive come negozi o centri sociali e connette i blocchi residenziali a Y incastrati nella struttura dello stelo, sviluppandosi al quinto e al nono piano. Il traffico automobilistico viene completamente separato da quello pedonale attraverso la creazione di un livello sotterraneo che accoglie il traffico periferico con grandi parcheggi collegati tramite ascensori al livello superiore. Gli edifici per appartamenti a sviluppo verticale sono combinati secondo uno sviluppo esagonale e al loro interno lo spazio pubblico dello stelo continua sotto forma di corridoi pedonali esterni che garantiscono interazione e socializzazione. Ogni appartamento presenta un alto grado di flessibilità compositiva e mutabilità grazie a pannelli scorrevoli in facciata e negli interni. Disposti tra gli spazi dei blocchi si trovano cluster di case a patio e funzioni pubbliche più grandi come scuole e centri commerciali. Lo stelo, la dalle e i blocchi residenziali sono pensati come inestricabilmente connessi con i gruppi di sviluppo urbano ad andamento orizzontale, nella realizzazione di un tessuto urbano continuo e organico caratterizzato dalla differenziazione di cellule e spazi pubblici con un vivo sistema di circolazione. L’utilizzo di uno stelo strutturale combinato ai cluster di cellule garantisce la minima definizione e imposizione e la massima possibilità di cambiamento e crescita ma non riesce a misurarsi con la scala urbana prevista dal progetto.

La teoria della casbah trova applicazione anche al di là dell’architettura residenziale: non più considerata in base alle sue caratteristiche formali ma in base ai suoi attributi spaziali o funzioni, la casbah si trasforma nella sua generica forma di mat building o edificio stuoia, una struttura urbana continua  a bassa densità che fornisce nuove possibilità di relazione e interscambio per la creazione di strette relazioni sociali. Il mat building lavora con una complessa e seriale organizzazione gerarchica come veicolo alla realizzazione di una architettura dinamica e temporalmente attiva che fornisce possibilità di crescita, diminuzione e cambiamento. Nel suo testo “ How to Recognise and Read Mat-Building. MainstreamArchitectureasitDevelopedtowardsMat-Building” Alison Smithson scrive: “Mat-Building can be said to epitomize the anonymouscollective; wherefunctions come to enrich the fabric, and the individualgains new freedoms of actionthrought a new and shuffeledorder, based on interconnection, close-knitpatterns of associations, and possibilities for growth, diminution and change.” Esempio emblematico di questo tipo di struttura è il progetto di Cndilis-Josic Woods per la Free University di Berlino, vincitore del concorso lanciato nel 1963 per la creazione di un nuovo edificio che accolga circa 3600 studenti nella periferia della città. Per i progettisti si tratta di un vero e proprio esperimento che considera l’università come una piccola città e quindi come un laboratorio in cui cercare di riconnettere l’atomizzazione e disgiunzione delle diverse sfere di vita presente nel mondo del dopoguerra. Il disegno del progetto che sfrutta il concetto di trama e di groundscraper, si rivela come una forte critica alla separazione delle funzioni urbane e all’utilizzo di edifici a sviluppo verticale tipiche dell’attitudine progettuale dei CIAM. La struttura base nasce dalla sovrapposizione e giustapposizione di piattaforme, spazi aperti e strade in una continua alternanza di spazi pubblici interni ed esterni che cerca di ricreare la densità tipica delle città europee. Lo schema è costituito da quattro strade principali parallele riservate alla circolazione pedonale che raccolgono i servizi principali dell’edificio e sono interconnesse da strade secondarie perpendicolari. Distribuiti in questa griglia si trovano una serie di spazi aperti e in between in forma di corti , patii, auditorium, terrazze e gallerie, mentre rampe e ascensori connettono i vari livelli che si vengono a creare. Questo tessuto a trama stretta fatto di intricate giustapposizioni di elementi “urbani” come strade e piazze, stimola la comunità all’incontro e allo scambio e spinge la comunità che la abita alla riappropriazione degli spazi. Grazie all’utilizzo di un sistema costruttivo prefabbricato la struttura va incontro all’evolversi nel tempo garantendo la massima flessibilità e possibilità di modifiche da parte di professori e studenti. Nonostante la scarsa integrazione nel contesto il progetto dell’università  presenta una radicale alternativa di organizzazione degli spazi secondo la metafora della trama, basata su un tessuto urbano bidimensionale denso che esercita una fortissima influenza nella contemporanea architettura mondiale.

