Niente come fare un film costringe a guardare le cose. Lo sguardo di un letterato su un paesaggio può escludere un’infinità di cose ritagliando dal loro insieme solo quelle che emozionano o servono. Lo sguardo di un regista – su quello stesso paesaggio – non può invece non prendere coscienza – quasi elencandole – di tutte le cose che vi si trovano. Infatti mentre in un letterato le cose sono destinate a divenire parole, cioè simboli, nell’espressione di un regista le cose restano cose […] Esse divengono, è vero, “segni”, ma sono i “segni” per così dire viventi, di sé stesse.
Pier Paolo Pasolini, “Impotenza, contro il linguaggio pedagogico” (1975), in Lettere luterane.

Mi piace sostituire alla parola “regista” del brano di Pasolini il termine “fotografo” perché il fare così restituito rappresenta il modo della mia fotografia: l’immagine di una ringhiera, ad esempio, è solo una ringhiera, fintantoché l’osservatore non immagina il mondo di vita che la comprende; e quella ringhiera può essere messa in relazione con altri segni della stessa, ma anche di un’altra fotografia di un luogo diverso, e la narrazione dell’intera sequenza, che attraverso la relazione dei “segni” presenti, può produrre la storia di un mondo.
Questa serie è un esercizio sulla distanza. Su questo argomento, Emilio Tadini ha scritto: “Nella fotografia, il vedere chiaramente è determinato prima di tutto dal calcolo di una distanza”. Né troppo vicino, né troppo lontano: le fotografie inquadrano i “segni” alla stessa distanza. Né un dettaglio ravvicinato, dove gli oggetti diventano incomprensibili e vengono svuotati da una possibile lettura; né una veduta, dove tutto tende ad uniformarsi e dove qualsiasi scelta di inquadratura risulta superflua. Ma la distanza non è solo quella visiva, è anche quella mentale del ricordo di un oggetto guardato in una fotografia in relazione a un altro magari tangibile; tutto ciò apre inevitabilmente delle questioni sul piccolo e banale mondo di tutti i giorni, ed è per questo che i paesaggi di questa serie hanno in comune il fatto di non essere eccellenti e di non essere eccezionali.
Queste fotografie sono un estratto di lavori nati non da un progetto di luogo e di tempo ma da una costante di modo di osservazione; sono state ri-assemblate rispetto alle sequenze originali per comporre una narrazione che possa offrire una lettura del paesaggio abitato contemporaneo.


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