Il disegno è composto dall’intersezione di cinque elaborati fra loro indipendenti, di diversi autori. Alla base del riquadro un collage che ha come intento quello di ricondurre la materia architettonica ad una dimensione costruttiva, in cui i ritagli, come elementi astratti di un disegno al tratto, generano il vuoto che accoglierà i tessuti (M. Burrai). All’interno del collage vi è il tentativo grafico di controllare una materia informe attraverso un sistema regolare, a sua volta contraddetto da un secondo ordine diversificante (P. Zampetti), le cui fasce bianche si confondono con quelle dell’intreccio che si estende nel settore centrale: una stratificazione generatrice e ordinatrice che opera come trama unificante. La stratificazione è costituita da maglie modulari a più livelli composte secondo una ripetitività genetica che viene scardinata (lacerata) da parti del collage e compenetrata da elementi al tratto degli altri disegni (G. Domenici). Due oggetti urbani si stagliano sul complesso intreccio di geometrie. Al centro emerge un frammento di tessuto storico, un bastione dei confini cittadini (G. Pernazza) che dialoga con il tessuto che invade il campo grafico nell’angolo in alto a destra Tale tessuto fa convivere la rigida composizione di un ipotetico insediamento urbano, con l’elemento organico, rappresentato da rivoli che come fiumi si appropriano dello spazio circostante (A. Tenchini). 

 

Nella contemporaneità l’architettura si concentra sull’immagine mediatica, che consente la rapida diffusione di stili e linguaggi provenienti da ogni parte del mondo, giustapposizione eclettica di ricerche, sulle quali è difficile pronunciare un giudizio critico. Per orientarsi è necessario recuperare i fondamenti della disciplina riscoprendone il ruolo politico.

[…] poiche la societa e ammalata d’arte, è questo l’organo
sul quale bisogna operare, per ridurne lo sviluppo
abnorme e rettificarne l’irregolare funzione
Walter Gropius e la Bauhaus, Giulio Carlo Argan

L’architettura è una disciplina umanistica che si occupa di come l’uomo abita il mondo.
La prima responsabilità dell’architetto è di ordine pratico.
Il progetto di architettura è atto critico: costruzione che sopravviva ai suoi autori sia fisicamente che concettualmente. L’architettura è un’arte lenta dall’esistenza necessariamente durevole. Occorre un’architettura critica.
L’architettura è arte di stare nel mondo. Deve attenersi a sistemi di regole legati alla tecnica e alla funzione, prendendo contemporaneamente atto dell’inevitabile suo costituirsi come strumento di potere.
La professione deve affidarsi a regole controllabili per “calcolare” le linee guida del disegno di progetto.
L’architettura deve includere questioni di spazi, misure, distribuzione e non descrivere unicamente sensazioni, stati d’animo, fruizioni soggettive dello spazio. Deve misurarsi con la materia architettonica, con la distribuzione, con le questioni costruttive e tecniche.
Oggi l’immagine dell’architettura assume un valore superiore a quello della costruzione stessa: preferisce rappresentare stili di vita, modalità di fruizione dello spazio, un logo, un brand e il ruolo sociale dell’architetto perde di valore.
L’architettura è opera dell’uomo per l’uomo, prodotto del pensiero che si sostanzia in disegno e nella costruzione, “linguaggio” proprio dell’architetto. Il disegno deve essere idea trasferita nella rappresentazione, realizzata nel progetto ed incarnata nell’opera, in un armonico organismo da cui trapela il senso, ma anche lo scarto di senso, nell’orizzonte dell’arte e dell’amore a cui tende ogni buona architettura.
Il linguaggio è luogo dello scontro fra regola e libertà individuale: ogni architetto parla la propria lingua. Nel linguaggio si stabilisce il contatto fra l’architettura e gli uomini e viene espresso il significato stesso dell’abitare.
La composizione che si affida a processi eteronomi non è libera.

La giustificazione all’operato dell’architetto va ricercata nella sua capacità di creare un’architettura necessaria.
L’architettura è comunicazione, ma non dell’espressione soggettiva, piuttosto del pensiero che scopre nelle manifestazioni del mondo il modo di abitarlo, non da soli ma nella città.
Opponendosi all’interpretazione che limita gli aspetti comunicativi alle esigenze del mercato, l’architettura deve riconoscere nella forma, espressa sinteticamente nell’immagine, l’epifania del valore umano e civile.
La tabula rasa non esiste. Siamo da sempre in un contesto determinato, in un luogo, in un tempo; in una città che ci ospita, a cui apparteniamo in un’aura di bellezza e di amore la cui speranza non va tradita.

Marta Burrai, Giada Domenici, Giovanni Pernazza, Alessandra Tenchini, Pietro Zampetti

 


Save pagePDF pageEmail pagePrint page
SE HAI APPREZZATO QUESTO ARTICOLO CONDIVIDILO CON LA TUA RETE DI CONTATTI