CONCLUSIONI

La sperimentazione operata dal Team Ten sulla casbah come metafora dell’architettura spontanea si rivela un passaggio di prospettiva storica fondamentale e apre a una visione totalmente nuova della città: non più la città delle funzioni, dello zoning spietato, delle imposizioni dall’alto, ma la città della gente e della società, dei bisogni che dettano la forma fisica dello spazio urbano, la città a misura umana radicata nel suolo.

La complessità della società contemporanea post industriale tuttavia costringe la teoria della casbah a confrontarsi con repentini cambi di scala, spazi metamorfici che hanno perso la loro identità, confini fluidi e comunicazioni accelerate. In particolare essa si trova a doversi misurare con due paradigmi fondamentale della contemporaneità, lo spazio di connessione e la rivoluzione elettrotelematica. Nel suo libro Espacements, FrançoiseChoay analizza come l’avvento dell’era di internet e delle comunicazioni veloci abbia potenziato lo spazio di circolazione ma completamente dimenticato lo spazio di connessione o contatto, tipico delle forme urbane del Medioevo, fondamentale per l’ informazione e l’apprendimento delle relazioni interpersonali di base. In una successiva interiorizzazione e segregazione di questo spazio il suo ruolo indispensabile è stato dimenticato e i tentativi di reinvenzione si sono rivelati piuttosto ingenui. L’immagine della casbah o del villaggio africano che cosi ben simboleggia questo spazio arcaico di relazioni non regge il confronto con la contemporaneità multiforme a grande scala, fatta di reti informatiche, aeroplani, treni ad alta velocità. La città quindi sparisce, la sua definizione è nebulosa, la ripetizione di cellule non riesce a costituire un insieme organico di tessuto urbano. Nello spazio dei flussi la casbah diventa un ritiro nella cellula, una regressione in forme arcaiche che non si dimostrano adeguate alla complessità del mondo moderno. La casbah con la sua valenza eterotopica di città in miniatura costituisce una sorta di città dentro la città, uno spazio altro composto di multiple pocket a struttura multicellulare. Per la creazione di un sistema urbano questa qualità di articolazione di frammenti non è sufficiente: ci si trova davanti alla mancanza di due fondamentali interventi, la miniaturizzazione degli elementi di connessione tra i patches e il cosiddetto mirroreffet che attraverso un’operazione di distorsione fa interagire i fattori in un sistema complesso. La casbah così trattata diventa uno sterile innesto, una propagazione di cellule cancerogene che non può fornire nessun apporto al ripensamento del disegno della città.

La valenza eterotopica in senso foucaltiano della casbah non va però dimenticata. In essa i processi di ibridazione e cambiamento sono facilitati, la molteplicità di cellule e codici assicura un interazione non permessa al di fuori, la commistione di funzioni e spazi raccoglie le istanze sociali più diverse. Come ci suggerisce David Grahame Shane in RecombinantUrbanism, nel contesto accelerato dell’ambiente ipermediatico è possibile tuttavia trovare nuove forme di assemblaggio e composizione che riflettano le relazioni tra gli attori urbani e i flussi attivati tra i singoli frammenti , in cui la casbah quindi, con la sua flessibilità e capacità combinatoria, possa riacquisire un valore metaforico di spazio di interazione. In particolare l’assemblaggio rizomatico riconferisce importanza al percorso narrativo sotto forma di rizoma come elemento importante del disegno che connette la traccia individuale con il circuito dell’esperienza collettiva. Si forma quindi una stratificazione complessa fatta di un pattern di elementi urbani e di un network rizomatico di supporto che lavora come campo energetico di sostegno connettendo i frammenti in una rete complessa e nascosta. Questo processo ricombinatorio accomoda l’istanza della grande scala e della piccola identità mantenendo un carattere di leggibilità e assicurando l’autonomia dell’esperienza e delle relazioni policentriche che si vengono a creare. L’assemblaggio rizomatico si rivela dunque un valido metodo di disegno nell’affrontare le imprevedibili giustapposizioni e i repentini mutamenti di una città in continua metamorfosi. Supportata dal disegno rizomatico l’eterotopia della casbah può tornare a manifestare tutte le sue qualità compositive in un rinnovato vocabolario di composizione che reintroduce la piccola scala e lo spazio di relazione nel più vasto sistema urbano.